È uscita da pochi mesi una antologia del poeta venezuelano Igor Barreto, tradotta in italiano dal nostro Alessio Brandolini. Ha per titolo Terranera (Raffaelli 2010, nella collana Poesía diretta da Carmen Leonor Ferro), così come una raccolta del poeta uscita nel 1993, e presenta, in chiusura, la sezione di inediti “Colori sporchi”.
Quella di Barreto è una poesia assai suggestiva ed apparentemente semplice, che punta dritto al cuore, all’essenziale delle cose, evitando accuratamente barocchismi e stilizzazioni. Tecnicamente l’autore unisce i ricordi della propria infanzia alla realtà storica del Venezuela contemporaneo e mescolando, con maestria e sapienza, prosa e poesia.
Nel numero 16 di "Fili d'aquilone" Igor Barreto ci concede un’intervista in cui afferma che alla poesia ci si arriva attraverso la prosa, abbandonando l’ossessione per la trascendenza. È in pratica un’esplorazione nella terra di mezzo, tra prosa e poesia, tra vita e morte, tra luce e buio. E la terranera del titolo significa proprio questo: ritrovare il luogo interiore dove sgorga la poesia, lo spazio integro, inalterato dal tempo, immergersi nella perfezione del silenzio (“anello perfetto di purezza”).
In questa ottica il colore nero assume una particolare importanza. È metafora di silenzio e di solitudine, cercando però nuove strade e nuovi imprevedibili percorsi di conoscenza in mezzo al deserto del presente che è fatto di “colori sporchi”.
(...) Lo spazio nero dove palpita il mio cuore; feltro spugnoso in cui sono piena durata, lento movimento di aria ed emozioni. (…) Il nero profondo da dove pendono le galassie; come decorazioni tra i capelli di una donna nascosta.
(pag. 87)
Ovviamente al colore nero si associa quel silenzio che è anello perfetto di purezza, metafora sì di solitudine, ma anche di congiunzione col trascendente, perché quel silenzio è pieno di voci.
(...)
Il silenzio è il mio anello perfetto di purezza: il cerchio che una goccia lascia nella sua breve caduta.
(pag. 57)
Qualcuno parla ma non capisco. Rimango con la mente silenziosa e i miei sensi attenti al silenzio.
(pag. 69)
Il silenzio l’ho appreso da uno spago bianco sulla riva del fiume. I miei occhi attenti e le nuvole che passano pigre nell’andirivieni delle stagioni.
(pag. 81)
È chiaro che il silenzio e il nero sono metafora del mistero che circonda la nostra esistenza, il mondo ultraterreno che, sebbene sia in contatto con la realtà, è da essa inesorabilmente diviso. Poco può fare il gallo, metaforica e vigorosa figura che unisce i due mondi, colui che canta nella notte per annunciare la luce.
Sempre nella citata intervista Barreto paragona il gallo all’arcangelo Gabriele, ovvero a colui che annuncia la luce, a colui che, pur tra mille dubbi, lotta imperterrito contro le tenebre e il male.
(...)
Da parte mia, so che i galli cantano una frase musicale ben composta i cui quattro accenti sono una chiamata e un messaggio per qualcuno che è assente.
(pag. 23)
(...)
È un pennuto che canta come l’arcangelo Gabriele spaventando le ombre, con quattro inflessioni musicali ben distinte.
(pag. 41)
Il colore nero sembra anche avvolgere la folta galleria di personaggi di Igor Barreto. Non sono mai eroi, ma gente semplice e povera, tenaci lavoratori della terra, barcaioli, militari, vittime e assassini, vite che rapidamente scivolano nel nulla e nel silenzio. Sono almeno sei ritratti in prosa con un splendido epitaffio in chiusura. Si va dal barcaiolo sbranato da un caimano al ladro di bestiame vittima dei suoi carcerieri, dall’altro barcaiolo vittima della potenza di un fiume, al perseguitato ucciso brutalmente dai militari. Carnefici e vittime sono i due lati di una stessa medaglia, la luce e l’ombra di una vita in bilico tra prosa e poesia. E il Venezuela, terra natale del poeta, diventa putrida madre intrigante, corrotta e destinata a porre termine ad una “razza perversa”.
Difendendo una madre intrigante chiamata: Denaro, combattono due figli di Tebe e pongono fine a una razza perversa.
(pag. 17)
La poesia quindi, secondo Barreto, apre nuovi percorsi di conoscenza, mondi che possono essere anche sciamanici eppure dominati dal caos, dal dolore, dagli ossimori, dall’acqua che brucia (“Colpito dai rami / il fiume s’infiamma”). È inevitabile quindi, alla fine di questa analisi, il paragone con la poesia del suo traduttore, di Alessio Brandolini e il suo Tevere in fiamme che oltre ad essere archetipo di una società alla deriva è anche metafora di una “terra di mezzo”, difficile da comprendere e da conquistare: è la “terranera” appunto, la terra dell’autentica poesia.
Igor Barreto, Terranera, Antologia poetica, a cura di Alessio Brandolini, Rimini, Raffaelli Editore, pagg. 109, euro 12,00.
Igor Barreto è nato a San Fernando de Apure (Venezuela) nel 1952. Ha studiato teoria dell’arte nell’Università di Bucarest, dal 1973 al 1979. Laureatosi nel 1982 per poter partecipare al laboratorio poetico del Centro di Studi Latinoamericani Rómulo Gallegos, nello stesso anno pubblica la raccolta poetica ¿Y si el amor no llega? e qualche anno dopo vince il premio municipale con Soy el muchacho más hermoso de esta ciudad (1986), seguita da Crónicas llanas (1989). Nel 1993 riceve il primo premio dell’Università Centrale del Venezuela per la raccolta poetica Tierranegra. Nel 2001 pubblica Carama, seguita nel 2006 da due nuovi libri di poesia: Soul of Apure e El llano ciego.
Barreto è professore universitario di letteratura all’Università Centrale di Caracas e all’Università Metropolitana, ed editore (in collaborazione con altri poeti) della collana di traduzioni Luna Nueva. Ha tradotto dal rumeno le poesie di Lucian Blaga e pubblicato libri per bambini. Collabora come giornalista a testate nazionali e a varie riviste letterarie. Suoi testi poetici sono stati inclusi nelle più importanti antologie sulla poesia contemporanea venezuelana e tradotti in inglese e francese e ora anche in italiano. Nel 2007 è stata pubblicata in Spagna una vasta antologia, riprendendo il titolo della raccolta del 1993, Tierranegra (Selección de poemas). Nel 2008 gli è stata assegnata la borsa di studio dalla fondazione Guggenheim.
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