FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 19
luglio/settembre 2010

Eros

 

LA POESIA DI JUAN GUSTAVO COBO BORDA

di Martha Canfield



Escribir es rezar de modo diferente           
J.G. Cobo Borda           

Quando il poeta Juan Gustavo Cobo Borda (Bogotá, 1948) pubblicò La tradición de la pobreza (La tradizione della povertà, 1980), sostenne che la poesia colombiana sgorgava quasi miracolosamente da una tradizione povera, dove l’elogio indiscriminato era più forte della critica e dove la cultura era in mano a pochi personaggi del ceto medio-alto. Tuttavia non c’è dubbio che, malgrado questo disagio di partenza nella sua lunga carriera di studioso, operatore culturale e poeta in proprio, egli ha dimostrato che la Colombia e l’America latina tutta (compreso il Brasile) hanno fondato nel Novecento una tradizione letteraria che, lungi dall’essere povera, ha arricchito addirittura le letterature dell’Europa e dell’America del Nord.

In ogni caso, come aveva osservato la critica venezuelana Alba Rosa Hernández Bossio, Cobo ha saputo recuperare per la lingua poetica la vivacità di quella parlata e rendere durevole la sua effimera efficacia. Nell’insieme dei suoi saggi critici e dei suoi versi troviamo una felice combinazione di spontaneità e riflessione, di tenero pudore e di gusto per le iperboli sfrontate – sia nell’elogio che nella stroncatura –, d’incanto e di spietata severità, tutto combinato nel suo personale stile torrenziale, aggiornatissimo e vibrante di entusiasmo. Fin dall’inizio membro della felice “Generación sin nombre”, chiamata anche “Generación Golpe de Dados” – per riferimento alla rivista fondata dal compianto Mario Rivero –, Cobo è stato senza dubbio il più attivo e produttivo di tutti i suoi compagni e quello che ha realizzato ripetutamente e felicemente il compito di rappresentare la Colombia in ambito diplomatico e culturale, in festival, incontri e pubblicazioni internazionali.

Per questo numero di «Fili d’aquilone» abbiamo voluto proporre una scelta di poesie concentrate sul tema dell’amore che non è unico, anche se molto presente, nella sua produzione lirica. Il lettore noterà la passione che infiamma i versi con uno spirito neo-romantico, dove l’esercizio dell’amore è inseparabile dall’indagine esistenziale e filosofica: “il bacio è un’altra forma di interrogarti”, dice alla sua amata.
Il corpo è la terra da scoprire, i gesti amorosi sono il linguaggio della conoscenza, la felicità erotica è (forse, perché no?) la forma più alta di saggezza.




BREVE ANTOLOGIA POETICA
DI JUAN GUSTAVO COBO BORDA


da Ofrenda en el altar del bolero
(Offerta sull’altare del bolero, 1981)

ORACIÓN

tu piel
la sabiduría de tu piel
recóndita frescura
la enfermedad de tu piel
antídoto
resurrección húmeda
las palabras de tu piel
ronca grave y oscura
el territorio de tu piel
desconocida
tu piel esbelta
estricta piel
las cicatrices
y el llanto de tu piel
caoba
la más secreta piel
el espejismo de tu piel
desvelada tortura
la piedad generosa
de tu piel
sensible
los nervios de tu piel
hasta decir no más
hasta llenar el cuarto
invadir la ciudad
cubrir todo cuanto
miro
      veo
toco.


PREGHIERA

la tua pelle
la saggezza della tua pelle
recondita freschezza
la malattia della tua pelle
antidoto
risurrezione umida
le parole della tua pelle
rauca grave e oscura
il territorio della tua pelle
sconosciuta
la tua pelle leggiadra
precisa pelle
le cicatrici
e il pianto della tua pelle
mogano
la pelle più segreta
il miraggio della tua pelle
risvegliata tortura
la pietà generosa
della tua pelle
sensibile
i nervi della tua pelle
fino a dire basta
fino a riempire la stanza
invadere la città
coprire tutto quello che
guardo
         vedo
tocco.


TRES AÑOS DESPUÉS

Aún me falta tanto por saber de ti,
aún lo ignoro todo,
que el beso es otra forma de interrogarte.
Por eso, a medida que el deseo
se vuelve sueño,
soplo sobre tu rostro
para que los ojos, al abrirse,
reconozcan en esta frescura insospechada
su más íntima confianza.
Aún me falta tanto por saber de ti,
aún lo ignoro todo,
pero esta luz que te dibuja,
caminando desnuda por el cuarto,
y te fija en su dorado ocre,
es ya suficiente, y me basta.


TRE ANNI DOPO

Mi manca ancora tanto per sapere di te,
ancora ignoro tutto,
perché il bacio è un’altra forma di interrogarti.
Per questo, man mano che il desiderio
diventa sogno,
soffio sul tuo volto
affinché gli occhi, aprendosi,
riconoscano in questa freschezza insospettata
la loro confidenza più intima.
Ancora mi manca tanto per sapere di te,
ancora ignoro tutto,
ma questa luce che ti disegna,
mentre cammini nuda nella stanza,
e ti fissa nel suo ocra dorato,
è già sufficiente, e mi basta.


da Roncando al sol como una foca en las Galápagos
(Russando al sole come una foca alle Galápagos, 1982)

SERÉ FIEL

no a lo que a veces siento
y quizás me engañe
no a lo que a veces sientes
y quizás sea cierto
seré fiel
no a tus dudas
sinceras como el asco
no a esta derrota
que es de ambos
seré fiel
no a lo que digo
o tacho
sólo seré fiel
monte de mirra / collado de incienso
a tu cuerpo
en mi cuerpo.


SARÒ FEDELE

non a quello che a volte sento
e magari mi inganno
non a quello che a volte senti
e forse è vero
sarò fedele
non ai tuoi dubbi
sinceri come lo schifo
non a questa sconfitta
che è di entrambi
sarò fedele
non a quello che dico
o cancello
sarò fedele soltanto
bosco di mirra / collina d’incenso
al tuo corpo
nel mio corpo.


RONCANDO AL SOL, COMO UNA FOCA EN LAS
GALÁPAGOS

Es tan deleznable toda poesía amorosa,
tan llena de ripios,
que no puedo dejar de escribirla.

Tú subviertes mi fláccida rutina
y aún así desfallezco en cada línea.

Todo me incita a la modorra de los sentidos.

Única certeza
en estos tiempos de oprobio y ruido
tu lustrosa energía.

Especie a punto de extinguirse,
en la arena del sueño juego contigo.


RUSSANDO AL SOLE, COME UNA FOCA ALLE
GALÁPAGOS

È così trascurabile ogni poesia amorosa,
così pleonastica,
che non posso evitare di scriverla.

Tu sovverti la mia flaccida routine
e anche così mi smarrisco in ogni linea.

Tutto m’incita al sopore dei sensi.

Unica certezza
in questi tempi di obbrobrio e di rumore,
la tua lucida energia.

Specie in via di estinzione,
sulla sabbia del sogno gioco con te.


da Todos los poetas son santos e irán a cielo
(Tutti i poeti sono santi e andranno in paradiso, 1983)

CAVAFIS

Las calles de Alejandría están llenas de polvo,
el resoplido de carros viejos
y un clima ardiente y seco cerrándose en torno a cada cosa viva.
Incluso la brisa trae sabor a sal.
En el letargo de las dos de la tarde
hay un ansia secreta de humedad
y el tendero busca en sueños, con obstinación,
la áspera suavidad de una lengua inventando la piel.
Bebe con avidez el agua amarga de la siesta
y despierta cansado por ese insecto que vibra insistente.
La frescura de la tarde desaparece también
y su única huella fue este sudor nervioso
y el bullicio que minuto a minuto agranda los cafés.
Pasan los muchachos, en grupo, alborotando
y aquel hombre comprende
que ninguna palabra logrará atrapar sus siluetas.
La noche devora y confunde
haciendo más largo su insomnio,
más hondos sus pasos por sucias callejuelas.
El amanecer lo encontrará contemplando
ese velero que abandona el muelle
y atraviesa la bahía, rumbo al mar.


KAVAFIS

Le strade di Alessandria sono piene di polvere,
con lo sbuffo delle vecchie automobili
e un clima caldo e secco che si stringe attorno a ogni cosa vivente.
Perfino la brezza porta il sapore del sale.
Nel sopore delle due del pomeriggio
c’è un’ansia segreta di umidità
e il bottegaio cerca nel sogno, con ostinazione,
l’aspra soavità di una lingua che gli ricrei la pelle.
Beve con avidità l’amara acqua della siesta
e si sveglia stanco per quell’insetto che insiste col ronzio.
La frescura del pomeriggio scompare pure
e l’unica traccia che resta è questo sudore nervoso
e il chiasso che ogni minuto si allarga dentro i bar.
Passano i ragazzi, in gruppo, schiamazzando
e quell’uomo capisce
che nessuna parola riuscirà ad afferrare le loro sagome.
La notte divora e confonde
rendendo più dilatata la sua insonnia,
più cupi i suoi passi nei vicoli sudici.
L’alba lo troverà a contemplare
quel veliero che lascia il molo
e attraversa la baia, in rotta al mare.


APOLO Y DAFNE

          A Ernesto Volkening
Me he acostumbrado a amar la sorpresa.
El hilo de una mirada estableciendo un puente silencioso
en medio de la algarabía de la gente.
Así la vida deja atrás el rencor indefenso
y su desamparo hiriente
entregándonos humor y cariño como prendas.
¿Pero cómo mantener esa dicha y lograr que subsista,
si sólo eres fiel a las palabras
y el voluble carácter no logra llevar a su término
los deberes aceptados?
Ninguna responsabilidad, salvo el canto.
Toda la responsabilidad, porque canto.
Pido el mismo rigor del cual reniego
pero también es cierto
que el exceso de milagros se torna fácil
y al final sólo nos concede una fiesta atolondrada.
Tú eres hoy el misterio sin orillas
y la metamorfosis que te arrastra
en su torbellino de hechos.
¿Pero cómo decirlo
si ensucié mi pensamiento con deseos débiles
y la prisa me vedó el intenso resplandor de lo que es obvio?
¿Si fui descuidado y falaz
recobrando con trampas
lo que la frivolidad había degradado?
Quería hablar apenas del bálsamo que alivia todo miedo
y del terror que solloza como un animal inerme
a las tres de la mañana. Es tan frágil todo lo nuestro
y tan complicadas las cuerdas que nos sostienen
que debo controlar en cada línea matiz y peso.
Sólo así conservaré la inocencia.
Al volverse mecánica la rutina ennoblece.
Por ello quería traer aquí tu mano
que marca en la mejilla su piedad inteligente.
Gracias a ella la compulsión se esfuma
y vuelve a correr el tiempo.
Escribir es rezar de modo diferente.
Las únicas noticias que valen la pena están en los poemas.
Todos los poetas son santos e irán al cielo.


APOLLO E DAFNE

          A Ernesto Volkening
Mi sono abituato ad amare le sorprese.
Il filo di uno sguardo che stabilisce un ponte silenzioso
in mezzo al chiasso della gente.
Così la vita si lascia dietro il rancore indifeso
e il suo abbandono doloroso
mentre ci consegna umorismo e affetto come pegni.
Eppure, come mantenere quella gioia e farla sussistere,
se sei fedele soltanto alle parole
e il carattere volubile non riesce a concludere
i doveri assunti?
Nessuna responsabilità, tranne il canto.
Ogni responsabilità, perché canto.
Chiedo lo stesso rigore che rifiuto
ma è anche certo
che l’eccesso di miracoli diventa facile
e alla fine solo ci concede una festa frastornante.
Tu sei oggi il mistero senza rive
e la metamorfosi che ti trascina
nel turbinio dei fatti.
Ma come dirlo
se ho sporcato il mio pensiero con deboli desideri
e la fretta mi ha tolto l’intenso fulgore dell’ovvio?
Se sono stato sbadato e fallace
per recuperare con inganni
ciò che la frivolezza aveva degradato?
Volevo parlare soltanto del balsamo che allevia la paura
e del terrore che singhiozza come un animale inerme
alle tre di notte. È così fragile tutto quello che abbiamo
e sono così complesse le corde che ci reggono
che devo controllare aspetto e peso in ogni linea.
Soltanto in questo modo riuscirò a preservare l’innocenza.
La routine quando diventa meccanica ti nobilita.
Per questo volevo portare qui la tua mano
che segna sulla guancia la sua pietà intelligente.
È per causa sua che la coercizione si dilegua
e il tempo riprende a scorrere.
Scrivere è pregare in modo diverso.
Le uniche notizie che valgono la pena le trovi nelle poesie.
Tutti i poeti sono santi e andranno in paradiso.


da Tierra de fuego
(Terra di fuoco, 1988)

EN COLOMBIA MATAN DEMASIADO

          Alguna vez, quizás, el artista más puro se sienta tentado de decir su palabra, cuando el clamor de su siglo, el grito de los degollados, o el gruñido de alguna bestia, llegan a él: pero ésa es una tentación a la cual no debe sucumbir ya que puede estar seguro de que si la cosa vale la pena, madurará y producirá más tarde un fruto inesperado.

          VLADIMIR NABOKOV, Pushkin o lo verdadero y lo verosímil.

La ira
no dicta
buenas palabras.
Hay que copiarlas,
sin embargo,
aun cuando la página
se vuelva mucho más blanca.
Pálida como sudario

          A Martha Canfield


IN COLOMBIA UCCIDONO TROPPO

          A volte, magari, l’artista più puro sente la tentazione di dire la sua, quando i rumori del secolo, l’urlo degli sgozzati, o il grugnito di una bestia arrivano a lui, ma è una tentazione alla quale non deve soccombere perché può essere sicuro che se la faccenda vale la pena, arriverà a maturare e a produrre più tardi un frutto inaspettato.

          VLADIMIR NABOKOV, Puškin o il vero e il verosimile.

L’ira
non detta
parole giuste.
Tuttavia
bisogna copiarle,
anche se la pagina
diventasse molto più bianca.
Pallida come un lenzuolo funebre.

          A Martha Canfield


EL RETORNO DE LAS CARABELAS

Están invadiendo a Europa.
Sirvientas turcas, exiliados chilenos,
turistas japoneses
gastan su aire,
cuelgan trapos sucios de las ventanas,
se quejan de la poca sensualidad alemana.
¿Las catedrales subsistirán
a pesar de tales vándalos?
¿Las cámaras fotográficas
podrán hacer aún más daño
a los lienzos craquelados?
¿La mierda de las palomas
alcanzará a proteger
las feroces gárgolas
de la Cristiandad hecha pedazos?

Nuevas oleadas
venidas de los extramuros del mundo
– Colombia, la India, Ghana –
se lanzan al asalto.
Y ellos, los rudos visigodos,
los malolientes bávaros,
contemplan cómo la nueva tribu atrabiliaria
devora museos, consume paisajes,
hurta los souvenirs infames.

Se esconden entonces
en los cuidados bosques
de sus barrios residenciales,
lejos del smog
pero no de su propia historia
implacable.

          A Peter Schultze-Kraft


IL RITORNO DELLE CARAVELLE

Stanno invadendo l’Europa.
Domestiche turche, esiliati cileni,
turisti giapponesi
consumano l’aria,
appendono panni sporchi alle finestre,
si lamentano di quanto sono poco sensuali i tedeschi.
Le cattedrali, riusciranno a sopravvivere
malgrado questi vandali?
Le macchine fotografiche
recheranno ancora più danni
ai dipinti screpolati?
La merda dei colombi
riuscirà a proteggere
le feroci gargouille
della Cristianità fatta a pezzi?

Nuove ondate
arrivate dalle periferie del mondo
– Colombia, India, Ghana –
si lanciano all’assalto.
E loro, i rozzi Visigoti,
i maleodoranti Bavari,
osservano come la nuova violenta tribù
divora i musei, consuma i paesaggi,
sottrae gli orrendi souvenir.

Allora si nascondono
in mezzo alle foreste coltivate
dei loro quartieri residenziali,
lontano dallo smog
ma non dalla propria storia
implacabile.

          A Peter Schultze-Kraft


da El animal que duerme en cada uno
(L’animale che dorme in ognuno di noi, 1995)

LA SANGRE Y EL RITO

Déjame hundirme,
por tercera vez,
en la caverna oscura
donde yaces encadenada
al ciclo de la luna.
De allí vuelves,
en el dedo un anillo;
en tu aura,
el orgullo de la carne agradecida.

Marea antigua
que asciende con sus sabores
de limón y azufre,

Venus consciente,
abre su santuario
a la lluvia dorada que la fecunda.


IL SANGUE E IL RITO

Lasciami sprofondare,
per la terza volta,
nella scura grotta
dove giaci incatenata
al ciclo della luna.
Da lì ritorni,
con un anello al dito;
nella tua aura,
l’orgoglio della carne riconoscente.

Antico mareggio
che risale con i suoi sapori
di limone e zolfo,

Venere consapevole,
apre il suo santuario
alla pioggia dorata che la feconda.


LARGA DURACIÓN

Este beso tardó doce años en llegar.
Atravesó matrimonios
que bien se podían mantener
e hijos que crecían en forma incontenible.
Superó dudas, cobardías,
la amargura
y momentos incluso
de irrefutable felicidad.
Retrocedió al buscar en viejas libretas
mudos números de teléfono:
“No vive aquí. No sabemos dónde pueda estar”.

Intacto se mantuvo
mientras besos más rápidos
arribaban a su inmediato destino.
Nueve horas de avión
no lograron apagar
el hervor de su llama suave.

Llegó a olvidar todo, por completo;
e iniciar una nueva vida, como se dice.
Sin embargo aquí está.
El irremediable beso
que sólo tardó doce años en llegar.

De ahí la fuerza de su impacto.


LUNGA DURATA

Questo bacio impiegò dodici anni per arrivare.
Attraversò matrimoni
che avrebbero potuto mantenersi
e figli che crescevano in maniera incontenibile.
Riuscì a superare dubbi, debolezze,
amarezze
e perfino momenti
di inoppugnabile felicità.
Ritornò indietro cercando in vecchie agende
silenti numeri di telefono:
“Non abita qui. Non sappiamo dove si trovi”.

Si conservò immacolato
mentre baci più veloci
arrivavano a destinazione in fretta.
Nove ore di volo
non riuscirono a spegnere
l’ardore della sua soave fiamma.

Giunse a dimenticare tutto, completamente;
e a cominciare vita nuova, come si dice.
Eppure resta lì.
L’irrimediabile bacio
che impiegò soltanto dodici anni per arrivare.

Di qui la forza del suo impatto.


da Furioso amor
(Furioso amore, 1997)

PROFESIÓN DE FE

Me gustas cuando hueles, mía,
y al abrirte deslumbrado
beso esa luz oscura.
Ciego, guíame.

No sabes con cuánto gusto
te disfruto, impúdica.

Ilumíname con tus señales húmedas
y ese tacto, atrozmente
sensible,
cuyo recóndito latido
es ya la respiración del mundo.


PROFESSIONE DI FEDE

Mi piaci quando odori, mia,
e nell’aprirti, folgorato
bacio quella luce cupa.
Cieco, guidami.

Non sai con quale piacere
ti godo, spudorata.

Illuminami con i tuoi umidi segnali
e con quel toccamento, ferocemente
sensibile,
il cui profondo battito
è già il respiro del mondo.


RASTRO

Tu olor
– el incontrovertible
y brutal olor del amor –
permanece intacto
mientras los besos
se volatilizan
en su propio júbilo
y la humedad
se hace una con la piel.
Tu olor, en cambio,
impregna hasta la médula.
Hasta ese lugar recóndito
donde el deseo anida
y obliga a dejar intactos
los platos del almuerzo
y a danzar de nuevo
hacia la cama,
muertos de hambre
de amor.


INDIZI

Il tuo odore
– l’incontrovertibile
e brutale odore dell’amore –
rimane intatto
mentre i baci
volatilizzano
nella propria gioia
e l’umidità
diventa una cosa sola con la pelle.
Il tuo odore, invece,
impregna fino al midollo.
Fino a quel luogo segreto
dove s’annida il desiderio
e costringe a lasciare intonsi
i piatti del pranzo
e a danzare ancora
verso il letto,
morti di fame
d’amore.


Traduzione dallo spagnolo di Martha Canfield




INTERVISTA A JUAN GUSTAVO COBO BORDA

Questa intervista segue la traccia di una serie di domande che James Alstrum, dell’Università dell’Illinois, aveva preparato anni fa per tutti i membri della “Generación sin nombre”.
Le risposte di Cobo Borda, molto meditate, costituivano in molti casi vere proposte teoriche e configuravano una sua personale poetica. Ecco perché ci sembra opportuno riproporla in questa sede.


Come si abbinano nella tua intensa attività il lavoro critico e la creazione poetica?

Per me sono la stessa cosa. Certi saggi critici che ho scritto – su Alejandra Pizarnik, Álvaro Mutis, Aurelio Arturo, Baldomero Sanín Cano, Salvador Garmendia, Juan Sánchez Peláez, Enrique Molina, Gabriel García Márquez, il “nadaísmo” o Germán Arciniegas – hanno avuto, in un certo momento, la capacità di tirarmi fuori da me stesso: mi hanno costretto a guardarmi con occhi diversi. Sono stati un rischio e un’avventura. E nelle loro parole ho trovato quelle mie.

Considerato che molti poeti colombiani, come Germán Pardo García o Álvaro Mutis, sono vissuti o vivono da molto tempo in Messico, tu credi che la lirica messicana abbia esercitato una particolare influenza sulla poesia colombiana? Si potrebbe individuare una connessione tra la poesia messicana e la poesia colombiana attuale attraverso opere paradigmatiche quali, ad esempio, quella di Octavio Paz o quella di José Emilio Pacheco?

Per me personalmente, le persone e le opere di Octavio Paz e di Álvaro Mutis sono state decisive. Mi sento fiero di riconoscere quanto li ho letti e quanto mi hanno dato. Grazie a loro ho imparato e sono cresciuto. Mi succede qualcosa di simile con Borges e con Enrique Molina, per citare due grandi argentini; o con il venezuelano Juan Sánchez Peláez, o il nicaraguense Carlos Martínez Rivas. O anche con José Emilio Pacheco. Questo può suonare come un’appariscente dichiarazione di latinoamericanismo spudorato; ma senza retorica posso affermare che io mi sento a casa mia in qualsiasi paese del continente. Ribadisco: sono ispanoamericano. Parlo e scrivo in spagnolo. In poesia, grazie a Dio, non ci sono frontiere: la patria è il testo.

La patria è la lingua aveva detto Octavio Paz.

Certo. Quando dicevo “la patria è il testo” mi riferivo precisamente a quel testo che iniziato con l’Arcipreste de Hita e con Jorge Manrique, poi continua con Garcilaso e Fray Luis de León, con Góngora, Quevedo, Lope, Rubén Darío e José Asunción Silva. Che mondo di ricchezza sterminata!

Anche se nel tuo libro La tradición de la pobreza (La tradizione della povertà) tu hai contestato la qualità della letteratura nazionale a confronto con il resto dei paesi ispanoamericani, vorrei sapere: secondo te, chi ha fatto i contributi più importanti, chi ha arricchito la poesia colombiana del Novecento?

Permettimi di citare Georges Mounin: «Di ogni generazione rimangono soltanto due o tre poeti autentici; di ogni secolo, dieci nel migliore dei casi; e ogni vero poeta lo è soltanto in una dozzina di poesie». Gottfried Benn, ancora più severo, scriveva nel 1951: «Nessuno dei grandi lirici, neanche quelli del nostro tempo, è riusciuto a lasciare più di sei-otto poesie perfette». Da questa prospettiva, cerco di elencare i nomi intramontabili: tra i modernisti, Silva, Valencia, Barba Jacob; nella generazione dei “Nuovi”, León de Greiff; isolato tra questi e “Piedra y Cielo”, Aurelio Arturo; dei poeti “piedracielisti”, Eduardo Carranza; nel gruppo chiamato “Mito”, Jorge Gaitán Durán, Eduardo Cote Lamus, Fernando Charry Lara, Álvaro Mutis; dei “nadaisti”, Jaime Jaramillo Escobar e Mario Rivero; tra quelli che posso considerare della mia stessa generazione, Giovanni Quessep e José Manuel Arango. Forse nel campo della lirica la nostra povertà non è poi così grave, vero?

Considerando la tua grande passione per la lettura, di ogni tipo, quali sono gli scrittori che leggi più spesso e con maggior piacere? Come avviene che un lettore di poesia diventi poeta?

Ammesso che mi si possa considerare un vero poeta – sai, i dubbi degli altri sono meno duri dei miei dubbi personali –, credo di essere passato dalla lettura alla scrittura attraverso I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke, o L’amou fou di Breton; o Kavafis, scoperto grazie alla Justine di Durrell. Certo anche mediante Nerval, Jorge Manrique, Garcilaso, e sicuramente Gli ambasciatori, il romanzo di Henry James. Ma anche ascoltanto boleros; oppure, molto semplicemente – e lo dico sul serio – perdendo tempo, cioè facendo nulla. La mia preoccupazione più importante, oggi come ieri, è quella di perdere tempo nel modo migliore possibile. Per molto tempo l’ho fatto leggendo Eça de Queiros e andando al cinema.

A parte il fatto di leggere – e nel tuo caso bisognerebbe aggiungere, tanto e molto intensamente – la poesia altrui, in che misura la tua poesia e la tua visione del mondo sono state marcate dal fatto di essere bogotano? Perché tu sei di pura stirpe bogotana, vero?

Sì, e questo mi ha dato la gratificante sensazione di appartenere a una determinata terra. Mi ha dato un “tono”, come avrebbe detto il maestro Pedro Henríquez Ureña, “un’energia originaria”. E questa energia è fatta, in dosi variabili, di entusiasmo e di scetticismo. Mi ha dato anche delle colline, dei cieli, l’altipiano, e delle strade cittadine che precipitano, o sembrano precipitare, a volte nello splendore, a volte, più spesso purtroppo, nella catastrofe. Una città inoltre dove la letteratura galleggia come una realtà sempre presente e dove, tranne che nella poesia di José Asunción Silva, non ci sono scrittori che la possano riassumere. Jorge Isaac e la valle del Cauca; José Eustasio Rivera e la foresta amazzonica descritta ne La Voragine; Tomás Carrasquilla e la regione Antioquia; García Márquez e la costa atlantica o caraibica. Dove trovare un corrispettivo bogotano?
Cercando di rispondere alla tua domanda, mi rendo conto che devo andare ancora indietro, secoli addietro. Ecco, io mi riconosco in un altro scrittore di pura stirpe bogotana, il capostipite della nostra letteratura: Rodríguez Freile con il suo Carnero, quella straordinaria cronaca pettegola e sarcastica della vita nella colonia del Seicento. Lì puoi trovare tutto: aneddoti piccanti e realismo magico. E anche il sudiciume, le nefandezze di ogni giorno.

Una volta hai detto, forse scherzando, che gli dèi protettori (o forse i demoni?) della tua poesia sono Groucho Marx e Isabel Sarli. Volevi forse rimandare a due tratti fondamentali della tua poesia, che potrebbero essere incarnati dal famoso comico e dall’attrice argentina, sex symbol degli anni ’60? Voglio dire, l’umorismo – insieme all’ironia – e il sesso?

Io immagino che Eros voglia dire anche conoscenza, saggezza, amore smisurato per le forme e i loro contenuti. Credo che il canto non escluda il riso e che il godimento, talvolta intenso, talvolta tragico, come il sofferto risalire di una china, approdi nella felice gioia dell’euforia condivisa. Due in uno. Lo scherzare a vicenda tra due che si sono capiti profondamente. Umorismo e sesso: eros e ironia. Si dice che in un pomeriggio una donna possa raggiungere l’orgasmo dieci volte mentre l’uomo soltanto due; ma questa apparente dissonanza è soltanto una forma più alta dell’analogia. Parole che si uniscono e si separano; si feriscono e si accarezzano; si congiungono e si cullano, all’unisono. La gratitudine è tenerezza. Come dire allora l’indicibile? Cercando di riunire quelle due istanze. La poesia è sempre un’atto di ringraziamento. Per il fatto di essere vivi e per la lingua nella quale scriviamo. Può essere anche un fatto di disprezzo, di rabbia, di ira. Ricordi quello che diceva Proust ne La prigioniera? “Non siamo perversi se non con quelli che amiamo”. Ma bisogna saperlo dire. Bisogna scriverlo. Bisogna ricordare le vecchie impressioni in mezzo alla tranquillità lucida, mentre si raggiunge una serena allegria.
La poesia, è triste ricordarlo, si fa con le parole, non con le idee. Sono le parole a pensare per noi, non sono gli uomini che ricordano quello che è stato tante volte ripetuto: ti amo, voglio te, ora, su questa terra, con questo corpo e questa lingua. Lo sappiamo bene: le parole, poco tempo dopo, denunciano e condannano coloro che le hanno usate con uno scopo premeditato. È meglio lasciarle fluire. Ascoltarle. Pensare a un paese, conoscere una lingua saggia e millenaria, imparare ad amare un corpo desiderato: penso che a questi mestieri si può dedicare la vita intera. Si cambia soltanto per approfondire gli stessi suoni.

Tra i poeti colombiani della tua generazione, come Darío Jaramillo, Elkin Restrepo o María Mercedes Carranza, si osservano molti esempi di poesie che sono in realtà ritratti biografici o autoritratti. Che cosa si cerca, secondo te, con questa modalità poetica? Si tratta semplicemente di narcisismo o vuole essere la celebrazione dell’artista come eroe in un mondo che sembra apprezzare poco il mestiere del poeta?

Non sono né eroi né narcisisti. Partecipano al gioco, e cioè si espongono. Dicono qualcosa di personale con la scusa celebrativa dell’altro. María Mercedes Carranza, purtroppo precocemente scomparsa, aveva trovato il suo riflesso presso Borges e presso Antonin Artaud; Darío Jaramillo da Platone e da Felisberto Hernández; Elkin Restrepo nelle attrici del cinema. Così, la nostra maschera, quella di ognuno, spunta dietro il volto che soltanto apparentemente è altrui. Direi che è come spogliarsi per indossare un vestito che non è nostro, ma che ci rivela. Impudicizia, esasperazione masochista, compiacimento morboso nell’ignominia o nella celebrazione ludica, mentre si scarica la tensione repressa attraverso un sostituto, un alter ego, un obiettivo correlato.
“La poesia” scriveva Eliot nel 1920, “non è un’emorragia, ma una via d’uscita dall’emozione; non è l’espressione della personalità, ma una fuga dalla personalità. Ma ovviamente soltanto chi possiede personalità ed emotività può sapere cosa significa fuggire da esse”. Credo che la realtà tracci via via dei limiti, e quella perdita, attraverso libri propri e altrui, con parole di altri che diventano nostre, ci costruisce un po’ alla volta il nostro volto, l’unico, il cangiante e definitivo. Nel rispondere a queste domande cerco di afferrare colui che sono, colui che fui, e finisco per perderli entrambi, diventando solo quello che ora cerca di rispondere al quesito che mi proponi. Qualcuno, nessuno, che anche ora svanisce e scompare. Omaggi e insieme profanazioni, mentre scrivo sugli altri, edifico me stesso, o finisco per cancellarmi del tutto?
In ogni caso, la lettura degli altri ritorna sempre su noi stessi: il corpo, la lingua, la memoria che ricrea e l’oblio che modifica, ciò che i nostri sensi percepiscono e le idee che la nostra mente fa girare, sensa sosta. Grazie a questo scopriamo che ciò che è strano è insieme solido, duro e resistente. Sta lì. Avvolgendolo con parole, la poesia lo volatilizza. Tuttavia la memoria è il fondamento della poesia e ciò che è peribile è la sua sostanza. Si abbattono le cose per farle durare. Le trasformiamo in quel nulla che sono i vocaboli per farle sopravvivere. Fatta di tempo, la poesia ferma il tempo: mentre ci si specchia in quella vertigine, in quella incessante metamorfosi, comprendiamo anche la nostra inesistenza.
Ponti sopra un abisso, affinché qualcosa passi da una sponda all’altra. Dietro è rimasta l’Utopia. Davanti rimane il Non Senso. Come diceva John Gielgud in Providence, il film di Alain Resnais: “Non approvo la morte, essa porta con sé la tentazione di credere in qualcosa”. In che cosa possiamo credere oggigiorno? Il poeta, beffardo, futile, sopravvissuto a vecchie glorie abolite, portandosi appresso il fardello di un tramontato romanticismo, diventa finalmente un niente fecondo. Cerca di fare emergere il senso. In un mondo di apparente razionalità e di feroce individualismo, il poeta celebra ciò che tutti intuiscono. “Saremo polvere, ma polvere innamorata”, assicurava giustamente Quevedo.




JUAN GUSTAVO COBO BORDA
è nato a Bogotà nel 1948. Poeta, critico letterario, giornalista e diplomatico, la sua opera poetica, critica e antologica, così come le sue ricerche culturali ed editoriali, costituiscono un punto di riferimento ineludibile nella letteratura colombiana delle ultime decadi. È stato direttore della storica rivista «Eco» per più di dieci anni (1973-1984), direttore di pubblicazioni dell’Istituto Colombiano di Cultura, Vicedirettore della Biblioteca Nazionale di Bogotà, Segretario Culturale della Presidenza della Repubblica, Assessore culturale delle ambasciate colombiane di Argentina e di Spagna e Ambasciatore in Grecia. Ha fatto parte della giuria del premio letterario Juan Rulfo (Guadalajara, Messico) per tre volte, del premio Rómulo Gallegos (Caracas), del Premio Reina Sofía di Poesia Iberoamericana (Madrid) e del Neustad dell’Università dell’Oklahoma (USA).
La sua poesia è stata tradotta in inglese, francese, tedesco, greco e altre lingue.

Opere poetiche

  • ¡ohhh! (con Darío Jaramillo, Henry Luque Muñoz, Álvaro Miranda, Elkin Restrepo), Medellín, 1970;
  • Consejos para sobrevivir, Bogotá, 1974;
  • Salón de té, Bogotá, 1979;
  • Ofrenda en el altar de bolero, Caracas, 1981;
  • Roncando al sol como una foca en las Galápagos, Bogotá, 1982;
  • Todos los poetas son santos e irán al cielo, Bogotá, 1983; México, 1987;
  • Almanaque de versos, Bogotá, 1988;
  • Tierra de fuego, Bogotá, 1988;
  • Dibujos hechos al azar de lugares que cruzan mis ojos, Caracas, 1991;
  • Poemas orientales y bogotanos, Bogotá, 1992;
  • El animal que duerme en cada uno, Bogotá, 1995;
  • Furioso amor, Bogotá, 1997;
  • La musa inclemente, Bacelona, 2001;
  • El feliz fracaso, in «Golpe de dados», n. CXCIX, vol. XXXIV, gennaio-febbraio 2006;
  • Poemas ilustrados, Medellín, 2008.

Antologie e saggi critici

  • La alegría de leer (saggi su Aurelio Arturo, Álvaro Mutis, Alejandra Pizarnik, e molti altri), Bogotá, 1976;
  • La tradición de la pobreza, Bogotá, 1980;
  • Antología de la poesía hispanoamericana, México, 1985;
  • Poesía colombiana 1880-1980 (saggi su Barba Jacob, León de Greiff, Jorge Zalamea, Eduardo Carranza, ecc.), Bogotá, 1987;
  • Arciniegas de cuerpo entero, Bogotá, 1987;
  • José Asunción Silva, Bogotá, 1988;
  • Álvaro Mutis, Bogotá, 1989;
  • Historia portátil de la poesía colombiana (saggi critici), Bogotá, 1995;
  • Bolívar y Santander, vidas paralelas, Bogotá, 1995;
  • Desocupado lector (saggi su Octavio Paz, Ernesto Sábato, Ramón Gómez de la Serna, ecc.), Bogotá, 1996;
  • Lengua erótica, Antología de la poesía erótica hispanoamericana, 2004;
  • Lecturas convergentes (studio comparato delle opere di Mutis e García Márquez), Madrid, 2006;
  • Cuerpo erótico (nuova antologia della poesia erotica ispanoamericana), Bogotá, 2008.


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