è lunedì lo so la sveglia suona
è lunedì. lo so. la sveglia suona (e l'edonismo cresce esponenziale): la transumanza degli umani introna se sale e scende e va per l’altrui scale. la noia. lui m’annoia. quanto stona. la noia? la combatto con le fiale di noia. nella rotta quotidiana la noia è il sale. il fiele. tutto frana se è lunedì. e lo so. la sveglia tuona e ci rassetta il fine settimana coi ricordi. la testa che rintrona. per strada tutti quanti in fila indiana ognuno chiuso in sé. mentre risuona la nenia d’una voglia più ruffiana e le cuffiette. sempre il mio palmare. io devo. devo. devo. devo andare.
SESTINA IGNAVA
Vedi la gente che, per questa terra, cammina e corre quasi senza posa e parte mai non prende in pace e in guerra e tutto annulla in questa rumorosa quiete. In gregge va, bianca la bandiera tutto pretende e nulla mai non osa.
CONFLICTUM
Non vedo soluzioni, ma il conflitto perenne tra i piloti del traghetto e chi si lascia andare divorato dal cane a mille teste, che si abbuffa della disperazione. Ma reagire a questo inverno che ci immobilizza si può. Si può. Ma la parola è in gola e, soffocata, resta.
NON È UN INGANNO
Ma tu chiedevi quando. Quando? quando mi fermo qui, ch’adesso, e ancora, attendo che tu ti faccia, lentamente, in bagno e che tu estirpi gli occhi tuoi di stagno da me che arrendo me e che non mi lagno. Non è un inganno… No, non è un inganno!: semplicemente resto sullo scranno...
CORO DELLA CRESCITA
Tutto vaga, proprio tutto Duro e impuro, nell’inverno Passerà, ma sembra etterno: Fluttua. Erutta. Dappertutto. È l’istinto e prende ratto E non t’argino contatto. Sulla pelle, solo al tatto. Quando vieni, quando intresco le mie labbra alle tue ed esco: sovrapponiti che cresco.
Nuovo
È nuovo solo il nuovo cellulare, con mille e più funzioni in dotazione e il mondo, in apparenza, sempre accanto a farmi compagnia lungo la rotta che m’accompagna lungo il travagliare. È strano, molto, ma mi sento bene e leggo un libro, e un altro libro ancora. La strada scrolla. Sbalza. Perdo il segno: non è molto importante perché, in fondo. cambiare senso è il senso della corsa. Io ho un’ossessione: chiudere in prigione, cablar persone in celle esagonali: legarle alla memoria con un volto, immagine del mondo delle idee, perennemente giovane e vitale, ma tutto cambia, tutto quanto è nuovo. È nuovo? Non lo è quel microonde: il trend non segue la tecnologia denuncia che il prodotto, ormai è decotto, economie di scala e sfruttamento. C’è quella signorina. Sembra nuova, eppure l’ho già vista mille volte per strada, che cammina, sempre svelta. Qualcosa deve avere. Che non torna: è rame nei capelli. Ma era nera? Il rosso segna spesso qualche svolta. Mi scusi, ma non era fidanzata? Lo so, la vita è nuova senza un corpo che annodi il corpo tuo. Sono le tracce come i caffè, la radio, il televideo. Son tracce uguali in solco di memoria, le selezioni, a volte, e a volte sfondi muri di ritrosie, démoni interni, ma è nuovo solo il nuovo cellulare: nuova messaggeria d’abbreviazioni fra cui nascondo il senso dell’essenza e esalto la nevrosi che m’opprime. Vaga la gente, molta, che ti dice che non esprimi bene le emozioni, quelle che ci neghiamo o che anneghiamo. Così scambio il mio seme, quando erutta, le esondazioni e il sangue del tuo mestruo, per copula d’Amore. Quasi sempre per abbuffarmi e strafogarmi ancora di facce e di persone in dissolvenza. È il mio trasumanare, in transumanza fra le corriere e i treni. E i nuovi orari, novelli cartomanti e nuove carte, e nuovi amanti per fuggire via dai soliti sentieri e dalla noia. La noia è nel nuovismo, il nuovo sempre: è reggere il confronto con il tempo col male della vita che contagia. Ti porta a un’esistenza parallela, la storia che vorresti per davvero, su un treno pendolare verso il nord che lentamente taglia la pianura, che porta nella nebbia il nostro sonno e tutto ciò che è vecchio. Tutto è nuovo. E tutto si rimescola nel tedio. E nell’inedia. O nell’accidia, forse: è un nome che mi sfugge, ma la sento, la sento – mi contorce le interiora – e lo messaggia, col messaggio nuovo te lo messaggia adesso. Ti messaggio stasera se vuoi, il nuovo appuntamento che spero e non son certo di volere in quell’appartamento in cui conduco solo quelle persone che, in potenza sanno destrutturare le strutture. Eppure sembra nuovo, tutto nuovo: nuovo l’entrismo dentro il sindacato e il mio buonismo così conciliante quel po’ d’ambientalismo – come il sale: quanto basta. Ed il mio feticismo per le tue calze di filanca viola per i tuoi piercing, per i tuoi tatuaggi e per le tue caviglie così magre e per l’agilità con cui cammini. Nuova sei tu nel mondo che vai sola. È nuovo il mese: m’innamoro a maggio: nuova è la notte, nuovo il turbamento. Tu m’accompagni all’alba, comprensiva e non mi lasci solo col mio male, tu persa, tersa, tu così diversa, tu così nuova nel mio lungo errare. Sei nuova tu, eppur mi sembri antica, tu, con la tua vescica, in cui sparisco per poi ricomparire quando devo. È nuovo il giorno. Normalmente nuovo. E nuovo è il sole. Nuove le sue rughe. Le nuove nuove? Non vi fai più caso, non fosse per il plasma appeso al muro, nuovo, che non sai il plasma che mi costa. È nuovo, quindi. Tutto nuovo, quindi, come il controsoffitto, e la sua bolla d’aria per respirare e per staccarmi da me soltanto o dalla mia risacca, dall’altro me che ho dentro, quello ch’urla, che valica il confine e non si ferma.
STORIA D’AMORE PENDOLARE
È già l’alba. E al binario la ragazza mi dice “forse è quello sbagliato”. Non ha ancora mangiato, ma se io la baciassi, lei sarebbe contenta, perché in bocca ho infilato una valda alla menta nonostante sia presto (la mia voce sia bassa), nonostante si dorma con la faccia sul vetro, nonostante i miei sogni, quanto sono contorti e si legga giornali, ingannandoci il tempo. Lei mi dice, e sorride, che il lavoro l’annoia, sempre chiusa in ufficio, ma bisogna campare: “Sai com’è, il posto fisso, tu non puoi disprezzarlo, e anche se mi fa male lungo la cervicale, (che sia ottobre o sia maggio), a salvarmi è il mio viaggio su un vagone malmesso. Lungo questa pianura, pali inseguono pali. E cartelli. Fantasmi le città nella nebbia. Fari contro la pioggia. Poi mi dice che siamo la sua vera famiglia, quella che sa ascoltare i dolori profondi, che li sa sopportare fra le vite precarie: Guarda al sodo e diffida di chi tiene alla forma, come una religione, così priva di senso E, scrutandomi, parla dei valori del sangue: “Sale il colesterolo ed il fegato ingrossa, ma è mio figlio che cresce la vittoria più grande. Mio marito non è quello che disegnavo: la matita è spuntata e alterati i contorni. Scusa hai mica l’aggeggio? Devo ricaricare. Questo è un pessimo posto, perché c’è poco campo; se mi chiama è nervoso: non riceve il segnale. Faccio la dieta zona: devo mettermi in forma. Ora arriva l’estate. Questo spot mi rintrona: non si sente l’annuncio, quando il treno è soppresso”. “Io mi vesto pesante multistrato, a cipolla: temo sfuggano i sogni quando piove e fa vento, dagli spifferi e penso che non bastano i soldi: limitare i consumi, questo è il vero problema. Non ci sono vacanze: qui la crisi non molla”. “Sai adattarti da sempre”, lei mi dice convinta, mi sorride e divora il caffè che è bollente, come fosse la vita a sfuggire di mano, come fosse una radio a cantare canzoni, quelle che sono sangue: te ne cavano a litri, tormentoni d’estate. “Se ci penso, mio nonno quando ero un bambino con i riccioli rossi, mi diceva solenne: “Studia, fotti il sistema”. Vedi: ora mi trovo sopra questi sedili che non portano a nulla. è il sistema che ha vinto, pur avendo studiato. Soffro, ma son felice. Sai viaggiavo d’agosto, coi miei lunghi capelli, tracimando l’Europa, sopra treni sconvolti. Hai ragione mi adatto, ma son lento a capire che la vita ha una fretta, una fretta canaglia che distrugge gli affetti”. Non ascolta, ma sente ed appoggia la testa, sulla spalla che scrolla la rotaia, che sbatte, sincopando la carne. Le mie labbra son lì: non domandano niente.
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