FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 29
gennaio/marzo 2013

Velocità

 

UN VENTO FRESCO DEL MARE
In memoria di Lêdo Ivo

di Vera Lúcia de Oliveira




Lêdo Ivo nel suo studio
(foto di Claudio Maccherani)


O vento do mar [Il vento del mare] è l’ultimo libro di Lêdo Ivo pubblicato in Brasile, libro che l’autore mi ha gentilmente mandato, come i precedenti, e che non avevo ancora finito di leggere quando ho ricevuto la notizia della sua scomparsa il 23 dicembre 2012 a Siviglia, in Spagna, dove si era recato per uno dei molti incontri di poesia che lo vedevano impegnato, nonostante l’età avanzata, in diversi paesi. Riprendo in mano con tristezza il bel volume, dalla copertina blu come il mare della sua terra natale, e mi pare quasi di sentire fisicamente, condensate nelle sue parole sempre chiare e incisive, la presenza e la vivacità dell’amico, con il suo umorismo intelligente, la battuta pronta, la memoria formidabile, la sensibilità e la semplicità che caratterizzavano l’uomo e lo scrittore.

Vento do mar è un bellissimo libro, in una edizione pregiata e corredata da fotografie che lo ritraggono, insieme alla moglie Lêda e ai tanti amici, intellettuali e artisti, in giro per il mondo. Si tratta di un sunto denso e ricco del suo lungo percorso letterario e si presenta a mezza strada fra il libro di memorie e la biografia illustrata di un’intera generazione di scrittori brasiliani. È commovente l’onestà e la lucidità con la quale Lêdo ripercorre le fasi della sua vita e di quella del suo paese, il Brasile, tracciando il ritratto intimo di molti grandi personaggi, come Graciliano Ramos, Cornélio Pena, Agrippino Greco, Raquel de Queiroz, José Lins do Rego, Clarice Lispector, Manuel Bandeira. Leggendone le pagine, ci appare ancora più chiaro il senso della sua ricerca poetica ed esistenziale, la sua fame di verità, la sua discesa nelle profondità dell’io per svelarne anche le parte in ombra, la sua ricerca di giustizia, il suo amore per gli animali, il suo legame viscerale con il Nordest povero dei pazzi nei manicomi, dei morti di famiglia che non smettono di soffrire, delle navi abbandonate nel porto che non possono più sfidare gli oceani.

Nato nel 1924 a Maceiò, nella regione del Nordest brasiliano, Lêdo ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife ed è approdato a Rio de Janeiro nel 1943, con in valigia il sogno di diventare un grande scrittore. Così egli racconta uno dei primi incontri avuti nella Libreria José Olympiom, allora punto di ritrovo dell’intellettualità nazionale, con un poeta anziano, ormai deluso dalla letteratura (del quale omette, però, l’identità), che gli vaticina: «Non ci riuscirai, mio caro». Il ragazzo esce demoralizzato e, mentre vaga per le strade incendiate dal tramonto di una delle più belle città del Brasile, riflette su quelle parole amare e ruvide e sulle sue speranze, tramite la poesia, di dare senso alla propria vita:

De repente, vi-me caminhando pelas ruas, e o crepúsculo crescia sobre as pessoas e as fachadas das casas. Não era a glória, o aplauso, a fanfarra o que eu queria, dizia o meu coração ferido, numa réplica tardia (...). Era a afirmação de minha singularidade: desejava converter numa realidade estética um dom nativo ainda inexpressado e incomunicável. E contudo a voz experiente e desiludida viera alvejar-me com a sua descrença. Se a vida não confirmasse a minha escolha e não promulgasse a minha vocação, de que adiantaria viver?1

Improvvisamente, mi sono trovato a camminare per le strade e il crepuscolo cresceva sulle persone e le facciate delle case. Non era la gloria, l’applauso, le fanfare quello che io volevo, diceva il mio cuore ferito, in una replica tardiva. (…) Era l’affermazione della mia singolarità: desideravo trasformare in una realtà estetica un dono innato ancora inespresso e incomunicabile. Eppure la voce esperta e delusa era venuta a trafiggermi con la sua sfiducia. Se la vita non avesse confermato la mia scelta e non avesse promulgato la mia vocazione, a che sarebbe servito vivere?

Possiamo dire che la sua vita non solo è valsa pienamente la pena ma che ci ha arricchito con una delle più alte e intense opere letterarie di lingua portoghese.



Lêdo Ivo
(foto di Claudio Maccherani)



Lêdo Ivo esordisce nel 1944, con il libro As imaginações (Le immaginazioni), al quale seguirono altre ventidue raccolte poetiche. Oltre alla poesia, si è dedicato alla prosa e il suo primo romanzo, As alianças (Le alleanze), del 1947, conquistò subito importanti premi nazionali. Ha pubblicato altri quattro romanzi, raccolte di racconti, libri per l’infanzia, volumi di saggistica. Ha ricevuto numerosi e importanti premi e le sue opere di poesia e prosa sono tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda, Venezuela e Italia. Indicato per il Nobel, è stato membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere dal 1986 e nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell’anno in Brasile.
Di intelligenza vivace e poliedrica, è stato uno spirito inquieto e nomade. La sua passione per i viaggi sarà stata ereditata dagli ancestrali caetés, indios antropofagi del Brasile coloniale, quasi completamente estinti, il che lo portava a dire, fra l’ironico e il divertito, di essere l’ultimo antropofago del Brasile, per discendenza diretta, mentre Oswald de Andrade e gli altri modernisti, che avevano ideato un importante movimento culturale e letterario detto Movimento dell’Antropofagia, nel 1928, lo erano solo di carta o, meglio, solo per finta.

Di Lêdo Ivo bisogna dire subito che è un poeta controcorrente, in tutti i sensi. Originario di una terra più conosciuta per le belle spiagge, per il sole perenne, per il paesaggio esotico e tropicale, il suo universo è popolato da esseri e animali marginali e apparentemente sprovvisti di attrattiva e carisma. La poesia di Lêdo Ivo è pervasa da influssi della sua terra, soprattutto la sua Maceió, città portuale, capitale dello Stato di Alagoas, dove ha vissuto per molti anni e dove sembra ogni volta ritornare, alla ricerca delle immagini che lo hanno segnato. La luce intensa del Nordest delinea con nitore i contorni di esseri e cose, nel loro dolore e nella loro fragilità: navi dismesse nel porto, cimiteri marini, cani randagi, mendicanti, pazzi del manicomio cittadino, gabbiani, granchi, formiche, molluschi, angeli scrostati delle piccole chiese di periferia. È questo l’universo che pare interessarlo e non i luoghi alla moda invasi dai turisti. Non si cerchi dunque l’esotismo nella sua opera, essa piuttosto è uno specchio in cui ci possiamo riflettere e vedere le nostre stesse paure per il presente e per un futuro incerto e difficile. Lêdo Ivo è locale e universale, intimo e quotidiano ma allo stesso tempo la sua è una poesia senza tempo, che coglie l’essere in quel che ha di più intimo, fragile e duraturo.

Inquadrato dai critici come un tipico rappresentante della Generazione del ’45, non veniva preso dovutamente in considerazione dalle nuove generazioni, perché considerato un poeta legato ad un movimento formale e tradizionalista.2 Eppure la poesia di Lêdo Ivo è di una ricchezza di forme e contenuti che non ha uguale nel panorama nazionale brasiliano. Poeta torrenziale, che spesso dà la sensazione al lettore di scrivere come in trance, sempre toccato dalla grazia, mentre è vero che cura, con attenzione certosina di fino conoscitore della lirica di lingua portoghese, ogni verso della sua vasta opera. Intellettuale colto, leggeva nell’originale poeti italiani, inglesi, spagnoli, francesi e americani. Io stessa alimentavo la fame che aveva di poesia italiana, portandogli personalmente o mandandogli per posta libri di Ungaretti (che aveva conosciuto e frequentato), di Giorgio Caproni, Sandro Penna, Alda Merini e tanti altri che, nel tempo, lui mi ha sollecitato.

Alla moglie Lêda, compagna di una vita, scomparsa nel 2004, ha dedicato uno dei suoi più bei libri, Requiem, poesia elegiaca e stranamente limpida e luminosa che sembra quasi un suo addio ai luoghi e agli esseri che più ha amato:

      Aqui estou, à espera do silêncio.
      (...)
      Agora a noite desce para sempre.
      Meu olhar fatigado segue a canoa
      que se afasta dos manguezais.
      Uma luz na restinga. Um caranguejo na lama.
      E a vida se evapora como as almas
      no céu que não abriga nenhum deus.
      (...)
      A eternidade passa como o vento.
      Só o tempo é eterno. Sempre estive aqui
      no meio do meu povo dizimado,
      e minhas mãos armaram além das dunas
      a dourada fogueira antropofágica
      do assombroso festim. Uma noite de cinzas
      sucede agora ao clamor e à alegria.
      O mar apaga todos os naufrágios
      e todo fogo se extingue, todo fogo dourado
      se alastra e se apaga no silêncio do mundo.

      Sto qui, in attesa del silenzio.
      (…)
      Ora la notte scende per sempre.
      Il mio sguardo affaticato segue la canoa
      che si allontana dalle mangrovie.
      Una luce nei banchi di sabbia. Un granchio nel fango.
      E la vita evapora come le anime
      nel cielo che non ospita alcun dio.
      (…)
      L’eternità passa come il vento.
      Solo il tempo è eterno. Sono sempre stato qui
      in mezzo al mio popolo decimato,
      e le mie mani hanno armato oltre le dune
      il dorato falò antropofagico
      del prodigioso banchetto. Una notte di ceneri
      succede ora al clamore e alla gioia.
      Il mare cancella tutti i naufragi
      e ogni fuoco si estingue, ogni fuoco dorato
      si propaga e si spegne nel silenzio del mondo.3

L’edizione italiana di Requiem (Besa Editrice, Nardò, 2008), da me curata, è uscita nel 2008, in contemporanea a quella brasiliana e a quella messicana. Ricordo ancora l’emozione che ho provato nel leggerlo, dattiloscritto con la sua vecchia macchina da scrivere. In Italia, oltre a Requiem, è stata pubblicata l’antologia Illuminazioni (Multimedia Edizioni, Salerno, 2001), sempre da me tradotta e curata. Le due lunghe poesie che seguono sono tratte da Requiem.



Lêdo Ivo con Vera Lúcia de Oliveira
(foto di Claudio Maccherani)




1Lêdo Ivo, O vento do mar, org. por M. C. Figueiredo Mendes, Rio de Janeiro, Academia Brasileira de Letras e Contra Capa, 2011, p. 7.

2La Generazione del ’45 proponeva una sorta di neo-parnassianismo che, seppure anacronistico, era una risposta ai grandi sconvolgimenti della seconda guerra mondiale. I poeti sentivano il bisogno, infatti, per contrapporsi all’irrazionalismo in cui era caduto l’umanità, di riordinare razionalmente il mondo, trovando nelle forme metriche classiche, come il sonetto, grandemente utilizzato in quegli anni, il linguaggio più affine a quell’intento.

3Lêdo Ivo, Requiem, trad. e cura di V. L. de Oliveira, Besa Editrice e Dipartimento di lingue e Letterature Straniere, Università del Salento, 2008, pp. 22-25.




POESIE DI LÊDO IVO
da Requiem



I

Aqui estou, à espera do silêncio.

Diante do estaleiro apodrecido
só vislumbro o estilhaço
que sobrou das iluminações.
Como todas as sobras, ele traz a marca
das coisas escondidas para sempre
ou dos seres sepultados no alto das dunas;
como as letras gravadas a fogo
na anca de um cavalo roubado por um cigano, ou um
                                     sinal de nascença
no quadril bem-amado.

Agora a noite desce para sempre.
Meu olhar fatigado segue a canoa
que se afasta dos manguezais.
Uma luz na restinga. Um caranguejo na lama.
E a vida se evapora como as almas
no céu que não abriga nenhum deus.
Todas as paisagens que vi se esfarelaram
nos postais corroídos. E a unha suja, tarjada de negro,
toma o espaço da mão antiga. As portas sucessivas
das docas que armazenavam réstias de cebola e sacos de açúcar
se encolhem na escuridão, reduzidas a uma única porta
refratária ao clarão da aurora.

Na Barra de São Miguel, diante do mar,
só agora aprendi:
o dia mais longo do homem
dura menos que um relâmpago.
O tempo não será mais celebrado
entre as constelações.
O céu e a terra vão sumir
na cinza desapontada
dos amanhãs roubados pela morte.
E tudo o que amei se dissolve.
A nuvem escarlate pousa brandamente
entre as casas de taipa e o mar rasgado pelas ondas.
Chegou a hora de dizer adeus à água negra
que marulha na treva da laguna
e ao vento planetário que seca os peixes
pendurados nos varais das palhoças
e ao mar caeté que se abriu
diante das falésias de minha pátria perdida.

A eternidade passa como o vento.
Só o tempo é eterno. Sempre estive aqui
no meio do meu povo dizimado,
e minhas mãos armaram além das dunas
a dourada fogueira antropofágica
do assombroso festim. Uma noite de cinzas
sucede agora ao clamor e à alegria.
O mar apaga todos os naufrágios
e todo fogo se extingue, todo fogo dourado
se alastra e se apaga no silêncio do mundo.

Aqui, no lugar de água e terra dos meus nascimentos sucessivos,
minha sombra vagueia entre os escombros
dos navios perdidos ou sonhados.
E busco em vão, nas águas ofendidas,
a castidade da água clara e intacta
que aflora no mar ao rebentar da aurora
no coração da noite emudecida.
Ó porta prometida ao consolo da vida,
após tanta imundície e após tanto esplendor!
Nesta noite final, as fogueiras celestes
queimam toda esperança e sepultam na cinza
os sonhos insensatos das almas terrestres
e o estertor que suprime qualquer paraíso.

Na noite crematória, a morte é uma fogueira.


I

Sto qui, in attesa del silenzio.

Dinnanzi all’arsenale marcito
scorgo solo la scheggia
che è rimasta delle illuminazioni.
Come tutti i residui, essa porta con sé il segno
delle cose nascoste per sempre
o degli esseri sepolti sull’alto delle dune;
come le lettere marchiate a fuoco
sul fianco di un cavallo rubato da uno zingaro, o una
                                     voglia sulla pelle
dell’anca diletta.

Ora la notte scende per sempre.
Il mio sguardo affaticato segue la canoa
che si allontana dalle mangrovie.
Una luce nei banchi di sabbia. Un granchio nel fango.
E la vita evapora come le anime
nel cielo che non ospita alcun dio.
Tutti i paesaggi che ho visto si sono polverizzati
nelle cartoline corrose. E l’unghia sporca, chiazzata di nero,
prende il posto della mano antica. Le porte successive
delle banchine che immagazzinavano reste di cipolle e sacchi di zucchero
si ritirano nel buio, ridotte ad un’unica porta
refrattaria al bagliore dell’aurora.

Nella Barra di São Miguel, di fronte al mare,
solo ora ho compreso:
il giorno più lungo dell’uomo
dura meno di un lampo.
Il tempo non sarà più celebrato
fra le costellazioni.
Il cielo e la terra svaniranno
nella cenere delusa
dei domani rubati dalla morte.
E tutto ciò che ho amato si dissolve.
La nuvola scarlatta posa dolcemente
fra le case di fango e paglia e il mare lacerato dalle onde.
È arrivata l’ora di dire addio all’acqua nera
che mareggia nella tenebra della laguna
e al vento planetario che secca i pesci
appesi sui fili nelle capanne
e al mare caeté che si è aperto
dinnanzi alle falesie della mia patria perduta.

L’eternità passa come il vento.
Solo il tempo è eterno. Sono sempre stato qui
in mezzo al mio popolo decimato,
e le mie mani hanno armato oltre le dune
il dorato falò antropofagico
del prodigioso banchetto. Una notte di ceneri
succede ora al clamore e alla gioia.
Il mare cancella tutti i naufragi
e ogni fuoco si estingue, ogni fuoco dorato
si propaga e si spegne nel silenzio del mondo.

Qui, nel luogo di acqua e terra delle mie nascite successive,
la mia ombra vaga fra i relitti
delle navi perdute o sognate.
E cerco invano, nelle acque offese,
la castità dell’acqua chiara e intatta
che affiora nel mare al deflagrare dell’aurora
nel cuore della notte ammutolita.
O porta promessa alla consolazione della vita,
dopo tanta immondizia e dopo tanto splendore!
In questa notte finale, i falò celesti
bruciano ogni speranza e seppelliscono nella cenere
i sogni insensati delle anime terrestri
e il rantolo che sopprime ogni paradiso.

Nella notte crematoria, la morte è un falò.


VIII

O dia se enamora de si mesmo
como um corpo num espelho.
Tempo, composição da água que flui
num rio de rumores e desejos.
Alarido do ser! Rubor de aurora
no céu mais alto, em nuvens que são portas
na rota glacial
longe do medo e do horror.
E a brancura do mundo, neve e gelo
em alvas esculturas se transmuda
na altura sem vertigem.

Sob o despenhadeiro alvo das nuvens
a terra guarda o nosso desamparo.
E a morte insolente segue os passos
dos homens que caminham sob o sol
rumo à noite suprema, ao mar irregular.
Não temos pressa em morrer e todavia morremos
no dia veloz.
E aqui estou, imóvel como a água das cisternas.
E a morte é uma aurora que não sabe esperar
e rebenta do céu escancarado
ao sonho estrepitoso que é a vida.

Sempre me faltou sabedoria.
Ao longo da minha vida, pouco aprendi
e agora, diante do oceano exato e visível, diante do
                                     grande mar prosódico
nada sei sobre a travessia.
Após tantas viagens, esta é a última fronteira
que me cabe transpor.
O barco sem barqueiro balança na água viscosa.
E eu sou a lama negra cheia de miasmas
que sustenta as palafitas da miséria e da morte,
e a verdade da fome em lábios mudos.
Só me foi dado conhecer a chuva interminável
e esse vento que arrasta o próprio vento
no dia delirante, na noite iracunda.
Vi a maré que avança na península
e o mar que vinha ao meu encontro como uma oferenda,
o mar feminino que afagava os meus pés.
Há um conhecimento que foge dos meus passos
mesmo quando piso as tábuas podres do estaleiro
e busco em minha sombra a proa dos navios.
O tempo é o senhor da verdade e da mentira.
Digo adeus ao mormaço. É a hora da chegada
daquele pássaro migratório que só surge no inverno
e perturba o mundo sedentário com o seu canto estridente.
Ó claridade, adeus! Despeço-me do sol,
do mar incomparável e da noite intempestiva.
Vivi sem aprender que tudo é perda e passagem
e que a maresia apaga o nome dos navios
e leva para bem longe os rumores da vida.
Agora o silêncio do mundo lacra a minha alma.
O róseo raio da rósea alvorada
aponta para a noite escura.
De mim mesmo afastado pela morte,
essa concha que não guarda o barulho do mar,
é aqui que termina, na lamas negra dos maceiós,
o meu longo caminho entre dois nadas.


VIII

Il giorno si innamora di se stesso
come un corpo in un specchio.
Tempo, composizione d’acqua che fluisce
in un fiume di rumori e desideri.
Frastuono dell’essere! Rossore di aurora
nel cielo più alto, in nubi che sono porte
nella rotta glaciale
lontano dalla paura e dall’orrore.
E il biancore del mondo, neve e ghiaccio
in candide sculture si tramuta
nell’altezza senza vertigine.

Sotto il dirupo candido delle nuvole
la terra custodisce il nostro scoramento.
E la morte insolente segue i passi
degli uomini che camminano sotto il sole
verso la notte suprema, il mare irregolare.
Non abbiamo fretta di morire e tuttavia moriamo
nel giorno veloce.
E sono qui, immobile come l’acqua delle cisterne.
E la morte è un’aurora che non sa attendere
e scoppia dal cielo spalancato
al sogno strepitoso che è la vita.

Mi è sempre mancata la saggezza.
Durante la mia vita, ho imparato poco
e ora, dinnanzi all’oceano esatto e visibile, dinnanzi al
                                     grande mare prosodico
nulla so sulla traversata.
Dopo tanti viaggi, questa è l’ultima frontiera
che mi tocca attraversare.
La barca senza nocchiere oscilla nell’acqua viscosa.
E io sono il fango nero pieno di miasmi
che regge le palafitte della miseria e della morte,
e la verità della fame nelle labbra mute.
Mi è stato dato solo di conoscere la pioggia interminabile
e questo vento che trascina il vento stesso
nel giorno delirante, nella notte iraconda.
Ho visto la marea che avanza nella penisola
e il mare che mi veniva incontro come un’offerta,
il mare femminino che carezzava i miei piedi.
C’è una conoscenza che sfugge ai miei passi
anche quando calco le assi marcite dell’arsenale
e cerco nella mia ombra la prua delle navi.
Il tempo è il signore della verità e della menzogna.
Dico addio alla canicola. È l’ora dell’arrivo
di quell’uccello migratore che sorge solo d’inverno
e turba il mondo sedentario con il suo canto stridente.
O chiarore, addio! Mi congedo dal sole,
dal mare incomparabile e dalla notte intempestiva.
Ho vissuto senza comprendere che tutto è perdita e passaggio
e che il vento marino cancella i nomi delle navi
e porta molto lontano i rumori della vita.
Ora il silenzio del mondo sigilla la mia anima.
Il roseo raggio della rosea alba
indica la notte scura.
Da me stesso allontanato dalla morte,
questa conchiglia che non conserva il rumore del mare,
è qui che termina, nel fango nero delle lagune,
il mio lungo cammino fra due nulla.



Traduzione dal portoghese di Vera Lúcia de Oliveira




Lêdo Ivo
nato a Maceió, Alagoas, nel 1924. Ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife e dal 1943 vive a Rio de Janeiro. Il suo esordio letterario è del 1944, con As imaginações (Le immaginazioni), libro di poesie al quale seguirono altre ventidue raccolte. Nel 2004 è stato pubblicato il monumentale Poesia Completa 1940-2004 (Topbooks, Rio de Janeiro).
Oltre alla poesia, Lêdo Ivo si dedica anche alla prosa. Il suo primo romanzo, As alianças (Le alleanze), del 1947, conquista un importante premio nazionale. Pubblica altri quattro romanzi, una raccolta di racconti, Use a passagem subterrânea (Utilizzare il sottopassaggio), e due testi per l’infanzia, O menino da noite (Il bambino della notte) e O canário azul (Il canarino azzurro).
Tra i saggi figurano Ladrão de flor (Ladro di fiori), O universo poético de Raul Pompéia (L'universo poetico di Raul Pompéia), Poesia observada (Poesia osservata), Teoria e celebração (Teoria e celebrazione), A ética da aventura (L'etica dell'avventura) e A república de desilusão (La repubblica della delusione).
Come memorialista, ha pubblicato Confissões de um poeta (Confessioni di un poeta) e O aluno relapso (L'alunno svogliato).
Ha ricevuto numerosi e importanti premi. Nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell'anno in Brasile. Le sue opere di poesia e prosa sono state tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda, Venezuela, Cile e Italia.

In Italia sono stati pubblicati:

  • Illuminazioni, antologia poetica a cura di Vera Lúcia de Oliveira, Multimedia Edizioni, Salerno, 2001
  • Requiem, a cura di Vera Lúcia de Oliveira, Besa Editrice, Nardò, Lecce, 2008


veralucia.deoliveira.m@gmail.com



Sulla poesia di Lêdo Ivo vedi anche:

Breve antologia poetica di Lêdo Ivo (numero 2)
Confessioni di un poeta: Lêdo Ivo (numero 5)
di Vera Lúcia de Oliveira

Sul Requiem di Lêdo Ivo (numero 13)
di Alessio Brandolini