FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 22
aprile/giugno 2011

Miti & Leggende

 

SILENZIO, PARLA IL MITO

di Armando Santarelli



Se fossi il Ministro dell’Istruzione del nostro Paese, non esiterei un minuto a inserire la lettura dei miti greci nel programma della Scuola Elementare, sin dalle prime classi. A parte la piacevolezza dell’argomento, credo che lo studio del mito rappresenti una delle discipline più stimolanti per accrescere le facoltà critiche e interpretative di una mente in formazione.
Chi ha avuto la fortuna di conoscere i miti greci da bambino, avrà sperimentato quel senso di mistero che li accompagnava, la consapevolezza che, ancor più delle favole che ascoltavamo da genitori e nonni, i miti conservavano un “oltre”, un qualcosa di non detto, di segreto.
In effetti, semplice nell’esposizione, il mito si pone all’attenzione di chi vuole indagarlo come un fenomeno molto complesso. Prova ne è il fatto che nessun altro concetto della tradizione culturale occidentale è stato sottoposto a più tentativi di definizione, tentativi che a oggi non sono ancora terminati.

«Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre».
Impossibile superare in chiarezza e concisione questo splendido giudizio sul mito, pronunciato da Sallustio nel IV secolo d.C.
Che cosa unisce l’avventura di Giasone, il film Alla ricerca di Nemo, la conquista dell’Everest da parte di Edmund Hillary? La narrazione mitica: tutti questi personaggi affrontano un viaggio lungo e pericoloso, combattono contro avversità e nemici, e infine tornano a casa vittoriosi. È sempre il mito a collegare Prometeo, Robin Hood e Arsenio Lupin, ladri gentiluomini pronti a rubare ai ricchi per dare ai poveri.
Da un certo punto di vista, la storia dell’Umanità non è altro che una successione di miti, che ci avvicinano alle radici del nostro lungo e misterioso passato.

Quando parliamo di “mito” la mente di ognuno va subito alla Grecia classica (in effetti, la parola deriva dal greco mythos, che significa “discorso”, “racconto”). Ma il mito non è privilegio dell’Occidente, perché ha costituito la spiegazione primaria dell’origine del mondo per tutte le civiltà. La più grande narrazione mitica di ogni tempo non è occidentale, ma indiana; parliamo del Mahabharata, poema epico composto di 100.000 strofe, il cui nucleo centrale era già noto nel 1500 a.C.
Oggi consideriamo assodato che i miti siano forme di comunicazione universale e senza età. Ma non è stato sempre così. Il fatto che “queste cose non avvennero mai”, che le storie mitiche non trovassero riscontro nella realtà, ha costituito per secoli un serio ostacolo al loro studio e alla loro comprensione.

Ci sono voluti i moderni studi antropologici per segnare una netta inversione di tendenza, collocando il mito nella dimensione scientifica e letteraria che gli compete. Ma ancor prima, è un filosofo italiano, Giambattista Vico, a riflettere scientificamente sul mito. Vico considera il mito come una figura autonoma di pensiero, una verità diversa da quella intellettuale solo nella forma, perché espressa in modo poetico e fantastico. I miti rappresentano l’inizio di un linguaggio articolato, il primo contenuto descrittivo dell’origine dei popoli primitivi.
Nel periodo illuministico e per buona parte dell’Ottocento ci si allontana nuovamente dallo studio dei miti, bollati come credenze “false e irrazionali” perché non fondati sulla realtà.

Nel XX secolo, però, le cose cambiano definitivamente.
Dopo aver analizzato un imponente numero di miti elaborati in culture e tempi diversi, l’antropologo inglese James Frazer, nel celeberrimo Il ramo d’oro (1925), afferma che il mito e il rito, benché si manifestino in modo diverso nel tempo e nello spazio, si strutturano intorno a delle costanti archetipiche del pensiero umano.
Un altro grande antropologo, Claude Lévi-Strauss, parla del mito come di un qualcosa che «viene percepito come tale da ogni lettore in tutto il mondo». Espressione dell’attività inconscia dell’essere umano, il mito risponde a un’esigenza universale, e non è affatto irrazionale, perché l’uomo ha sempre pensato e agito in modo logico. Il problema, allora, diventa non come gli uomini costruiscono i miti, ma «come i miti si pensano negli uomini, e a loro insaputa».

Se in tutti i sistemi mitici rintracciamo dei significati basilari del pensare e vivere umano, il collegamento mito-religione diventa ineliminabile. Per Mircea Eliade il fondamento e il valore dei miti sta proprio nel loro carattere di “ierofanie”, ovvero di rivelazioni del sacro. I miti costituiscono il modello delle azioni umane perché ripetono e attualizzano, in un eterno ritorno fissato dal calendario delle feste, la realtà sacra del tempo primordiale.
Analogamente, Cassirer vede nel mito una forma spirituale, il cui senso e la cui coerenza provengono dal sentimento, dal fondamento emotivo insito nell’animo umano.

Comunque li si voglia connotare, i miti non sono false leggende, ma potenti storie per immagini legate alla religione e ai culti primordiali, che codificano esperienze relative alla nascita, alla sofferenza, alla morte.
Siamo impregnati dei miti che tutte le culture hanno elaborato per ogni settore dell’esistenza perché la mentalità mitica ci ha salvato dall’angoscia di non sapere, di non poter dare una spiegazione a ciò che avveniva intorno a noi. Una mentalità che non ci ha mai abbandonato; ogni mutamento storico-sociale esprime la sua visione del mondo attingendo ai miti, piegandoli ai suoi scopi, creandone di nuovi. Penso, ad esempio, alla “mitologia della ragione” presente nell’Idealismo tedesco, o all’aspirazione a un “nuovo mito” rivendicata, nel XX secolo, dal sindacalismo radicale di Sorel, e ancora, ai miti della razza che le ideologie nazionalsocialiste e fasciste cercarono di inculcare nella masse popolari.

Oggi l’Olimpo delle celebrità è composto dai divi del cinema, della canzone, dello sport, che troneggiano nel nostro mondo grazie alla potenza e alla pervasività dei media.
Se non c’è disciplina che non debba qualcosa ai personaggi e al linguaggio del mito, non c’è dubbio che, nel tempo, è stata la letteratura a registrare la più ampia e profonda influenza della narrazione mitica.
Tra le forme elementari che nelle varie epoche le opere continuano a utilizzare e riadattare, il teorico della letteratura Northrop Frye individua l’archetipo, cioè l’immagine tipica o ricorrente che riscontriamo in opere diverse e che ci permette di collegarle fra di loro. E poiché gli archetipi si ritrovano ad ogni livello ed epoca letteraria, tutta la letteratura appare a Frye immersa nella miticità. Il mito è la tendenza a raccontare una vicenda che è in origine storia di personaggi che possono fare qualsiasi cosa.

Nella narrazione mitica molti personaggi sono esseri sovrumani che fanno cose che accadono solo nelle favole. Il mondo del mito prescinde totalmente dai canoni di verosimiglianza e plausibilità dell’esperienza comune, e solo gradualmente si trasforma nella tendenza a narrare una storia credibile o plausibile. I miti degli dèi si trasformano in leggende di eroi, queste in intrecci di commedie o tragedie che, a loro volta, si trasformano in narrazioni più o meno realistiche. Le trame di romanzi come Tom Jones e Oliver Twist, trame imperniate sul mistero della loro nascita, si possono far risalire a Menandro (nella commedia Gli arbitri), da Menandro allo Ione di Euripide, e da Euripide alle leggende di Perseo e di Mosè.

Riassumendo, il pensiero mitico origina in ogni parte del mondo e in ogni cultura.
Tuttavia, è chiaro che nessuna indagine scientifica o letteraria del fenomeno può prescindere dalla mitologia greca come oggetto di riferimento. Il mito greco, come ebbe a sottolineare il filologo tedesco Walter Burkert, resta “paradigmatico”. Miti “ctonii”, legati ai cicli della natura, miti “orfici”, che svilupparono il tema della purificazione dell’anima, religione olimpica, che esaltò l’ideale apollineo, espressione di armonia, ordine, serenità: la ricchezza dei miti greci copriva l’intero quadro del mondo, nell’intento di comprenderlo e di dargli un ordine.

Nell’era dell’uomo-cyborg continuiamo a riferirci a Edipo, Medea, Ercole, Afrodite, nomi e destini che moriranno insieme con noi, nella notte dei tempi.
Ne volete una prova?
Il mito di Orione è così affascinante, e la costellazione che porta il suo nome talmente bella, che in ogni epoca governatori, re, imperatori, cercarono di sostituire il loro nome a quello del bellissimo gigante collocato in cielo dagli dèi. Ma dopo la morte dei sovrani, i sudditi tornavano subito a chiamare la costellazione col suo nome originario.
Ieri come oggi, i racconti della fantasia che chiamiamo miti continuano a dimostrarsi più forti di qualsiasi realtà.


Nicolas Poussin, Orione cieco alla ricerca del sole nascente, 1658
(Metropolitan Museum of Art di New York)


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