FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

DISASTRI FERROVIARI

di Francesco Belluomini



La notte del 29 giugno 2009 a Viareggio, all’altezza della locale Stazione ferroviaria, un treno merci che trasporta GPL deraglia e, subito dopo, esplode. Le fiamme investono le abitazioni, le strade adiacenti e le auto parcheggiate nei dintorni, che esplodono una dietro l’altra. In pochi minuti la cittadina balneare è coperta da una nube rosso incandescente e immersa in una acre odore di gas e di morte. Nell’inferno di fuoco muoiono trentuno persone, (molti i bambini), altre venticinque rimangono gravemente ferite, più di mille saranno gli sfollati. La trentaduesima vittima, l’ecuadoriana Wilmer Silva, è deceduta pochi giorni prima di Natale, dopo sei mesi di inutili cure e sofferenze. L’incidente sarebbe stato causato dal cedimento di un asse del carrello del primo carro deragliato. Nel frattempo a Viareggio sono nati comitati e associazioni di cittadini che promuovono proteste e chiedono giustizia.
Francesco Belluomini, che a Viareggio è nato e vissuto per decenni, proprio vicino alla Stazione, e ora vive a pochi chilometri di distanza, ha dedicato un libro di poesia (Nell’arso delle sponde) a questa strage, in uscita con Bonaccorso. Con il permesso dell’autore e dell’editore pubblichiamo in anteprima alcuni testi poetici tratti da questa raccolta poetica.



*

Non tanto la Viareggio m’interessa
né vedo cosa c’entri di Tobino
l’esortazione a sorgere più bella,
ove son le persone derubate
del diritto di vivere la vita
senza gli schiaffi tesi d’ogni vento.
Non tanto le ragioni del disastro
nel rischio d’emulare l’avvoltoio
per scendere dal comodo giaciglio
e darmi con gli angoli smussati.
Sto sollevando veli sui bagliori
nella città ferita, sulla notte
dell’estremo dispiegarsi delle vele
nel marasma stridente di rotaie.
Mi muovo sotto lugubre silenzio
sulla strada del musico Ponchielli,
sapendo poco dire, cosa fare
per contenere l’urlo, la pietà
disseminate presso quelle bare
dell’ultima strambata del destino.


*

Anch’io sono cresciuto sul ferroso
sferruzzare dei treni: ferroviere
mio padre e ferroviaria la dimora
eretta sui margini dei binari
della vecchia Stazione. Così come
egli prestava elettrico servizio
alla sottostazione preservata
appena dalla furia delle fiamme.
E sento quel richiamo di risacca
che spinge con crudezza nella mente.
Non mi curo del clima avvelenato
delle dispute ferree dell’inchiesta,
volendo solo tessere congedi
per gente sottomessa dall’agguato.
Che parli la Viareggio dei crocicchi,
quella d’aperto cuore, quella fiera
d’appartenere, senza populismo,
alla comunità meno distratta,
la mia voce di libero cantore
non seguirà che rotte del ricordo.


VIA A. PONCHIELLI

Davanti quelle case tramortite
il marciapiede spaccia cancellati
domani; tra sbrecciate palizzate
avanza nell’irreale lo stupore
di chi guarda spettrali panorami,
laddove si snodavano vissuti
la culla della pace controllata.
Ed è bastato volgere le spalle
ai lucidi binari di confine,
per farne come lugubre trincea.


LORENZO, 2 ANNI E MEZZO

Come posso parlarti senza nome
senza specchiarmi dentro le parole
che cadono sul foglio come pietre.
E come separare l’emozioni
del mio cuore da quelle della testa
e raggiungere nuvole lontane
per portarti l’orsetto di peluche,
sottratto dai pietosi alle macerie.


LUCA, 5 ANNI

Nell’assordante stridulo domani
ricerco nel pulviscolo di stelle
quelle di nuovo conio luminoso,
dopo l’assurdo turbine di fuoco.
Mi consola saperti con Lorenzo
e con mamma nel cono della luce,
che lascio nel lontano del futuro
le voci dell’umano dissentire.


IMAN, 3 ANNI

Vedi, piccola Iman, si può andare
oltre quel vento rosso che scompiglia
i capelli, che brucia le speranze
future d’innocenti creature.
Si possono far nascere nell’arso
i fiori della prossima stagione,
per adornare labili dimore.
Quelli del triste compito civile
narrano – tra le lacrime sfuggenti –
d’aver dovuto sciogliere l’abbraccio
del disperato gesto di tua mamma
nel vano tentativo di salvarti;
ma forse tu cercavi quel rifugio
compreso fosse l’ultimo concesso.
Da tenero virgulto non sapevi
che quella strada cinta dall’assedio
dei treni, che facevano tremare
in tempi stabiliti i pavimenti
ed i vetri di casa, ti potesse
far ghermire dal demone ruggente,
come seccata fonte d’innocenza.
Oggi nulla scalfisce la tua strada,
non ci sono steccati divisori
nella volta del cielo: le celesti
nuvole son solcate dagli angeli
e dai figli di Abramo; di quel Padre
variante nell’insegne, con più nomi,
seppur d’unico verbo traducente.


I FALORNI

Ed io non voglio certo separarli
nel loro viaggio verso quell’estrema
dimora, dove partono vascelli
d’alato trapassare, tra svettanti
grattacieli di nuvole. Verso luoghi
di raduno, nel tempo, delle Lente
Tartarughe: quel gruppo di centauri
che li raggiungeranno nei momenti
dell’ultima chiamata. Mi consola
saperli caramente ricordati
e dono loro l’attimo di storia
cercando di rubare poca scena.