FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 29
gennaio/marzo 2013

Velocità

 

ALEKSEJ SKALDIN E LA MAGIA DELLA PAROLA

di Linda Torresin



Aleksej Skaldin: un nome che al lettore europeo, ma anche a quello russo, dice ben poco. Tre arresti, tre condanne, la morte in lager hanno messo a tacere una delle voci più interessanti e originali dell’“età d’argento” e l’ultimo ammaliante cantore del simbolismo russo. O, forse, non completamente. Skaldin scrisse versi per tutta la vita, ma solo una minima parte è sfuggita all’annientamento. Le undici poesie qui proposte vengono tradotte per la prima volta in italiano e rappresentano uno spaccato dei pensieri, delle riflessioni, del mondo interiore skaldiniano dal 1909 al 1924: coprono cioè il periodo di formazione pietroburghese, il quinquennio saratoviano e il rientro a Pietrogrado dopo il primo arresto del poeta trentacinquenne.

Straordinariamente eterogenei per forme e soggetti, ritmi e atmosfere, che vanno dalle modulazioni arcaicizzanti e parnassiane delle liriche più tradizionali ispirate al modello di Vjačeslav Ivanov e Jurij Verchovskij, al recupero del folclore e alle sperimentazioni più avanguardistiche, i versi di Skaldin sono accomunati da una certa “densità” espressiva, già sottolineata da Michail Geršenzon, che ne costituisce il pregio più tangibile. La scelta di contenuti profondi si sposa con una ricerca della perfezione formale che rasenta i limiti del cerebralismo maniacale, dove un’esplosione di giochi fonici, figure retoriche, rime e cadenze musicali rendono la “parola esatta” di Skaldin a volte sfuggente, spesso di difficile lettura e comprensione, eppure sempre attuale.

Nei propri versi Skaldin affronta i grandi temi del suo tempo e del nostro: la paura della morte, ora materializzata in un cavaliere dall’armatura lucente pronto a sferrare il colpo fatale in Osennij večer (Sera d’autunno), ora occasione ideale per fare un esame di coscienza della vita sinora vissuta in «Prikovannyj k posteli...» (Inchiodato son a letto...); la fede e il dubbio con l’oscillazione fra Cristo e l’Anticristo, come mostrano Na Kreste (Sulla Croce) e «Svet neživoj?.. On – neroždënnyj...» (Luce non viva?.. Non è mai nata…); il male e le forze oscure che si scatenano in Noč’ pered Roždestvom (La Vigilia di Natale), quando demoni dalle sembianze animalesche compaiono nella mezzanotte del giorno di Natale, per poi dissolversi al canto del gallo; la centralità della memoria individuale e collettiva, di cui è l’emblema Legenda starogo kamina (La leggenda del vecchio caminetto), racconto dell’amicizia favolosa tra un angelo e un carlino.

A fungere da sfondo, sottile e quasi invisibile, alle poesie è la biografia di Skaldin stesso. Così la fame, le privazioni, le disillusioni nel processo di reintegrazione sociale dopo la prima condanna, trasformano la città del sogno, Peterburg (Pietroburgo), nella città dell’inganno, nell’“astuta chimera” di una crudele mistificazione. In un’altra poesia, Aktër (Attore), Skaldin rievoca le proprie emozioni e timori di attore amatoriale. L’ansia da palcoscenico cede gradualmente il posto alla felice immedesimazione nel ruolo da parte del recitante, salvo tuttavia sfociare in una drammaticamente ambigua trasfigurazione dell’attore, che si identifica con il Cristo morto e risorto ma anche con l’Anticristo, tale da scatenare il panico nella sala.

Skaldin scriveva della propria arte: “Quasi tutti i miei versi si fondano su un unico sentimento: l’uscita da una grotta buia alla chiara luce divina”. L’atto poetico coincide per Skaldin con l’atto religioso, la parola con la preghiera, l’ispirazione con la confessione che alleggerisce l’anima dal peso dei cattivi pensieri, con la purificazione, con il sacrificio di sé. “Scrivo versi come accendo le candele / davanti all’icona, in religioso silenzio”: ecco il credo di Skaldin, svelato nel manifesto Poėt (Il poeta).

La poesia esige dal poeta l’autoannichilimento, ma è anche l’unica cosa che salva l’io e lo eterna, perfino dopo e oltre la morte, l’oblio. Skaldin sa che la sua voce, pur destinata a spegnersi, riecheggerà ancora, a distanza di secoli e generazioni. “Ma che cosa il misterioso fato / ti darà? Quando nuovamente / risuonerai in un’anima vivente, / il cuore di chi ti avrà resuscitato?” chiede il poeta alla sua creatura in «Pesn’ poslednjaja moja...» (Ultima canzone mia...).
Nei versi di Skaldin percepiamo tutto il fascino della scrittura che vince i confini spazio-temporali, come la pergamena antica di «Roždaetsja radost’ inaja...» (Nasce una gioia diversa...), e che il moto fagocitante della Storia può piegare ma non spezzare. La magia della parola skaldiniana ci incanta. E continuiamo a leggere.




UNDICI POESIE DI ALEKSEJ SKALDIN


ПОЭТ

Пишу стихи, как зажигаю свечи
Пред образом, в тиши благоговейной.
Слова, слова томящие, глухие!
Примите плоть, дабы открыться людям,
Живите жизнью ясною и нужной,
Служите миру дольнему по силе.

Я знаю, этот мир принять вас должен:
Я душу отдаю − какая жертва! −
И, жертвуя, не жду себе награды, −
Что злато мне? и что венок лавровый? −
Но отдаю затем, что в этом даре
Лежит зерно, рожденное для роста, −
Тягчайшего не будет преступленья,
Как умертвить начало новой жизни.

Слова, вы мною рождены, и строгим
Вас пронесу путем к последней цели.
Светите светом трепетным и чистым.

1912


IL POETA

Scrivo versi come accendo le candele
davanti all’icona, in religioso silenzio.
Parole, parole tormentose, sorde!
Incarnatevi per rivelarvi alla gente,
vivete una vita chiara e necessaria,
servite il mondo terreno come potete.

Lo so, questo mondo accogliervi deve:
io do l’anima – gran sacrificio! –
e, sacrificandola, non m’aspetto ricompense:
a che mi serve l’oro? e la corona d’alloro?
Ma la do perché in questo dono
c’è un germoglio che può crescere:
delitto non v’è più grave
che uccidere l’inizio d’una nuova vita.

Parole, da me fuste generate, e per severa
via vi condurrò all’ultima meta.
Lucete di luce trepidante e pura.

1912


ПЕТЕРБУРГ

      Евгению Павловичу Иванову

Что замедляет колесницы бег, ‒
Иль опускаешь ты бразды, возница?
На черноту ветвей ложится снег,
А призрачное небо не глядится.

Пространство все охлаждено, и мера
Уже не учит больше ничему,
И видится притихшему уму
За ними хитрая химера.

24 декабря 1923 – 4 января 1924
Петербург


PIETROBURGO

      A Evgenij Pavlovič Ivanov

Cos’è che rallenta del cocchio la galoppata?
O sei tu a mollare le redini, cocchiere?
Sul nero dei rami la neve è adagiata,
ma il cielo illusorio non si fa scrutare.

Raffreddato è lo spazio, e la misura
non insegna più niente,
e si mostra alla già sobria mente
al di là l’astuta chimera.

24 dicembre 1923 – 4 gennaio 1924
Pietroburgo


НА КРЕСТЕ

Глухая боль. Не стало муки.
Собрал остаток прежних сил
И говорю − кому, не знаю −
«Прости, Господь, а я простил».

В последний раз перед глазами
Войска пройдут и прозвенят,
И пробежит по тонкой жерди
Коза за парою козлят.

В последний раз ласкает солнце
Мне темя сладостным лучом.
Скажи, Господь, скажи скорее,
Чего желать? молить о чем?

Недолог солнца путь к закату.
Продлись, продлись! Хочу взглянуть
В последний раз туда, на солнце.
Но головы не повернуть.

1912


SULLA CROCE

Dolore sordo. Cessato è lo strazio.
Raccolgo i resti del vigore passato
e dico (a chi, non so):
“Perdona, Signore. Io ho perdonato”.

Per l’ultima volta davanti agli occhi
le truppe, passando, riecheggeranno,
e le capre sulla sottile pertica
dietro ai capretti correranno.

Per l’ultima volta il sole m’accarezza
il capo con un dolce raggio.
Dimmi, Signore, dimmi al più presto:
cosa desiderare? Cosa chiedere poss’io?

Breve è del sole il cammino verso il tramonto.
Protraiti, protraiti! Voglio guardare
per l’ultima volta il sole.
Ma è la testa a non girare.

1912


ОСЕННИЙ ВЕЧЕР

Покрыта листьями земля.
Деревья тихи и суровы.
Спадают вечера покровы
На опустевшие поля.

Зажгутся звезды через час,
И Смерть придет стопою строгой:
За той широкою дорогой
Я встретил взгляд следящих глаз.

Она – как рыцарь: строен стан,
Все одеяние литое,
Блестит оплечье золотое,
И реет мертвенно султан.

Она идет на верный лов,
Не обнажит меча напрасно,
И потому так небо ясно,
Что я принять ее готов.

Покорный сердцем, тихо я
Тебя, Таинственную, встречу
И на лобзание отвечу
Лобзаньем крепким, Смерть моя!

1912


SERA D’AUTUNNO

Di foglie è il suolo coperto.
Gli alberi stan in una quiete severa.
Cadon i veli della sera
sul campo deserto.

S’accenderan fra un’ora le stelle
e verrà la Morte a passo austero:
oltre l’ampia via dov’ero
il vigil sguardo incrociai di due pupille.

Lei è come un cavalier: fisico atletico,
di metallo fuso è l’armatura,
brilla delle spalline la doratura,
e sventola il pennacchio fatidico.

Lei ha il colpo fortunato,
non denuderà la spada invano,
e perciò è sì il ciel sereno,
che ad accoglierla son preparato.

Quieto io nella docil apatia
Te, Misteriosa, incontrerò
e al bacio risponderò
con un gran bacio, o Morte mia!

1912


*

    Аз орю и добре землю делаю, ты по ней посей,
                                     яко да обогатееши.
    Не угаси, молю, малые искры, лежащие в тебе,
    да не от Бога наказан имаши быти, яко погубив правду.

                                                                 Иоанн Неронов

    Не признавай того истинным мудрецом
    Кто ради сей жизни подчиняет свой ум боязни и страху.

                                                   Авва Исаак Сириянин.
                                                   Слова подвижнические

ЛЕГЕНДА СТАРОГО КАМИНА

На старом камине ангел и мопсик.
Теперь-то уж мертвы – их Бог наказал, −
А жили когда-то, и будто недавно.

Вчера иль сегодня? – в памяти стерлось,
Но стрелки часов не успели уйти,
Стоят, чтобы старая сказка осталась.

У ангела с мопсом крепкая дружба
В то старое доброе время была:
Где ангел – там мопсик, в игре и проказах,

Где шалости каждой шумная радость!
Я ангелу ваксой усы рисовал,
А мопсу на хвостик навязывал бантик.

Мне няня-ворчунья шепчет, бывало:
«Да полно же, милый, шалить и шуметь,
Вот ангел-то ночью возьмет да и скажет...»

Я ангелу тихо: «Где ты бываешь?»
Он добрый, а хитрый. Не скажет никак,
Куда он летает. И только смеется.

Ходила к ним в гости черная Машка,
Им ведьмина кошка шептала слова
(Тогда-то я знал их, теперь же не помню).

Ну что ж? Нашептала! Бедненький мопсик:
Сшалил над ним ангел похуже меня –
Глаз бедному мопсику выколол ангел.

У серого мопса крепкие зубы.
Пред ангелом он не остался в долгу
И правое крылышко вовсе оттяпал.

Так кончилась дружба ангела с мопсом,
И кошка к ним в гости не стала ходить.
Когда же это было – вчера иль сегодня?


*

    Io aro la terra e la rendo fertile, tu seminala
                                           e arricchisciti.
    Non spegnere, ti prego, le piccole scintille che giacciono in te,
    affinché tu non sia punito da Dio, giacché hai ucciso la verità.

                                                                     Ioann Neronov

    Non ritenere un vero saggio
    chi per amore di questa vita asserve il suo ingegno alla paura.

                                                                     Isacco di Ninive,
                                                                     Discorsi ascetici

LA LEGGENDA DEL VECCHIO CAMINETTO

Sul vecchio caminetto ci sono un angelo e un carlino.
Ora sono già morti (Dio li ha puniti),
ma vissero un tempo, e pare poco fa.

Oggi o ieri? Si è cancellato dalla memoria,
ma le lancette dell’orologio non si sono mosse,
stanno ferme, affinché la vecchia favola rimanga.

L’angelo e il carlino da una forte amicizia
in quel buon tempo antico erano uniti:
dov’è l’angelo, là è il carlino, fra giochi e birichinate,

e ogni monelleria è gioia fragorosa!
Io disegnai all’angelo i baffi con il lucido da scarpe
e al carlino sulla coda annodai un fiocchetto.

La tata brontolona soleva sussurrarmi:
“Ora basta, piccolino, fare i capricci,
se no stanotte viene l’angelo e ti sgrida...”

E io all’angelo, piano: “Che posti frequenti?”
Lui è buono ma furbo. Non dirà mai
dove vola. E si limita a ridere.

Andava a trovarli la nera Maška,
la gatta della strega sussurrò loro qualche parolina
(allora la sapevo, ma ora non ricordo).

Embè? Funzionò! Povero carlino,
l’angelo lo trattò peggio di me –
un occhio al povero carlino cavò l’angelo.

Il carlino grigio aveva denti robusti.
Con l’angelo non rimase in debito
e l’ala destra gli staccò di netto.

Così finì l’amicizia dell’angelo col carlino,
e la gatta non andò più a trovarli.
Quando successe – oggi o ieri?


*

          С. В. Троцкому

Свет неживой?.. Он – нерожденный...
Я дебрями бреду седыми,
И взор, слезою увлажненный,
В сиянье зарном небосклона
Не зрит ли там – в закатном дыме,
Таинность матерняго лона?

Вдали, где скован лес в ограду,
Зажжен высоко светоч смольный
Душе измученной в отраду.
Но сердце тлится темной раной.
Иду – быть может, враг невольный –
К Тебе, Христос, Тобою званный.


*

          A S. V. Тrоckij

Luce non viva?.. Non è mai nata…
Io pel bosco bighellono, canuto labirinto,
e la vista da una lacrima lavata
al rovente chiaror della celeste coltre
non mira forse lì, nel fumo del tramonto,
il mistero del materno ventre?

Lontano, dove s’erge la recinzione,
è acceso in alto un lume resinoso
dell’anima tormentata a consolazione.
Ma il cuore marcisce per un’oscura ferita.
Vengo – nemico per caso –
da Te, Cristo, su Tua chiamata.


*

Песнь последняя моя,
Спета ты в ночном томленьи
И умолкнешь в отдаленьи,
Вместе с эхом погребенная.

Что же тайная судьба
Даст тебе? Когда ты снова
Прозвучишь в душе другого,
Сердцем чьим воскрешена?


*

Ultima canzone mia,
cantata sei nella notturna languidezza
e, sepolta, tacerai a distanza,
della sola eco in compagnia.

Ma che cosa il misterioso fato
ti darà? Quando nuovamente
risuonerai in un’anima vivente,
il cuore di chi ti avrà resuscitato?


АКТЕР

        В. Э. Мейерхольду
Я за кулисой в коридоре,
Трагический, усталый мим,
Смеялся звонко в глупом споре,
Шутя с товарищем моим.

Но вышел к ним с большою верой,
Там были мрак и тишина,
И только отсвет смутно-серый
Лежал на полости сукна.

И, на помост взойдя высокий,
Я пред зиявшей пустотой
Остановился ‒ ясноокий,
Душой спокойный и простой.

В молчанье навзничь лег, смиренно
Скрестивши руки на груди.
Лицо горело вдохновенно ‒
Не знал, что будет впереди.

О, что случилось! Ужас тайный
Еще сжимает сердце мне:
Я болью был необычайной
Вдруг поражен, и в вышине,

На потолке, во мгле предстало,
Светясь огнем, мое лицо,
И вкруг него затрепетало
Тройное яркое кольцо.

Кто ближе был – тот видел ясно
Мой отраженный строгий лик, −
А я без сил лежал, безгласно...
Вдруг резкий, исступленный крик,

Прерывистый, раздался в зале.
Весь всколыхнулся черный зал.
Там повскакали, побежали, −
И с шумом занавес упал...

Еще в ушах проклятья, крики
И вопль раздавленных людей, −
Но, Боже Правый и Великий,
В том не было вины моей.


АTTORE

        A V. Ė. Mejerchol’d
Io, dietro le quinte pazientando,
tragico, stanco mimo,
e discorsi sciocchi intavolando,
ridevo col mio prossimo.

Ma con gran fede andai lì fuori.
Regnava il buio muto.
Solo il riflesso di grigi colori
tingeva la cavità del tessuto.

E, salendo sull’alto patibolo,
io di fronte all’abissale vacuità
mi fermai, occhiceruleo apostolo,
con calma semplicità.

In silenzio, docile, mi misi sdraiato,
le braccia sul petto in croce.
Il mio viso ardeva ispirato.
Non conoscevo il futur atroce.

Ah, che accadde! Dall’arcano terror
è ancora il cor mio trafitto:
io fui da un insolito dolor
all’improvviso colpito, e sul soffitto,

in alto, dal buio ecco affiorare
il mio viso focoso,
e attorno ad esso trepidare
un triplo anello luminoso.

Chi era vicino vide nitido
del mio severo volto il riverbero.
Ed io giacevo attonito, languido…
All’improvviso grida acute esplosero

nella frenesia diffusa.
Tutta la sala nera ondeggiò.
Balzaron in piedi, fuggiron alla rinfusa,
e con un rumor sordo il sipario calò…

Ancor sento nelle orecchie le maledizioni della gente,
le urla dei calpestati e l’agonia,
ma, Dio Giusto e Possente,
non è stata colpa mia.


НОЧЬ ПЕРЕД РОЖДЕСТВОМ

Тихо в комнате моей.
Оплывающие свечи,
Свет неверный на стене.
Но за дверью слышны мне
Легкий шорох, чьи-то речи.
Кто же там? Входи скорей.
Полночь близко − час урочный!
Что толочься у дверей?

Дверь неясно проскрипела,
Растворилась. Гость полночный
Входит молча. Вслед за ним
Шасть другой. А за другим
Сразу два, и на пороге
Пятый. Лица странны: лев,
Три свиньи и змей трехрогий
Позади, раскрывши зев.

Ну и гости! Ждал иных.
Говорю им: скиньте хари,
Неразумные шуты,
И скорей свои хвосты
Уберите! Не в ударе
Вы сегодня. Видно, злых
Нет речей и глупы шутки −
Только я-то зол и лих.

Зашипели. Сразу злей
Стали рожи. Ветер жуткий
Дунул вдруг − и свет потух.
Но вдали запел петух, −
Свиньи в дверь, а лев кудлатый
За окно, и в печку змей.
Что же, бес иль сон проклятый
Были в комнате моей?


LA VIGILIA DI NATALE

Tutto tace nella mia stanzetta.
Si sciolgon le candele,
una luce fioca sul muro.
Ma dietro la porta catturo
un lieve fruscio, parole... che babele!
Chi è? Entra in fretta!
Incalza la mezzanotte – tempo convenuto.
Perché t’accalchi all’entrata?

La porta scricchiolò debolmente
e s’aprì. L’ospite di mezzanotte, muto,
entra. Dopo di lui scaltro
ne appare un altro. E dietro l’altro
due in un colpo, e sulla soglia, eccolo,
un quinto. Han visi strani: tre maiali, non manca
il leone e un serpente con tre corna, malevolo,
che le fauci spalanca.

Mamma che ospiti! Ne aspettavo uno diverso.
Dico loro: quei musi levateli di torno,
irragionevoli giullari,
e in fretta le code magari
sgombrate! Non è il vostro giorno
oggi. Chiaro, di perverso
nelle parole non c’è nulla, solo uno scherzo banale –
son io il cattivo, all’inverso.

Sibili. Subito per vendetta
s’incattiviron i ceffi. Un vento micidiale
soffiò d’un tratto – e la luce non fu più.
Ma cantò il gallo laggiù –
e via di corsa i maiali alla porta, il leone arruffato
alla finestra, e il serpente nella stufetta.
E allora, un demonio o un sogno dannato
son stati nella mia stanzetta?


*

Прикованный к постели,
Лежу давным-давно.
Белеется окно,
А сбоку смотрят ели.

Припомнишь жизнь былую,
Лихие кутежи, −
Гулял напропалую,
Но будет: полежи.

Все думаю. А страх
Томит, и сердце бьется:
Вдруг смерть-то подберется
И станет в головах?

1912


*

Inchiodato son a letto
moltissimo tempo fa.
La finestra imbiancandosi va
e mi sbircian gli abeti dirimpetto.

Ti tornerà in mente la vita vissuta,
le grandi baldorie perlopiù
− te la sei goduta,
ma ora basta: sta’ giù!

Penso sempre. E m’assale
la paura, e il cuore palpita:
e se d’un tratto la morte inavvertita
s’appressa e si ferma al capezzale?

1912


*

Рождается радость иная,
Чем дня пред закатом немое томление,
Иль глыбой гранита взметенный прилив,
Иная, чем в церкви вечернее пение, −

Нежданная радость, как в парке забытом
         тропы уводящей извив,

Где, в запахе ландышей тая,
Возносятся запахи вешнего тления
И внятное молвит стареющий клен, −
То радость минувших веков откровения

В изорванном свитке, жрецом сребровласым
         начертанных мудро письмен.

6 декабря 1909


*

Nasce una gioia diversa
dal giorno che tramonta in muta letargia,
o dall’onda sollevata da un masso di granito,
diversa dal canto serale nella liturgia −

una gioia inaspettata, come nel parco dimenticato
         la sinuosità di un sentiero recondito,

dove nell’odore dei mughetti si riversa
la putrefazione primaverile coi suoi odori
e proferisce parole distinte l’acero invecchiando –
la gioia della rivelazione dei passati splendori

dei caratteri che va saggiamente tracciando
         nel rotolo lacero il sacerdote dagli argentei capelli.

6 dicembre 1909


L’edizione di riferimento per le traduzioni è SKALDIN, A. D. 2004: Stichi. Proza. Stat’i. Materialy k biografii, a cura di T. S. Car’kova, Sankt-Peterburg: Izdatel’stvo Ivana Limbacha, pp. 37, 51, 56, 60, 65-66, 69-70, 76, 87, 98-99.


Traduzione dal russo di Linda Torresin




Aleksej Skaldin
nasce nel villaggio di Korychnovo, nel governatorato di Novgorod, il 15 ottobre 1889. Figlio di un carpentiere di umili origini, nel 1905 si trasferisce con la famiglia a Pietroburgo, dove alterna il lavoro come fattorino presso una compagnia di assicurazione allo studio da autodidatta delle lingue e della filosofia russa e occidentale.
Nel 1912 esce la sua prima raccolta poetica, Stichotvorenija (Poesie), che segna a pieno titolo l’ingresso di Skaldin nel mondo letterario. Segue, nel 1917, la pubblicazione del romanzo mistico-filosofico Stranstvija i priključenija Nikodima Staršego (Peregrinazioni e avventure di Nikodim il Vecchio), suo capolavoro nonché ultimo grande frutto del simbolismo russo. Dopo la Rivoluzione Skaldin si rifugia a Saratov, dove insegna in prestigiose istituzioni, dirige il Museo Radiščev e inaugura uno studio teatrale.
Accusato ingiustamente di aver trafugato alcuni beni appartenenti al Museo Radiščev, subisce nel 1922 la sua prima condanna a tre anni di reclusione, che sconterà solo in parte grazie all’intercessione di Vjač. Ivanov, F. Sologub e Al. Čebotarevskaja presso A. Lunačarskij e L. Kamenev.
Nel 1933 Skaldin è arrestato per la seconda volta per i suoi contatti con il “populista” R. Ivanov-Razumnik e condannato a cinque anni di confino nel Kazachstan. Ad Alma-Ata Skaldin scrive romanzi, versi, racconti per un totale di 4000 pagine: il tutto è andato perduto dopo il terzo arresto, avvenuto nel 1941 per “calunnia a danno dei cittadini”. Una seduta speciale della NKVD condanna lo scrittore a otto anni di detenzione nel Lager di Karaganda.
Qui Skaldin troverà la morte nel 1943, all’età di 54 anni. Riabilitato nel 1995, Skaldin diventa oggetto di studi e ricerche a partire dagli anni Novanta. Nel 2001 vede la luce una monografia sulla vita e sull’opera di Skaldin firmata da A. Ackermann. La prima raccolta completa della produzione skaldiniana risale invece al 2004 ed è curata da T. Car’kova.


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