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GUIDO ZAVANONE Il viaggio stellare di Alessio Brandolini |
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Così muove e s’evolve l’universo senza scopo apparente Guido Zavanone
Largo poema diviso in venticinque parti, Il viaggio stellare di Guido Zavanone (San Marco dei Giustiniani, 2009) è un lavoro inconsueto, che sorprende per la sua visionarietà dantesca e il coraggio di ragionare sui nostri tempi immaginando un futuro – sebbene globalizzato – concepito dai nostri insensati comportamenti. Il richiamo all’Alighieri è dichiarato ed esplicito fin dai primi versi, anche se qui il viaggio va in senso contrario: non verso l’Inferno calandosi sotto Gerusalemme, ma salendo spediti verso il cielo spinti da uno slancio appassionato. Si ascende verso il Cosmo, in una specie di astronave a forma di magica nuvola estiva “e splendidi ci venivano incontro / dal concavo cielo / stormi infiniti di stelle / bianche e azzurre, raccolte / in multiformi costellazioni”.
Il protagonista di questo viaggio interstellare è l’autore stesso (Guido, appunto, nome così caro al giovane Dante) e anch’egli, come il sommo poeta fiorentino, ha una guida, dal corpo flessuoso di fanciulla il cui sorriso offusca gli astri. Il tragitto si fa ardito, ma il poeta man mano si rilassa, fino a sentirsi “una molecola / felice in sintonia con l’universo”. In buone ed esperte mani si naviga per “arcipelaghi di stelle, risucchiati / nello spazio e nel tempo” e ci s’imbatte subito nella morte (quella di una stella) e nella vita (quella della formazione dei sistemi planetari). Morte e vita, congiunte in un’esplosione di energia e colori.
Il percorso prosegue passando per il pianeta dei nani e dei giganti, quello degli ibernati, dei robot, delle ombre viventi tagliando per un buco nero... Un’avventura mitologica e cavalleresca, non priva di colpi di scena, eroica ed ironica ad un tempo, con richiami (oltre al citato Dante) a Milton, Ariosto e Cervantes, eppure tutto fluisce come un diario intimo, un intreccio di ricordi ed emozioni, un lucido sogno dove ogni particolare ha la sua importanza, il proprio significato:
Vengo da un pianeta chiamato Terra mi porta il dubbio per cui mi tormento, vago nel cosmo cercando qualcosa che non conosco o più non rammento.
Tra i tanti incontri di Guido (i genitori, un Dante alquanto avvilito) particolare importanza riveste quello con San Francesco “testimone / della fede che dona e non divide” e con tutti quelli che seguirono il suo coraggioso esempio di amore e povertà, come il missionario laico trucidato in Ruanda che si lamenta per non aver fatto abbastanza per gli altri. Così Il viaggio stellare di Guido Zavanone ci riconduce dal Cosmo alla nostra Terra martoriata, ai nostri tempi privi di etica e compassione, dove prevale la menzogna sulla cruda realtà (un testo è dedicato a Giordano Bruno), l’immagine sulla sostanza e il progresso scientifico e tecnologico rischia di convertirsi in regresso civile ed etico. Non a caso Giuseppe Conte intitola la prefazione al libro “Un poeta cosmico e metafisico” sottolineando il temerario impianto: “un viaggio al termine del senso, un sogno nel sogno, un’indagine cosmica, stellare, sui perché della vita, sul suo mistero insondabile e infinito”.
Un autentico anelito cristiano è lo speciale combustibile che conduce nello spazio la nuvola-astronave, con il poeta a bordo e alla guida una Beatrice cosmica e sapiente. Un viaggio stellare e visionario dagli effetti fantascientifici che sorprende il lettore, e lo invita a salire a bordo.
Guido Zavanone, Il viaggio stellare, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2009, con prefazione di Giuseppe Conte, pp. 104, euro 10.
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POESIE DI GUIDO ZAVANONE da Il viaggio stellare
I - LA NUVOLA
Allora sulla linea fiammeggiante dell’orizzonte una forma apparve ai miei occhi non vista dagli altri caduti in un sonno profondo s’ingrandiva avanzando veloce in sembiante di nuvola estiva scendeva azzurrognola e fitta a insinuarsi fin dentro la bocca oscura del tunnel. Dinanzi a me allargarsi le sbarre vidi e agile un’ombra varcava la soglia ben vigilata dal ferreo cancello come un campo magnetico la nube m’attirava, mi portava con sé. Salivamo, e al nostro passaggio si spegnevano suoni e rumori, i venti docilmente ripiegavano l’ali un silenzio inaudito ricopriva ogni cosa. Io pensando al silenzio di Dio gridavo atterrito versi sconnessi e parole prive di senso che ricadevano vuote ed inerti nello spazio infinito che m’avvolgeva. Soltanto più tardi m’accorsi di non essere solo, che dentro la nube una mano mi conduceva con quieta fermezza per sconosciuti percorsi, lontano dal verdazzurro pianeta. Sforato avevamo il grande velo dell’atmosfera e splendidi ci venivano incontro dal concavo cielo stormi infiniti di stelle bianche e azzurre, raccolte in multiformi costellazioni. L’essere che mi guidava l’intravedevo appena, aveva ali iridescenti di farfalla e corpo flessuoso di fanciulla nel volto luminoso ricordava le polene delle antiche navi. Ne spiavo i movimenti rapidi e sicuri al timone della mia vita, l’ondeggiare armonioso nel vuoto. Quando volse graziosamente il capo il suo sorriso offuscava le stelle. Un gesto della mano non so se di saluto ed una pace discese nel mio cuore sovrumana s’allargò come circoli nell’acqua tersa d’un fiume sotto le arcate alte della mente. Ormai troppo terrene le domande d’ieri e di sempre: “Chi muove il mondo, quale l’origine nostra, ove la meta.” Mi sentivo accettato, una molecola felice in sintonia con l’universo.
III - MORTE DI UNA STELLA
Fu proprio ad un risveglio che compresi come la guida mia compiutamente penetrasse sogni e pensieri. “Eterno – mormorò dal guscio d’ombra – parola grande inventata da voi a esorcizzare i vessilli stormenti della morte. Ora vedrai l’inganno della mente e come tutto anche quassù tra noi scolora e muore.” Aveva appena proferito le parole quando fulgido più di cento soli un astro apparve di color rosso vivo, ad ogni istante cresceva il suo splendore insopportabile alla vista. Improvvisa un’ala immensa solcò lo spazio sconfinato, un vento oscuro trascinava da millenni indecifrabili segnali. Affievolirsi a poco a poco spegnersi la luce vidi della stella carissima, contrarsi, accartocciarsi il grande disco, nero con antenne invisibili un abisso orrenda mantide succhiava lentamente divorava la stella; un crepitio, un sibilo affannoso ne accompagnava l’agonia. Io pregavo perché lo strazio interminabile finisse, invocavo tremando la misericordia del morire. E fu infine silenzio, una sottile nuvola ad arco sola traccia rimasta.
IV - FORMAZIONE DEI SISTEMI PLANETARI
Scintillavano nell’improvvisa tenebra le vesti e le bianche ali distese e osavo finalmente le parole che salivano con impeto alle labbra sin dall’inizio del viaggio celeste: “O mia guida gentile, fa’ ch’io sappia chi ti ha mandato a me e a quale impresa, mentre languivo nel buio cunicolo.” “Il desiderio tuo di conoscenza – rispose – gridava così forte ch’io lo intesi da un lontano pianeta e a te volai seguendo il soccorrevole mio istinto per aiutarti a cercare il vero al di là delle sbarre di quel cancello da cui fosti vinto. Vedrai nascere e crescere le stelle visiterai pianeti sconosciuti e gente nuova e ti verranno incontro l’ombre viventi e quelle dolenti dei defunti.” Giungemmo dunque presso nubi estese di gas e polveri e conobbi la culla immensa ove posa la materia che altra materia roteando veloce attira a sé con forza di magnete a formare le stelle. Ogni atomo irradia la sua luce libera nella direzione che gli pare ma insieme fanno come per incanto la gran luce stellare. Così avviene nei secoli ai poeti che ognuno muove per diversa via e poi formano uniti il gran sogno della poesia. Ed ecco un disco, cento dischi di fuoco e da ciascuno si staccavano due bracci spirali per avvolgersi come anelli attorno al centro, embrioni di sistemi planetari.
IX - IL PIANETA DEGLI IBERNATI
D’improvviso mi sembrò che scendessimo planando dolcemente poco dopo i miei piedi calpestavano un pavimento solido e compatto che si stendeva a perdita d’occhio senza mostrare alcunché di vivente. Dal cielo scendeva una luce livida, oscura, di temporale imminente o di notte che un lampo attraversa e improvvisa bussa alla tua porta la sventura. Io vidi un mare fermo di candidi marmi; a ogni metro, separate da un cancello di ferro, erano fioche trasparenze di vetro: da cui s’intravedevano avvolti in un lenzuolo e imbalsamati corpi simili ai nostri, irrigiditi, gli occhi persi nel vuoto, spalancati. “Tutto è immoto, impietrito - mi chiarì la mia luce – come dopo un’esplosione atomica, in attesa che tra secoli o forse tra millenni qualcuno d’improvviso li ridesti da quell’ibernazione e da quel sonno che rifuggendo da vita e da morte vollero procurarsi da se stessi.” A lungo rimanemmo assorti senza coraggio di guardare altrove. Pensavo ai camposanti nostri, dove sotterra o entro nicchie nei muri attende fiducioso ciò che resta dei resurrecturi. Quando partimmo una coltre di cenere nera avvolgeva il funereo pianeta rivedevo biancheggiare nell’ombra quei volti tesi di bistro e di cera.
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Guido Zavanone è nato nato ad Asti, ma vive e lavora a Genova. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche, tra le quali: Arteria (Scheiwiller, 1983), La vita affievolita (edizioni Premio Libero de Libero, 1986), Il viaggio (San Marco dei Giustiniani, 1991), Se restaurare la casa degli avi (Campanotto, 1994), Nouvelles pour l’an 2000 (La Bartavelle, 2002), Urme (IDC Presse, 2004), L’albero della conoscenza (Genesi, 2004).
Ha vinto numerosi premi di poesia ed è redattore delle riviste letterarie “Resine” e “Satura” e condirettore di “Nuovo Contrappunto”. Per l’editore De Ferrari cura la collana di poesia “Chiaro Scuro”.
alexbrando@libero.it
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