FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 16
ottobre/dicembre 2009

Isole

 

I SOLI

di Gianfranco Palmery



ARIA PIENA

Strega o sibilla – o soltanto una pazza
scatenata la donna toccata da folgoranti
comunioni o telegrafiche folgorazioni: sola
su una pista fatata che la isola
non batte peste di strade appestate dal traffico
che sale intorno e romba. L’umana

frenesia per lei è muta: il fiume
infernale delle macchine non la sfiora
e neppure la tenta il tranquillo
giardino della piazza con le sue panche
di pietra, i cespugli d’oleandri. È l’Errante –
la felice gaglioffa delle città, segnata
e benedetta, segue soltanto i suoi segreti
traffici – frenetica risponde alle divine

comunicazioni che la tempestano...
La sua solitaria ricchezza ha per me
un familiare incanto: io so
che sul suo capo santo s’intrecciano
segnali, intralci si addensano,
che non sono materia del diabolista
o dell’analista: è l’antico carico del poeta;
e lei è il capro che ha preso il mio posto
la capra mattissima che gode
ora della mia ricchezza – immersa
in un bagno di fulgore, piscina

di micidiali delizie. Sì, quest’aria
piena, della follia – aria
piena di segnali, di trame:
di fili da snodare, di nodi
da sciogliere – di suoni e voci risonanti
in una rete fitta come un intrico
di fili di fuoco per le dita fredde
e istrione che li sfiorano e li allacciano li
intrecciano e fanno di tutto
il corpo e del cervello elettrizzato
un fuso roteante infuocato

(3.IV.80)


SCOMPARSA

Che ne è del diavolo gobbo,
ossuto e lussurioso,
che se ne andava al galoppo
i pomeriggi le sere
con la sua inestinguibile sete
e in tasca le diecimila lire
da spendere in puttanerie?

È disperso, chissà se è morto
o solo nascosto, come un dio,
se giorno per giorno nell’oblio
affonda o se riapparirà:
il sempre-giovane, nella sua eterna
parte di studente, Peter Pan
impiegatuccio dell’Inferno;

o reso turpe da un’età
che più non mente porterà il suo povero
corpo di qua e di là replicando
fino allo strazio e al ridicolo
l’epica fatua di quando
era una sventura su due gambe:

leggero nonostante il fardello
delle ripulse, della ripudiata
sua vita trascinandosi dietro
la salma volava, in una rapita
infelicità, verso certe porticine
misteriose della città...

Qualcuno giura che il suo spettro
svagato vaga ancora per il Corso
o per il Tritone, lampeggiante riflesso
di allampanato girandolone
che trascorre di vetrina
in vetrina: sarà stato uno spasmo
dell’occhio, l’inganno d’un riverbero
di luce di tarda mattina!

(18.V.82)


KOLB DETECF

      È morto cadendo dalla spalletta del Tevere, nei pressi della Sinagoga. Kolb Detecf, 43 anni, turista tedesco, si era disteso sul parapetto del lungotevere Aventino. Per stare più comodo aveva sistemato una specie di giaciglio. A guardia del suo bagaglio aveva lasciato sul marciapiede un piccolo cane che era solito seguirlo nel suo vagabondare. Kolb Detecf si è addormentato tranquillamente nonostante la posizione alquanto precaria ma a un tratto si è girato ed è caduto nel vuoto. Un volo pauroso e il turista è finito sulla banchina del Tevere. Secondo i primi accertamenti è morto sul colpo. L’allarme è stato dato qualche tempo dopo. Quel piccolo cane messo a guardia di uno zaino ha incuriosito un passante che si è affacciato e ha visto il corpo senza vita del turista sulla banchina.

      «Corriere della Sera», 25 luglio 1988

Si è disteso nel sonno e al sogno ha chiesto
di aprirgli un varco dalla vita alla morte?
O a dispetto di sé, a sua insaputa
si è sottratto a se stesso, con astuta
mitezza si è preparato la fuga?
Tra il parapetto e il lastrico: due
duri termini di pietra dura: dall’uno
all’altro ha fatto la carne caduca
scivolare, volare – e nello spazio
aperto, nel volo: lì si è aperto
il passaggio, ha trovato il varco,
lanciando la zavorra: la spoglia al suolo.

Chissà se si è svegliato da quel suo
chiuso in sé, cieco precipitare, preso
dal sogno come da un oscuro
gorgo che lo avvolgeva, risucchiava,
sbucando all’aria, annaspando,
obbligato testimone del suo volo
mortale – prima che il palpitare
vano delle ali immaginarie e il palpito
del cuore si arrestasse contro il suolo!
O è solo morto in sogno – morto al reale?

O era un trucco il turista addormentato?
sveglio e lucido invece nel proposito
di non svegliarsi più, dissimulato
con arresa astuzia, per un riposo
azzardato, un mortale azzardo spacciando
mosse felpate di fine partita
giocate lì dove si spalanca
l’abisso che farà della sfinita
sostanza che fu Kolb Detecf una salma...

Chi eri, che si può dire di te arrivato
vagando a morire sulle rive
di questo fiume infero? Turista tedesco –
43 anni – uno zaino, un cagnetto –
– chi non pensa: un bagaglio da sbandato? –
lasciati come segno del passaggio
sulla terra; della fine del viaggio –
la spoglia in fondo, oltre il parapetto.

(25.VII.88)




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