FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 14
aprile/giugno 2009

Infanti

IL PARADOSSO DI ANNA KARENINA
Riflessioni sul mercato dei libri illustrati in Italia

di Giovanna Zoboli



Cinque anni fa, insieme a Paolo Canton, ho fondato la casa editrice Topipittori, specializzata in libri illustrati per bambini e ragazzi. Quest’anno, in verità questa specializzazione è stata “tradita”. Infatti, abbiamo voluto festeggiare i primi cinque anni di attività inaugurando una collana di narrativa, Gli anni in tasca (dal titolo italiano del film di Truffaut), dedicata ad autobiografie di infanzia e di adolescenza. In un’intervista, François Truffaut, quando gli fu chiesto per quale ragione avesse dedicato un cospicuo numero di film a bambini e ragazzi, rispose: «Non si finisce mai con l’infanzia come non si finisce mai con le storie d’amore. Non è mai la stessa cosa. E poi mi sembra di rimediare a una certa ingiustizia perché non vi è proporzione fra l’importanza [dell’infanzia] nella vita e il poco spazio che il cinema le concede.»
Questi cinque anni da editore, mi hanno portato a contatto con una gran quantità di persone, istituzioni, situazioni che hanno a che fare con i bambini, facendomi capire quanto questa osservazione sia giusta. Non c’è proprio proporzione fra l’importanza che ha l’infanzia nella vita e il poco spazio, il pochissimo tempo che non solo il cinema, ma tutto il mondo adulto gli dedica, veramente. Penso che ognuno di noi possa riscontrarlo, guardandosi attorno e accorgendosi di quanto poco i bambini facciano parte dell’orizzonte adulto: luoghi e tempi sono organizzati sempre su misura di esigenze adulte. I bambini entrano nelle decisioni di politici, amministratori, imprenditori, solo in quanto figli di qualcuno. I genitori votano e comprano, e ci si rivolge a loro, parlando di bambini, in cerca di consenso o mercato. In se stessi, i bambini, svincolati dalla proprietà di qualcuno, non interessano a nessuno o quasi.

Invece, credo che a fare di una nazione un paese civile sia proprio l’attenzione riservata all’infanzia in se stessa, in termini di responsabilità educative e pedagogiche assunte tout court dal mondo adulto, complessivamente, e penso alle più varie categorie professionali: urbanisti, architetti, medici, scienziati, intellettuali, artisti, imprenditori, politici, amministratori, sportivi, operatori culturali, ma anche operai, impiegati, commercianti eccetera. Fra l’altro, credo sia proprio dall’impegno di tutti nei confronti dell’infanzia che si misuri la capacità di un paese di progettare il proprio futuro. E va detto che se gli adulti prestassero attenzione alle esigenze dei bambini nella loro attività, senza ombra di dubbio migliorerebbe il benessere di tutti.
Credo che nel nostro paese, l’indifferenza ai bambini sia molto diffusa. Tutto ciò che attiene ai piccoli è sentito come facente parte di ambiti specialistici, e quindi appannaggio di “personale addetto”. A questi addetti, - puericultori, insegnanti, educatori, pediatri, psicoterapeuti, nutrizionisti, imprenditori specializzati in prodotti per l’infanzia eccetera - la società sembra ben contenta di delegare la relazione con l’infanzia fino al momento in cui i bambini, una volta cresciuti e trasformatisi in giovani uomini e donne, entrano a far parte del sistema adulto, con le sue regole, le sue abitudini, la sua cultura.
In particolare, per ciò che riguarda la trasmissione culturale, ambito cruciale per la crescita delle nuove generazioni, gli addetti ai lavori sono considerati, oltre che gli insegnanti e gli educatori, i bibliotecari, i librai e gli editori specializzati. Costoro, mi sono resa conto nel corso della mia esperienza, fanno parte di una sorta di riserva indiana che opera nella disattenzione e nell’indifferenza. Socialmente si tratta di categorie professionali che godono di un prestigio limitato, verso le quali mancano curiosità e interesse, e questo a livello individuale, collettivo e istituzionale, e direi trasversalmente, da parte di tutte le fasce sociali, dalla più disagiate alle più agiate, dalle più incolte alle più colte. Questo fenomeno è abbastanza singolare, se pensiamo all’importanza che dovrebbe avere l’investimento sulle giovani generazioni nel futuro di un paese. Tuttavia, chi, come noi, frequenta questo mondo, si imbatte in questa realtà, direi, quotidianamente. Detto in parole povere, dell’educazione si tende a occuparsi nel momento in cui si ha a che fare con la scuola o l’insegnante che toccheranno ai propri figli, ma difficilmente si allargherà lo sguardo a tutto quello che riguarda l’ambito educativo.

Il mio punto di vista specifico è quello di editore, quindi tratterò della disattenzione e della trascuratezza, dell’indifferenza e della latitanza degli adulti verso i bambini intesi come lettori.
In generale, la prima osservazione è che nelle scelte di acquisto relative ai bambini i libri, in media, sono decisamente poco presenti. Se i genitori sono molto attenti alla selezione e all’acquisto di alimenti, capi di vestiario, giocattoli, nuove tecnologie, i libri appartengono a una tipologia di merce avvertita come superflua. Non, però, voluttuaria: molti beni voluttuari, infatti, oggi, nella rivoluzionata scala di priorità del nostro tempo, e persino in tempi di crisi, sono percepiti come essenziali per il benessere non tanto materiale, ma, ben più fondamentalmente, esistenziale, necessari cioè all’identità stessa degli individui. A pochi anni i bambini sono destinatari di accessori come occhiali da sole e linee di mini gioielli, posseggono numerose apparecchiature tecnologiche personali (come televisori, cellulari, I-Pod, computer ecc.), scelgono fra linee di abbigliamento e di biancheria intima firmate, cosmetici come trousse per il make up, prodotti per l’igiene dedicati e via discorrendo. Si tratta di merci costose che gli adulti comprano spesso su espressa richiesta dei bambini e che affermano di sentirsi in dovere di acquistare per evitare che i loro figli soffrano nel confronto con i bambini di altre famiglie incontrati a scuola o durante le innumerevoli attività extrascolastiche praticate.
In generale, gli adulti sono molto preparati sulle merci destinate ai bambini: che siano amate e richieste dai bambini stessi o non lo siano. Per esempio, conoscono bene gli alimenti che le aziende propongono alle fasce di piccoli consumatori - biscotti, merende, bevande, surgelati, tipi di pasta, gelati, yogurth e via discorrendo. Altrettanta competenza dimostrano nel settore dell’abbigliamento: marche, modelli, colori, materiali... È ormai noto, fra l’altro, che nel settore della moda, sono le linee destinate a bambini e ragazzi, addirittura quelle dedicate ai neonati, a registrare la crescita maggiore, e con un giro di affari tale da tenere letteralmente in piedi l’intero comparto.

Riguardo ai libri, le cose cambiano completamente: in generale la disinformazione è totale, la competenza, nulla. A guidare nella scelta sono fenomeni legati a eventi mediatici come grandi operazioni di marketing, colossal cinematografici, lungometraggi animati, best seller planetari. Si acquistano libri che per una ragione o per l’altra sono diventati famosi: la serie completa di Harry Potter, Le cronache di Narnia, i libri di Geronimo Stilton, le storie delle Winx edite in fumetti e libri illustrati che sono parte però di un vastissimo merchandising che comprende conti bancari, astucci, rossetti, scarpe, zainetti...
Tutto il resto, cioè, specificamente, l’intera produzione libraria dedicata ai ragazzi e ai bambini è pressoché sconosciuta e ignorata. Con questi libri un adulto medio entra in contatto unicamente nel momento in cui, per qualche ragione, si trova nella necessità di acquistare un libro per bambini che non appartiene alle categorie sopra descritte. Quali sono allora i criteri che lo guidano nella scelta? Le opzioni sono varie e tutte abbastanza approssimative, nel senso che possono condurre, in egual modo, a scelte buone ma anche cattive: si va a naso e a caso; si cercano i consigli di un libraio, nella maggior parte dei casi non specializzato, e quindi spesso impreparato sul tema; ci si affida all’autorità dei “classici”, cioè quei libri garantiti dalla tradizione; si ricorda quali libri si leggevano nella propria infanzia, e li si adotta, per analogia o simpatia, come possibili letture proponibili (per esempio, si fonda su questo meccanismo l’attuale successo dei Barbapapà, peraltro celebri negli anni Settanta per i cartoni animati, o della datatissima serie di Martina). C’è poi un ulteriore criterio di cui tratterò più estesamente in seguito.

Del resto, va detto che gli adulti, oggi, nel nostro paese, anche volendo informarsi più approfonditamente su quanto accade in questo settore editoriale, avrebbero non poche difficoltà. I giornali, riviste e quotidiani a larga diffusione, esclusa qualche lodevole eccezione, perseguono una politica di sistematico disinteresse verso i libri per bambini e ragazzi. Soprattutto, va sottolineato, proprio le testate più colte, quelle che dedicano molta attenzione alla vita culturale e hanno gli inserti culturali più significativi e consistenti. Perciò, a meno di ricorrere alla stampa specializzata, sconosciuta fuori dall’ambito di scuole e biblioteche e perciò preclusa ai più, la battaglia è persa in partenza.
Come fare allora?
A mio avviso l’unica soluzione disponibile è scovare una libreria specializzata e dedicare un po’ del proprio tempo ai libri per approfondire la loro conoscenza (in questo caso, la consulenza da parte del libraio può essere preziosa). Questo tipo di atteggiamento da parte degli adulti è, in generale, abbastanza raro, benché, fortunatamente, in crescita. E questa è la vera novità, oggi, nel nostro settore. Una novità che è il segno di un piccolo cambiamento nel mercato che però sta dando la possibilità di svilupparsi a realtà alternative molto interessanti. In crescita, è anche l’interesse dei librai generici verso un certo tipo di libri per ragazzi, quelli illustrati, che da un po’ di tempo stanno attirando l’attenzione. E in crescita è anche il numero delle librerie specializzate che hanno aperto un po’ dovunque, in Italia.

Direi che sono questi tre fenomeni a garantire la sopravvivenza di una casa editrice come la nostra. Per un piccolo editore attento alla qualità della proposta e dei progetti, sarebbero un ottimo sostegno anche scuole e biblioteche (in esse fra l’altro si trovano numerose persone molto attente, appassionate e competenti sulla letteratura, illustrata e non, per ragazzi), se queste non fossero talmente prive di risorse da essere impossibilitate a consistenti acquisti, e questo a causa dei continui tagli perseguiti da tutte le manovre finanziarie degli ultimi anni, varate da governi per cui l’investimento in cultura ed educazione è accessorio e dunque sacrificabile. In questo, il governo, va detto, esprime i bisogni di larghe fasce di elettori per cui sono i beni voluttuari a essere indispensabili e quelli culturali o legati all’educazione, a risultare superflui.
In tutto ciò, si tenga sempre presente che stiamo parlando di un paese, l’Italia, che ha statistiche non esaltanti relative a numero di lettori, frequenza di lettura, quantità e qualità dei libri presenti nelle case, con numeri che ci pongono sempre agli ultimi posti nelle classifiche europee, e addirittura mondiali. Insomma, va sottolineato che il nostro specifico settore si va a innestare su un mercato librario già debole e difficile di suo.
Fatte queste considerazioni, il mio lavoro mi porta spesso a interrogarmi sul perché gli adulti siano così perplessi, disorientati, impreparati, privi di strumenti, distratti e approssimativi riguardo alla scelta di un libro per bambini ed è questa una delle ragioni per cui, fra l’altro, la nostra casa editrice dedica tempo ed energie alla formazione degli adulti, con incontri sui libri illustrati rivolti specificamente non solo a genitori, insegnanti, bibliotecari, ma anche semplicemente a curiosi.

Le questioni, a mio avviso, sono varie. Di una, fondamentale, ho parlato poc’anzi: gli adulti ritengono che quello della letteratura per ragazzi sia un ambito “specialistico”, nel quale è necessario farsi guidare “da esperti”. Pertanto, pensano di non poter contare su quei criteri di scelta maturati nella propria storia di lettori (chi si prende la briga di scegliere e acquistare un libro per ragazzi è nel 99% dei casi un lettore): quei criteri, cioè, anche molto complessi, ma “spontanei”, che si applicano nello scegliere un libro per sé o per un amico. In qualche modo, cioè, le persone, per la maggior parte, sono convinte che un libro per bambini sia una specie di strano “utensile” che ha a che fare con una crescita “corretta”, sorta di alimento o di farmaco: deve corrispondere a una certa fascia di età, per risolvere un certo problema, per ottenere un certo scopo, per divertire in un certo modo, per far apprendere certe nozioni, per trasmettere idee corrette e contenuti messi a punto su basi scientifiche.
Dunque, per giudicare “adatto” un siffatto libro, i normali criteri sono evidentemente inservibili: vale a dire, è escluso che per valutare un buon libro per ragazzi si debba semplicemente essere in grado di giudicare che sia all’altezza dei criteri estetici e letterari correntemente e personalmente praticati. Dico questo perché in questi anni ho scoperto che, curiosamente, per molti adulti dotati di sofisticati gusti artistici e letterari, quello che si definisce un “buon libro per ragazzi” può anche essere caratterizzato da testi molto approssimativi e immagini scadenti. Non sono questi, infatti, a essere percepiti come determinanti per stabilire la qualità di un libro: un libro si percepisce come valido quando si configura come strumento efficace, la cui lettura è finalizzata a scopi diversi dalla lettura stessa.

Ma allora, in questo senso, se le mie nozioni di lettore sono insufficienti a valutare l’efficacia del libro, a che tipo di competenza devo fare ricorso per riconoscerla?
Evidentemente, a una competenza che si potrebbe definire “tecnica”.
È questa la ragione per cui, quando un adulto si trova a dover scegliere un libro per bambini, tende ad assumere un approccio “tecnico” che prescinde dal bambino particolare cui il libro è destinato, dalla conoscenza che ha di esso, dalla propria competenza di lettore e dai personali criteri di giudizio. L’adulto, insomma, si sente insicuro. E se non ha a disposizione un esperto a suggerirgli la scelta opportuna, ne veste spontaneamente i panni, addentrandosi in una serie di considerazioni come: “sarà questo un libro giusto per un bambino che sta imparando a usare il vasino / sta perdendo i denti / a cui non piacciono le verdure / a cui è morto il nonno / che è vessato da un compagno bullo / che soffre di gelosia verso il fratello neonato?”
Per fare un esempio, sarebbe un po’ come se, davanti allo scaffale dei classici, valutassimo la bontà di Anna Karenina o di Madame Bovary sulla base del contributo positivo e dei buoni consigli elargiti per la soluzione di eventuali crisi matrimoniali. La sola idea è sufficiente a scatenare l’ilarità.

Questo risulta invece del tutto accettabile con gli albi illustrati. Nel nostro paese, infatti, i libri per ragazzi sono ancora pesantemente vincolati a un’idea di letteratura e di cultura per l’infanzia subordinate a ruolo di strumenti didattici e quindi governati da prescrittivi e rigidi principi di fondo riguardo a ciò che debbono contenere in termini di temi, testi, immagini. Così, non è affatto strano che i criteri correntemente utilizzati per valutare un libro, come la qualità estetica, letteraria, artistica e narrativa, di testi e immagini (caratteristiche fondamentali per la trasmissione della cultura e del pensiero), risultino secondari rispetto all’efficacia del libro quale strumento finalizzato al perseguimento di altri obiettivi: fare in modo che i bambini apprendano certe conoscenze, siano indotti a fare certe esperienze o siano avviati a “corrette” modalità di pensiero. E qui le domande che sorgono sono numerose. Fra queste, per citarne qualcuna: se la qualità della forma è secondaria rispetto alla sua efficacia nel veicolare contenuti (ammesso e non concesso che le due cose viaggino disgiunte), non è possibile che la sua eventuale scarsa qualità possa condizionare la percezione del contenuto stesso, o addirittura danneggiarne la trasmissione, alterandolo?
È davvero possibile trattare separatamente di contenuti e forme, acquisendo come dato di fatto che nel corso del processo creativo questi appartengano ad ambiti separati?
Perché la nostra cultura ha da sempre attribuito la costruzione e la valutazione delle forme attraverso cui si esprime il pensiero dell’uomo al dominio dell’estetica cioè allo studio di quella che è definita la “bellezza” e della capacità umana di percepirla?

Ritornando, comunque, alla nostra specifica questione - “come si fa a scegliere un albo illustrato” - il problema forse sta nella presunzione di trovare il libro giusto e non quello adatto: dove il libro giusto è tale perché universalmente valido per ogni bambino di quell’età e con quel problema. E il libro adatto, invece, è quello che va bene per quel bambino lì, proprio lui: con i suoi gusti, le sue passioni, le sue specifiche capacità, la sua sensibilità, la sua competenza linguistica e visiva, il suo immaginario. E, soprattutto, con il suo orizzonte esistenziale completo che non implica ambiti a compartimenti stagni, ma una dimensione di complessità che poco si presta a essere interpretata attraverso formule prestabilite certamente rassicuranti per un adulto, ma del tutto insufficienti per un bambino.
Mettiamoci il cuore in pace, per trovare il libro adatto, nessun esperto, per quanto avveduto e competente, potrà soccorrerci. Dovremo essere noi, da soli, a scegliere, facendo a appello tutte le nostre risorse di intuito, cultura, sensibilità e conoscenza perché il lettore bambino ha pari dignità di quello adulto e per soddisfarlo bisognerà rispettarne l’individualità e l’intelligenza.
L’editoria italiana di settore, tuttavia, in generale non suggerisce al pubblico un’idea molto diversa da quella di libri “giusti”. Se paragonata all’editoria europea e in particolare a quella francese, fra le migliori e più evolute nel mondo, con punte di splendore quasi inarrivabili, si capisce bene di cosa si stia parlando.

Negli anni Ottanta, in Francia, il settore editoriale rivolto all’infanzia è stato protagonista di una straordinaria rivoluzione culturale, innestatasi peraltro su alcune esperienze forti precedenti che hanno rappresentato per l’intera collettività un modello fondamentale e di eccezionale spessore culturale. La vitalità dell’editoria francese ha dato luogo negli anni al moltiplicarsi di nuove case editrici rivolte ai bambini; a una ricerca continua e di altissimo livello relativa alle potenzialità del libro come oggetto; alla sperimentazione inesauribile di stili, forme, linguaggi; allo studio approfondito e sistematico della letteratura per ragazzi come branca fondamentale della letteratura tout court e delle arti visive; alla formazione e costruzione di talenti - autori, grafici, illustratori - attraverso scuole qualificate; al formarsi di una rete culturale solidissima formata da istituzioni pubbliche, biblioteche, scuole, librerie, editori, lettori, operatori culturali, musei.
In particolare, se l’Italia ha conosciuto una stagione di rinnovamento relativamente alla narrativa per ragazzi, con alcune case editrici, come Mondadori e Salani, che hanno lavorato con ottimi risultati alla realizzazione di cataloghi di livello internazionale, si può dire che nel settore dei libri illustrati sia rimasta clamorosamente indietro rispetto a quanto avveniva, non solo in Francia, ma nel resto del mondo. E questo nonostante alcune esperienze editoriali molto significative che, però, si può dire siano rimaste delle isole felici, degli unicum legati alla personalità dei loro creatori, senza dare luogo a un processo collettivo di ripensamento, maturazione e sviluppo: penso alla grande lezione di Munari, a Emme Edizioni di Rosellina Archinto, alle Edizioni C’era una volta di Alfredo Stoppa, a Stepan Zavrel e alla sua collaborazione con Edizioni Arka.

Da circa una decina d’anni, però, qualcosa sta cambiando. In Italia sono sorte numerose, piccole realtà editoriali che hanno puntato precisamente sulla realizzazione e la proposta di albi illustrati concepiti sulla base di criteri molto diversi da quelli dominanti: editori nuovissimi, molto agguerriti e preparati, connotati da background eclettici e spesso molto distanti dagli ambiti specialistici – pedagogici, pediatrici, didattici - tradizionalmente preposti alla realizzazione di libri illustrati per bambini. La ricaduta sociale del lavoro di queste realtà editoriali, benché piccole, si fa sentire concretamente, poiché la loro presenza porta con sé il formarsi di realtà e di profili professionali nuovi; il sorgere di nuovi talenti, non solo italiani, ma anche stranieri; il crearsi di relazioni internazionali che qualificano la proposta e lo spessore della cultura italiana nel mondo.
Che ambiti estranei ai settori specializzati delegati all’infanzia, abbiano fatto il loro prepotente ingresso in questo mondo, è un segnale di vitalità sociale e culturale di grande interesse e importanza. E questo perché, come dicevo prima, una nazione può dirsi un paese civile quanto più nel suo complesso si assume la responsabilità educativa delle generazioni più giovani. Naturalmente, la cosa non avviene senza scossoni, soprassalti, malumori e conflitti, perché è normale che un ordine costituito, una classe di “addetti ai lavori” si trovi spiazzata e confusa da un’evoluzione che avviene rapidamente e senza troppo preoccuparsi delle possibili conseguenze sulle realtà consolidate preposte dalla società alla realizzazione e diffusione dei libri per ragazzi.

Parallelamente alla nascita di queste nuove case editrici, l’altro fenomeno nuovo è il formarsi di una fascia di pubblico interessata ai libri illustrati estremamente curiosa e flessibile, attenta, mobile e vivace, propensa alla ricerca, alla sperimentazione e all’innovazione. Si tratta di un pubblico che trova la sua ragione d’essere nella grande possibilità odierna di attuare, attraverso le tecnologie a disposizione, una pressoché infinita quantità di scambi e contatti con realtà e culture anche molto lontane e distanti, sentite come valide alternative ai modelli dominanti. La cosa interessante è che, perfino in questo caso, siamo di fronte a fasce di pubblico estranee ai settori specializzati: chi si avvicina agli albi illustrati, oggi, non è, per forza, un insegnante, un educatore, un bibliotecario, un genitore, uno studioso.
Sta avvenendo, insomma, quanto è accaduto in altri paesi del mondo: gli albi illustrati, il loro linguaggio, la loro forma, la loro evoluzione e modalità di comunicazione, stanno cominciando a interessare la comunità dei lettori in generale, come un ambito culturale vero e proprio degno di ricevere da parte della società intera riconoscimento e legittimazione.
Che una società smetta di delegare in toto a ristrette categorie di operatori la fondamentale funzione della trasmissione culturale alla generazioni più giovani, per allargarla a fasce più ampie della società, mi sembra un segnale di grande interesse. Credo che questo possa portare a un’evoluzione estremamente positiva: per esempio, nella qualità e nella ricchezza dei prodotti dedicati ai bambini; per esempio, nel contatto e nello scambio fra nuovi attori del mercato librario e operatori tradizionali del settore dell’educazione, dotati entrambi di competenze ed esperienze preziose per allargare l’orizzonte teorico da cui guardare all’infanzia; per esempio, accrescendo il riconoscimento sociale, professionale e culturale del lavoro di coloro che la società ha tradizionalmente delegato alla cura e all’educazione dei piccoli.
Insomma: questa situazione nuova è uno di quei piccoli miracoli che accadono e che bisogna stare molto attenti a riconoscere e a valorizzare, per non perderne la preziosa vitalità in un paese che fa sempre molta fatica a cambiare, a evolversi, a pensare al proprio futuro.


giovanna@topipittori.it