FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 16
ottobre/dicembre 2009

Isole

 

L'ISOLA CHE SONO DIVENTATO

di Armando Santarelli



Ognuno l’ha sognata. L’isola remota, libera dalla civiltà, dai rumori e dal caos. L’isola dove trasferire il desiderio della felicità terrena, dove tornare ad assaporare l’Eden perduto. Per lungo tempo ho pensato anch’io che l’isola, la mia isola, esistesse. E l’ho cercata. Pantelleria, bellezza selvaggia, rocce, insenature e calette intrise di sole e di mare, folate di vento che si rincorrono fra i dammusi carichi di storia, giardini odoranti di agrumi e di essenze mediterranee, i capperi e il vino più dolce e sensuale del Mediterraneo. E la sensazione di stare tra due continenti, quel senso di estraneità, e insieme di appartenenza, che ti condanna a ritornare, a perderti fra i muri a secco e le colate laviche, a crogiolarti nel caldo naturale delle acque sulfuree e dei bagni termali.
Patmos, Dodecanneso, un polipo bianco disteso nell’azzurro dell’Egeo, isola elegante e luminosa, mistica e silenziosa, perché il sacro monastero di San Giovanni Teologo tiene alla larga i visitatori volgari e chiassosi. Un mosaico di case bianche, spiagge di sabbia dorata orlate di tamerici che fungono da ombrelloni naturali, acque calde e pulite. Piazzette di pietra ombrate dalle chiome di aceri e platani enormi, chiesette ortodosse odoranti di incenso e di cera d’api, locali affacciati sul mare dove si conversa in tutte le lingue, taverne con tavoli e sedie conficcati nella sabbia, profumi e sapori speziati di Grecia.
Antigua, Piccole Antille, seducente come quando la vide Cristoforo Colombo. La splendida marina di English Harbour, il porto georgiano intatto, la storia coloniale, la cultura creola. E poi, 365 spiagge a perdita d’occhio nel mare turchese, e, appena dietro gli arenili, i fiori fiammeggianti di rosso dell’albero flamboyant e quelli gialli vivo della Bouganvillea, le foglie lucide e splendenti di palme e magnolie, gli arabeschi delle radici aeree del mandorlone. Ovunque, il ritmo sensuale del calypso, e la fragranza inebriante della plumeria, della vaniglia, della cannella.
Huahine, Isole della Società, paradiso terrestre, alba della creazione, una delle perle “della più bella collana mai creata dalla Natura”, come scrisse James Cook quando scoprì le meraviglie della Polinesia. Sabbia come borotalco, acque calde e trasparenti, prati di corallo multicolore, atmosfere magiche, e il più grande complesso polinesiano di “marae”, gli antichi luoghi di culto di queste isole tropicali.

Sì, l’ho cercata per tanto tempo, la mia isola. E infine l’ho trovata. Ma non è l’isola perfetta, iconica, dei miei sogni. Ed è più vicina di quanto pensassi. È dentro di me.
Non ho più voglia di cercare un’isola, perché sono io che sto diventando un’isola. Fuggire la moltitudine, restare solo coi miei pensieri e con le mie manie, con gli oggetti che mi sono cari: è questo che desidero ogni giorno di più.
D’accordo, stare insieme agli altri è importante, è utile, aiuta a vivere. Ma che cosa posso dire, quale rapporto posso instaurare con chi si vanta di non pagare le tasse, con chi afferma che la scuola non serve a niente, con chi rimpiange il Fascismo, con chi ammazzerebbe tutti i “froci”, con chi odia i politici e poi gli chiede mille favori?
Oh, lo so, non sono tutti così; c’è anche chi fa cose peggiori…
E i colti, gli intelligenti, le persone “umane”?
Sbaglierò, ma mi sembra che abbiano perso la testa anche loro. Che cosa posso farci se quasi tutti i loro discorsi mi suonano falsi? Pro o contro Berlusconi, pro o contro l’immigrazione, pro o contro la Chiesa… Nessuna via di mezzo, o di qua o di là, obiettività zero: tutti schierati, tutti faziosi, tutti venduti a qualcuno. Fosse solo per interesse, per soldi, capirei pure. No, sono accecati dall’odio, o, peggio, dall’idolatria, dal culto malsano verso una persona, un’idea…
Vedete come è inutile parlare ancora con la gente?

È così che è aumentato il mio mal di vivere. Aumentato, perché c’era già, perché l’ho sempre avuto. Da bambino avevo crisi d’ansia, ogni tanto mi capitava di sentire un’insopportabile oppressione al petto, chiamavo mia madre e le dicevo: “Mamma, ho il mal di sise”. Lei non capiva, e si fermava al mio capezzale imbambolata, triste, incapace di dare una risposta alle stranezze di un figlio delicato, un po’ inappetente, ma che giocava a pallone per ore in mezzo alla strada.
Poi è venuta l’adolescenza, e con essa l’insonnia, la terribile scoperta che non avevo il dono prezioso del balsamo di tutti i mali. Una notte bene e due male, rigirarsi nelle coperte dieci, cinquanta, cento volte, alzarsi nel freddo invernale madido di sudore, iniziare a chiedere qualcosa, un calmante, un sonnifero, e, al colmo della disperazione, un pugno in faccia da mio padre, perché svenissi, perché cadessi finalmente nell’incoscienza.
Dopo diventi uomo, e ti illudi che la maturità ti aiuti a vedere le cose sotto un’altra luce, che le responsabilità ti sottraggano all’inedia, alla noia esistenziale. Invece cominci a focalizzare sempre meglio il marcio della vita, il tuo e quello degli altri.

Vedi il male e non riesci ad evitarlo, vuoi fare il bene e ti fermi sulla soglia, perché devi curare la famiglia, il lavoro, la carriera. Poi pensi che è già tanto non far male a nessuno, perché certi giorni, dinanzi a certe ingiustizie, vorresti prendere un fucile a ripetizione e fare una strage.
Purtroppo, Dio lo hai un po’ perso, lo hai abbandonato, o forse è stato Lui ad abbandonarti. È il Dio che hai conosciuto anche tu, il Dio trinitario, il Cristo che si è incarnato, che si è fatto uomo per la nostra salvezza, e che predica fratellanza e amore. Ed è bellissimo, è l’idea più alta della Storia umana; ma appunto, ti pare solo un’idea. Com’è possibile che a certi uomini (per esempio, quelli nati prima di Lui) non sia stato concesso di conoscere il Figlio di Dio? Perché, se è stato Dio a crearci, e a crearci simili a Lui, non ci ha fatto un po’ più buoni?
No, un Dio così, ti viene da pensare, non può essere il Padre di tutti, non può redimerci, perché fin dall’inizio non è stato chiaro

Da adulto, prima conosci il grigio, poi, pian piano, cominci a vedere il mondo ancora più scuro. Finché arriva il nero, e ti dicono quella parola: “Sai, credo che tu sia un po’ depresso”.
Non so se sono depresso. So che si può star male nonostante la bella vita che si conduce. Perché chi ha il mal di vivere ce l’ha dentro da quando si sono incontrati quello spermatozoo e quell’ovulo, ed è così naturale che il mostro sepolto dentro di te ti abbia dato, all’inizio, dei piccoli graffi, poi inferto le prime, vere ferite, e poi si dimeni furioso, scalci come un demonio impazzito per lacerare la tua anima perduta.
E tu? Ti guardi intorno disperatamente. Vedi gente che ride, e ti domandi: come fanno a sentirsi felici? Non vedono che cosa succede? Ci sono persone che ordinano il pranzo da uno yacht che naviga in mezzo all’Oceano, e vanno a ritirarlo in elicottero; nello stesso istante, i bambini africani continuano a subire sevizie e violenze, a combattere con i kalashnikov nelle braccia, a morire di fame e stenti.
Poi vedi delle persone tristi e infelici: perché sono così? Chissà, forse sono malati, oppure hanno perso il lavoro, sono stati mollati dal coniuge che amavano, hanno perso un figlio per una disgrazia. O, peggio, ancora, il destino si è divertito a gravarli di più d’uno di questi tremendi macigni.

Ecco, sono i miei fratelli, questi sfortunati. Come loro, io sto perdendo il filo dell’esistenza; lo dico con una certa vergogna, perché io non ho i loro guai. Io vivo in condizioni di privilegio tra miliardi di persone, eppure mi sento sempre più un’isola. Ho poco da dare. Ne avrei voglia, ma tanto il mondo va per conto suo, e la fame, le guerre, le ingiustizie, le atrocità, non le ferma nessuno.
Ho poco da dire. Scrivo, ma senza troppo piacere; anzi, spesso lo faccio con fatica. E non mi importa niente di scrivere bene; mi basta scrivere male. Un tempo desideravo il successo, avrei voluto essere letto, ammirato; adesso non mi importa più. Il successo è spietato, ti espone alla vista di tutti, ti interroga di continuo, ti scruta, ti spia, ti rivela…

Invece, io voglio stare nascosto, in pace, senza dover discettare di letteratura, senza ripetere la solfa dell’importanza della parola scritta, senza parlar male dello scrittore che non apprezzo, del critico compiacente, del giornalista venduto. In non voglio fare nulla che possa suscitare negli altri rancore, invidia, compassione, e neppure commozione, felicità, illusione. Voglio morire nell’isola che ho finalmente trovato, la mia casa, con accanto mia moglie, le fotografie dei miei genitori e dei miei figli, e gli amici che mi hanno sempre confortato, i libri di una vita.


armando.santarelli@inwind.it