FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 14
aprile/giugno 2009

Infanti

L’EPICA DELLA GUERRA E DELL’INFANZIA NEGATA
Riflessioni sull’ultimo libro di Margaret Mazzantini, Venuto al mondo

di Oscar Palamenga



Leggendo tra le pagine dell’ultimo libro di Margaret Mazzantini, Venuto al mondo (Mondadori 2008), si percepisce subito di essere alle prese con un vero e proprio romanzo epico. Si discute molto in questo periodo sulla provocazione aperta dagli scrittori del gruppo Wu Ming che hanno teorizzato una “New Italian Epic”, ovvero la constatazione dell’affermarsi di un nutrito gruppo di romanzi, scritti dopo la nascita della cosiddetta seconda repubblica, aventi in comune elementi basilari e una natura allegorica di fondo simili all’epica classica. Forse il libro della Mazzantini è il più chiaro esempio di questa tendenza degli scrittori italiani: ci sono tutti gli elementi epici. C’è la guerra, non quella di Troia ma quella di Sarajevo; ci sono personaggi mitici, che vivono in uno spazio a-temporale e agiscono seguendo disegni divini; c’è il mito eziologico, la nascita mitica e mistica; c’è il ritorno alla pace attraverso un’odissea interiore della protagonista.

Il poderoso e ponderoso libro potrebbe essere suddiviso in tre parti: prima, durante e dopo la guerra di Sarajevo. Ma l’assedio della città bosniaca è soprattutto un assedio interiore: la morte vera fa da contrappunto alla morte interiore dei protagonisti. E nel classico dualismo tra Eros e Tanatos, tra amore e morte, si sviluppa il tema centrale del libro: il desiderio di maternità contrapposto all’infanzia negata dei bambini di Sarajevo.
La protagonista, Gemma, è una donna che non può avere figli. E, sebbene, abbia tutto il resto dalla vita (un amore vero, un lavoro accettabile, tranquillità economica e familiare), sente il vuoto opprimente della sua sterilità. Le pagine più belle sono proprio quelle che descrivono lo stato d’animo della protagonista di fronte alla sua impossibilità di procreare; le prova tutte, sia a livello medico che a quello burocratico dell’adozione, pur di vincere il suo destino infertile. Alla fine sembra rassegnarsi, quasi facendosene una ragione:

Tutti i nostri amici cominciano ad avere dei figli, le loro case odorano di lavatrici stese in casa, di semolini e infusi di finocchio... invento delle scuse per non andare a trovarli. Mi convinco che sono noiosi, che puzzano di soffritto, di stagno domestico. Mi compro un nuovo vestito. Spendere soldi mi regala piccole raffiche di sazietà. La magrezza nei camerini dei negozi è una virtù, i tessuti aderiscono sul mio ventre piatto
(pag. 158)

Ma l’epica ha inizio proprio quando non ci si rassegna al proprio destino.
Gemma era già stata a Sarajevo in tempo di pace, durante le olimpiadi del 1984. Proprio lì aveva conosciuto Diego, il suo compagno, e proprio lì cerca una soluzione. E sarà una soluzione drastica, drammatica e dai risvolti imprevedibili. A Sarajevo vive Gojko, vero e proprio personaggio mitologico, guida mistica e infernale, poeta e sognatore che verrà trasformato in carnefice dalla guerra, il quale offre la soluzione al problema. C’è una sua amica, Aska (il cui nome rievoca quello della famosa “pecora” di un racconto di Andric), la quale sarebbe disponibile ad affittare il suo utero per denaro. La proposta viene accolta, ma non avevano considerato che proprio in quelle ore stava per scoppiare la guerra.

Da lì, con un susseguirsi di colpi di scena tipici del romanzo epico, Gemma otterrà il figlio tanto desiderato, “venuto al mondo” (come indica il titolo del libro) in circostanze drammatiche. Ma il prezzo da pagare è la perdita di Diego, il marito innamorato, che per un motivo inspiegabile si allontana drasticamente da lei. Fino a morire in circostanze misteriose.
Inconsciamente alla ricerca di risposte, dopo molti anni, Gemma accetta l’invito di Gojko e torna a Sarajevo. Porta il figlio Pietro, inconsapevole e drammatico frutto della guerra, ormai adolescente e anche lui, forse, in cerca di risposte. Sa che suo padre era Diego, ma non sa che Gemma non è la sua vera madre.

Inizialmente il rapporto con Sarajevo non è dei migliori: è una città devastata dalla guerra, che piange ancora i suoi morti ma che, con grande dignità, cerca di risollevarsi dalle macerie. Gojko è sempre la guida mistica e infernale, un Caronte traghettatore che guida i due, madre e figlio, alla rivelazione finale.
Gemma è spesso tentata a dire la verità:

Avrei dovuto dire questo a Pietro? Guarda che mamma era incinta di cinquantamila marchi di piccolo taglio, le pesavano sul grembo, sotto le tette. Dirgli guarda che siamo stati generosi io e il fotografo, nonno si era venduto la casa al mare per aiutarci. Era una cifra spropositata, c’è gente che ha comprato bambini per pochi spiccioli a Sarajevo.
(pag. 394)

Ma qual è la verità? Forse neanche Gemma la conosce pienamente.
Forse la verità, prima che compresa, deve essere accettata. Forse è sempre lì davanti a noi, chiara ed evidente, e aspetta solo che noi smettiamo di negarla.
Gemma rievoca nel ricordo i drammatici momenti della nascita di Pietro. Rievoca gli orrori della guerra, i bimbi uccisi quasi per gioco dagli sniper, i cecchini che sparano a tutto ciò che si muove con assoluta indifferenza. Rievoca la sua visita all’obitorio per vedere la salma di un suo amico e la vista di un bambino “blu” ucciso sulla neve e quasi intatto:

Ora avrei la cura per i potenti del mondo, per gli uomini in giacca e cravatta intorno al tavolo della finta pace. Bisognerebbe posare il bambino blu su quel tavolo. Dovrebbero restare chiusi in quella stanza senza potersi muovere. Restare. Vedere la morte che fa il suo lavoro metodico, che se lo mangia da dentro. Distribuire panini, sigarette, acqua minerale e lasciarli lì, mentre il bambino si svuota, si decompone fino alle ossa.
(pag. 372)

E a tutto quell’orrore fa da contraltare suo figlio.
Pietro diventa quindi l’affermazione della vita nonostante l’orrore, Eros che vince su Tanatos nonostante tutto.
E la verità, scoperta nel finale, premio per il lettore dopo le oltre cinquecento pagine del libro, trasforma l’esistenza stessa di Pietro in un miracolo unico, nel bene che, nonostante l’orrore, riesce sempre a prevalere. È un finale da leggere, e sarebbe un delitto anticiparlo in queste righe.


Margaret Mazzantini, Venuto al mondo, Mondadori, Milano 2008, pagg. 532, euro 20




Margaret Mazzantini
è nata a Dublino nel 1961, da padre italiano e madre irlandese. Trascorre l’infanzia in giro per l’Europa fin quando la famiglia si stabilisce a Tivoli. Nel 1982 si diploma all’Accademia di Arte drammatica di Roma e lo stesso anno esordisce come attrice teatrale. Ha lavorato per il teatro, il cinema e la televisione. Dal 1987 è sposata con l’attore Sergio Castellitto.
(www.margaretmazzantini.com)

Ha pubblicato i seguenti romanzi:

    - Venuto al mondo, Mondadori, 2008
    - Zorro. Un eremita sul marciapiede, Mondadori, 2002
    - Non ti muovere, Mondadori, 2001 (“Premio Strega”)
    - Il catino di zinco, Marsilio, 1994 (“Premio Campiello”)


o.palamenga@tin.it