Tutte le finestre danno su Juana de Lestonac, eccetto una che dà sul cortile interno.
Da sempre sappiamo che la casa è il luogo dove convivono spazio, tempo e memoria e questo significa che in essa sono presenti gli elementi necessari per svelare i grandi misteri.
I poeti, i fisici e i mistici lo sanno: la casa è corpo e pensiero, come scrive Gabriel Silva nel suo libro Juana de Lestonac, è “il corpo che abita l’abitante” o, per dirlo alla maniera dei fisici, la casa può trasformarsi sia dentro che fuori, sia in luce che in materia perché, in realtà, entrambe le entità sono identiche.
(Il suo modo di camminare è elettricità)
Che la pianta della casa sia un circuito elettrico, che le forme, le strutture, i colori e le porte siano canali attraverso i quali corre l’elettricità o la luce, è come pensare che le pareti metalliche della casa siano recipienti di sostanza spirituale e che questa costruzione si illumini o si oscuri in base alle condizioni, per così dire, climatiche: “I giorni di pioggia sono papaveri che fioriscono nel suo pensiero”. Che la casa sia percorsa dall’elettricità ci fa percepire il passaggio della luce attraverso tutte le fessure.
La casa è sempre il riflesso del tuo pensiero precedente
Tornare al pensiero precedente è rivolgersi verso un’altra stanza, è fuggire dall’immagine dei papaveri elettrizzati del cortile interno; così, “la casa vive la propria fuga” come se fosse impossibile allontanarsi, evadere dalla materia, dalla sostanza, dal corpo. La casa trattiene, non è soltanto un contenitore, è piena di spazi elettrizzati collegati tra loro mediante la memoria ed il tempo.
E la paura è un antico abitante della casa o ancora meglio, precedente alla casa. Ti fa “correre per il parquet fino al pensiero precedente”.
Abitare una casa è precipitare nel futuro.
La necessità di uscire, di aggrapparsi a ciò che è reale e concreto, la necessità di fuggire dai papaveri elettrizzati, dalla paura e dal cortile interno, porta a trattenere se stessi, a viversi, a riempire un altro spazio, dove si deve costruire una nuova memoria, e lì qualcosa sembrerà precipitare inesorabilmente nel futuro.
Una casa distrutta è il suo modo di camminare.
Anche la distruzione ha una propria immagine in queste strutture, in questi circuiti. La caduta, la discesa, la disintegrazione. C’è una costruzione che le contiene e le dà un nome: anche per le rovine c’è un alfabeto, una stanza, dentro la casa.
Carmen Leonor Ferro
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