Me la sarei potuta cavare facilmente. In un numero dedicato al silenzio, mi sarebbe bastato citare 4’33’’ di John Cage oppure parlare di Silence Is Sexy degli Einstürzende Neubauten o di Oceano Di Silenzio di Battiato.
Invece poi la testa mi è andata - come mi capita spesso in questo periodo - alla mia adolescenza e a come sia cambiato il modo di ascoltare musica in questi anni. Oggi la mia Wunderkammer musicale è un hard disk da due terabyte zeppo di file (in formato audio lossless, ça va sans dire) collegato al mio impianto hi-fi che controllo da remoto grazie a una app su uno smartphone.
Ieri la stessa Wunderkammer era ospitata da scaffali di varia foggia e misura dove trovavano alloggio supporti per lo più analogici, dischi e nastri. E mi è tornata in mente la quiete che piombava di colpo nella stanza quando il braccio del giradischi raggiungeva la fine corsa del solco. Oppure il tlac! che faceva il tasto play del walkman che ascoltavo ogni notte prima di addormentarmi quando il nastro finiva lasciandomi da solo con il silenzio della stanza.
Ecco, in quei momenti lì il silenzio assumeva un altro significato. Non era più una semplice pausa tra un brano e l’altro nell’infinita playlist che faccio suonare dall’hard disk. Era lo spazio acustico che mi permetteva di riflettere su quello che avevo ascoltato. E mi rendo conto solo ora che, dopo ogni ascolto, ogni silenzio era diverso. Il silenzio dopo una sinfonia di Mahler non era lo stesso silenzio che si sentiva dopo un pezzo punk. Si colorava delle note appena suonate, come il retrogusto nel palato dopo un sorso di vino.
federico.platania@samuelbeckett.it
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