FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 22
aprile/giugno 2011

Miti & Leggende

 

OMBRE MINACCIOSE SULLA NEVE

di Emanuele Ponturo



Stefano è alla finestra, il riscaldamento non funziona, si tira addosso la coperta trascinandola via dal letto. Il cielo è scuro, un concentrato di nuvole nere. Sta per piovere. Guarda fuori, ricorda quei momenti.

Sabato mattina.

Niente scuola.

Partenza per la montagna.

Avevano deciso di passare qualche giorno fuori Roma a casa dei genitori di Chicco, il cugino grande, diciannovenne, di Edo e di Barbara. Stefano era abituato alla montagna, ai lunghi percorsi dietro alle bestie quando il nonno lo portava con sé. Il premio per quella fatica era un bicchiere di gazzosa, una volta tornati alla cascina.

Mi faccio trovare alle sette in punto là sotto.

Barbara per tutto il viaggio non l’aveva preso in considerazione, non gli aveva mai rivolto la parola, era solo un ragazzino, semplicemente non esisteva.

Non dovevo venirci con loro.

La macchina la guidava lo Scafato, che ci provava in continuazione con lei con tutti quei gruppi di musica con cui si riempiva la bocca, e Barbara lo stava ad ascoltare con gli occhi grandi, mentre lui zitto, perché non ne conosceva nemmeno uno.

Me li sparerò tutti pure io.

Stava seduto dietro con Edo che dormiva, mentre dal finestrino aperto di Barbara il vento gli buttava all’aria i capelli, e s’era rotto di metterseli a posto in continuazione.

Vaffanculo.

All’uscita dell’autostrada si erano fermati ad aspettare l’altra macchina seminata dallo Scafato. Avevano deciso di andare diretti alle piste, tutti avevano voglia di neve. Curve su curve e, appena scesi, Barbara aveva preso uno slittino. Stefano non riusciva a toglierle gli occhi da dosso mentre cadeva sulla neve e si risistemava il berretto di lana, i guantoni, i pantaloni della tuta che le stava un po’ larga e le cascava dai fianchi e Stefano era pure riuscito a vederle per un secondo le mutandine bianche. Non aveva abbastanza soldi per affittare lo slittino, allora al bar s’era fatto dare un sacco della spazzatura per scivolare sulla neve con quello. Cercava di seguire la linea che Barbara lasciava dietro di sé, attento a schivare il ghiaccio duro. Da sotto Edo tirava palle di neve alla sorella, a ogni discesa. Gli altri se ne stavano sbracati sulla neve.

Prima calata.

Seconda.

Terza.

Ti sto dietro.

Ora Barbara s’era rotta delle palle di neve lanciate da Edo.

L’aveva inseguito.

Vi raggiungo anch’io.

Ultima calata.

Una pietra sotto il culo.

Porcam’ male boiaaa.

Barbara intanto aveva raggiunto il fratello e l’aveva buttato a faccia in giù, e Stefano si era fermato a guardarli da sopra.

Calmo, stai calmo.

Non è successo niente.

Ma che male cane al culo!

Stava fermo, gli faceva male il sedere e se ne vergognava, s’era buttato di lato a guardarli.

Non s’aspettava che Barbara fosse così forte.

Era più forte del fratello, come un maschio. Gli stava buttando addosso cumuli di neve, ma Edo non ci stava, e per svincolarsi s’era pure beccato una gomitata in faccia.

“Sei una stronza.”

“Hai iniziato tu.”

La voglio anch’io una sorella.

Dopo la giornata sulla neve, a casa del cugino lei se ne stava per conto suo nell’altra stanza e Stefano, con la scusa di passarle una lattina di Coca Cola, s’era avvicinato.

“Ti piacciono i lupi?”

“I lupi?”

“Stanno là fuori.”

“Saranno cani.”

“Se non ci credi esci con me.”

“Vacci da solo.”

S’era alzata. L’aveva mollato là nella stanza. Stefano allora l’aveva seguita, lei si era seduta accanto allo Scafato che le aveva passato del pane tostato, e mentre lo teneva tra le mani ci aveva strofinato sopra uno spicchio d’aglio, un po’ di sale e dell’olio.

“Mio fratello ha un amico scemo.”

Stefano non aveva più detto una parola.

Non aveva nessuna voglia di mangiare, né di parlare con Edo, aspettava solo che se n’andassero tutti a dormire, aveva solo voglia di buttarsi da qualche parte e non pensare più a niente, gli esplodeva il cuore dentro.

Ma nessuno aveva la minima intenzione di andare a letto.

Mezzanotte, l’ora di Cenerentola.

Lo Scafato sempre a parlare con lei.

L’una, l’ora delle streghe.

Lo Scafato continua a versarle il vino.

Le due, l’ora dei lupi.

Tutti allungati sul divano a passarsi una canna, con lo Scafato sempre più appiccicato a Barbara.

Le tre e un quarto, notte totale.

Alla fine si erano decisi ad andare a letto, Barbara s’era messa a dormire col fratello.

Avevano tirato giù il divano letto, mentre a Stefano era toccata l’unica poltrona, scomoda.

Ma almeno sto nella stessa stanza di Barbara.

Il respiro lento, gli occhi sgranati nel cercare il corpo di Edo e Barbara nel buio, e la sensazione di non entrarci nulla.

La prima notte con te.

Hotel Magliana. Pioggia sul vetro.

Notte nera, e i tuoi dèi sopra di me, hai preso il mio cuore, e i tuoi capelli sparsi sul cuscino come una danza che lega il tuo dio con tuo fratello, e tieni il mio cuore perché non si sleghi. Raccogli tutto, prendimi l’adolescenza.

La luce dei fari dalla strada viene sparata nel buio sulla parete.

Uno, due, tre, stella.

Il mio cuore è tuo.

Uno, due, tre, stella, ti sei mossa, e diventi una statua di sale. Orfeo scese nell’inferno e con la musica calmò non solo il custode degli inferi ma anche i tre malefici che dovevano giudicare le anime. E quando arrivò davanti al dio degli inferi, lui acconsentì che riportasse il suo amore nel mondo dei vivi, ma nel viaggio di ritorno non doveva voltarsi indietro nemmeno una volta.

Uno, due, tre, stella, solo questo il patto: non guardarla.

Uno, due, tre, stella, ti sei mossa e io non posso non guardarti, sei troppo bella. Uno, due tre, stella e ti guardo. Uno, due, tre, stella, statua di sale, mai più con te. Mai più con te.

Non poteva farne a meno, era rimasto a guardarla fino all’alba.

Barbara e Edo dormivano uno a fianco all’altro, scomposti, abbracciati, col piumone attorcigliato alle gambe, i jeans ancora addosso. La brace della notte continuava a restare accesa nel camino. La stanza calda, le lenzuola scivolate sul pavimento, un raggio di luce dalle imposte di legno.

Nella stanza dell’hotel fa un freddo umido, Stefano si stringe meglio la coperta sulle spalle. Stefano nella casa in montagna guarda Edo che si gira verso Barbara per ripararsi dalla luce che entra dalle imposte.

Ti sei accorta di me?

Ti guardavo.

Notte, vino rosso e Coca Cola, avanzi di aglio sul pane abbrustolito, olio, pezzi di pomodoro e grasso sulla griglia, notte insonne, e corpi da guardare senza capirne il senso, l’odore amaro, respiro e amore da non capirci niente, sguardo e contatto, intimità, tutto insieme, notte nuda e cruda, e amore, amore senza fiato, mescolanza con tutti gli dèi dell’adolescenza, notte totale.

 


Il brano è tratto dal romanzo L’odio. Una storia d’amore, uscito in questi giorni (maggio 2011) per la casa editrice romana Fermento. Il libro è una rilettura drammatica della favola di Cappuccetto rosso, ma senza lieto fine. Un noir dai toni fiabeschi che narra la storia di un’ossessione d’amore tra due adolescenti: una passione ambigua e malata che sfocia in violenza.


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