La guardo attraverso un diaframma di vetro, la mia città. Non un filo di fumo, non una luce. La neve ha già ricoperto le pietre a terra, le balaustre cadute, i frontoni. Colori stinti si stingono ancora di più: l’acquerello del tempo, un’altra mano di acqua, una di neve sul foglio già bianco.
I colori si sono arresi. I tetti interrompono il disegno della neve, grondaie sbandate, finestre spalancate al freddo.
Fa troppo freddo qui, ti entra nelle ossa, nella mente. Solo la memoria registra. Le mani intirizzite cercano un po’ di calore nelle tasche. Trovano solo un mazzo di chiavi. Lo stringono, forte. Metallo come quello delle impalcature, dei ponteggi. Una grotta di stalattiti e stalagmiti. Colonne di ferro e di ghiaccio.
Cammino piano, con attenzione. Come in un campo minato.
Croci di ferro e croci di legno.
Manca soltanto il filo spinato, ma ci sono le transenne e il cartello che ripete ZONA ROSSA.
“Non ora, non qui.”
Le poche erbe selvatiche cresciute sulle macerie soccombono sotto il peso della neve. Non ho mai odiato così tanto la parietaria e l’incuria.
La neve è come uno specchio: tutto si vede meglio. Risaltavano i colori accesi della periferia: cipria, fard, ombretti dalle tinte impossibili. Qui, invece, tutto si sta avvicinando al bianco. Il cielo è così basso che sembra un coperchio di nuvole.
Non ci sono rumori, silenzio fitto, all’incrocio dei vicoli.
Assenze che si sommano alle assenze. Sarà che il silenzio è ormai una condizione dell’anima. Sarà che il natale (Buon natale, Felice natale, Bianco natale... A natale puoi...) fa risaltare ancora di più, per contrasto, questo vuoto, l’enorme silenzio.
Ha un peso difficile da reggere questa neve: soffoca, toglie l’aria che s’è fatta acqua, il fiato è diventato fumo.
“Non ora, non qui”.
In fondo alle tasche cerco una parola ma la speranza ha un coltello a due lame: taglia sempre, ferisce, fa male.
Vivere con la speranza è una difficile convivenza. Non sai mai dov’è, quando arriverà. Se arriverà.
Fa freddo qui, troppo freddo. Ma la speranza conosce bene questa neve, questo freddo, questa desolazione. Viveva qui, fino a ieri. Agli incroci dei vicoli, nelle piazzette, dietro i cantoni, vicino gli stipiti di queste porte. Stava dentro le fontane, oggi ghiacciate. Negli interstizi delle pietre. Nelle stufe accese, tra i carboni rossi e bianchi. Nelle case, nelle stanze piene. Oggi non saprei dove trovarla, la speranza. E il futuro?
Cammino lungo il vicolo e le ombre sono dense , liquide. I miei passi continuano a scandire, come un mantra: “Non ora, non qui.”
Esco dalla grotta, esco dal buio. La luce infastidisce. Danno fastidio le voci e i rumori. Ma la vita è qui, dall’altra parte della città, abbarbicata alle sue mura. La vita è nelle insegne accese, negli addobbi di Natale, nel brulichio della gente affaccendata, nei fari delle macchine che fanno risaltare i mulinelli di neve.
La vita è nelle case piene, nelle finestre chiuse, dove forse arriverà anche la speranza. Si siederà al tavolo, anche se non invitata. E sarà ben accetta quando arriverà. Le faremo posto. La ospiteremo, come fa sempre la mia gente, senza farle troppe domande.
Le chiederemo soltanto perché ci ha messo così tanto a tornare.
L'Aquila dopo il terremoto del 6 aprile 2009
patrizia.tocci@email.it
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