FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 14
aprile/giugno 2009

Infanti

ALBERTO CASADEI, GENETICA

di Alessio Brandolini



Pubblicato nel novembre 2008 Genetica è il nuovo e atteso libro di poesia di Alberto Casadei, uscito nella collana Yakamoz, curata da Daniele Pinna, della giovane casa editrice cagliaritana Aìsara. Casadei scrive da tempo sia in prosa che in poesia ma è più noto come critico militante e per i suoi numerosi studi sulla letteratura italiana, sul romanzo del 900, su Montale... qualche mese fa è uscito il saggio Poesia e ispirazione (Luca Sossella editore).
Nel 2005 Casadei aveva pubblicato il suo libro d’esordio in poesia: I flussi vitali (Editing Edizioni, Treviso) dove l’esperienza biografica è vista in “movimento” (e così s’intitolano i poemi della prima sezione), nel fluire della propria storia personale e di quella collettiva, a partire dalla guerra partigiana, probabilmente sentita come nucleo (o “flusso vitale”) retrodatato della propria formazione culturale ed etica. Non a caso poi la seconda sezione, “Exempla”, si apre con una epigrafe di Beppe Fenoglio. Testi che rievocano episodi sanguinosi, stragi, Brigate Nere e SS, con “il sangue sparso prematuro”. Come se dal tragico ricordo ci si possa liberare solo conoscendolo a fondo, quasi rivivendolo dall’interno: infatti l’Autore, in un’altra epigrafe, cita T. S. Eliot: “This is the use of memory: / For liberation”. I versi poi narrano della “insidiosa povertà della mente” che il 2 agosto 1980 regalò al nostro paese la strage della stazione di Bologna, e poi la scia dei morti delle Brigate Rosse e affiliati, con l’attacco al cuore dello Stato.

Si sono scritti molti libri sull’argomento (parecchi da parte degli stessi terroristi) ma pochissimi versi e questi di Alberto Casadei, qualche anno fa, mi colpirono molto: per lucidità e insieme profonda partecipazione. Ne I flussi vitali ci sono versi dedicati anche all’omicidio dello studioso Roberto Ruffilli avvenuto nell’aprile 1988, a Forlì, città natale di Casadei, e poi degli attentati mafiosi del 1993.
I “flussi vitali” si contrappongono ed esplodono: la violenza è scambiata per forza, la morte vista come il risultato più alto e ambizioso. Inconsueta poesia civile che affonda lo sguardo nell’indifferenza e nel cinismo che da quegli anni in poi si è allargato a macchia d’olio, dissolvendo del tutto la spinta ideale e combattiva degli anni della Resistenza e della ricostruzione post-bellica. Nell’ultima sezione, “La remissione dei peccati”, si torna alla vita, all’inizio, alla ricerca di “nuovi equilibri”, al riso con gli occhi dei propri figli.

Mi è parso doveroso soffermarmi sul primo libro di Casadei, per giustificare quell’atteso di cui parlo all’inizio riferendomi al nuovo lavoro, ma anche perché i due libri sono fortemente collegati.
Dopo I flussi vitali dove la storia personale s’intreccia a quella collettiva i nuovi versi di Genetica sembrano voler fare i conti con la vita stessa: la esplorano in un viaggio rischioso perché affrontano temi nuovi, complessi e difficili da “sviscerare” in poesia. Scrive lo stesso Casadei nella Nota finale:

Il poemetto appartiene alla tradizione, da tempo entrata in una sorta di cono d’ombra, della poesia a valenza gnoseologico-interpretativa. Tenta cioè, partendo da dati scientifici e dalle teorie filosofiche attualmente accreditate, di affrontare problemi relativi alla genesi e allo sviluppo storico dell’umanità: argomento considerato ormai inattingibile dalla poesia, e invece scommessa e limite di ogni creazione poetica, se intesa non come rielaborazione di nozioni già acquisite, ma come biologica e profonda fusione di esperienze ri-vissute, qualunque origine esse abbiano e in qualunque ambito del rapporto tra l'io-individuo e il reale-totalità si collochino.

Per questo poi qui in Genetica tutto si fa più complesso e articolato e il linguaggio (già assai personale in I flussi vitali) si arricchisce di nuove risonanze: versi più lunghi e percussivi, testi più compatti, anche di un solo verso, come inciso sul soffitto di una caverna preistorica. Lo scavo dell’esperienza autobiografica e della Storia retrocede via via fino all’Origine di tutto. I passaggi, i “movimenti” dell’uomo ora s’intrecciano alle scoperte scientifiche: i flussi si scambiano, si fondono e dal caos si genera la vita (che è come un riandare ai versi del precedente libro), si sviluppano i corpi (“il caotico susseguirsi che fonda / i corpi”), si evolvono le menti, quel mondo abitato da milioni di anni, l’identità dell’uomo, l’amore “che sigilla il ritorno”. Ma il flusso del tempo non cancella i tratti genetici, quel “lascito biologico” che trasmettiamo ai figli: in ogni individuo restano tracce dell’intera evoluzione dell’umanità.

Il poemetto si divide in nove brevi sezioni, nove movimenti che scandiscono un attento lavoro stilistico che alterna fasi narrative e piane che prendono a modello la grande poesia etico-civile (si pensa a Brecht e a Pasolini, ma anche a Dante) a quelle aforistiche, metaforiche, filosofiche-riflessive con l’uso di un linguaggio tecnico-scientifico.
Da “Rapa Nui”, resoconto poetico di un lungo viaggio (reale o immaginario che sia) raccontato in famiglia, dove nell’Isola di Pasqua la civiltà “moai” condusse in breve tempo alla rovina la natura del luogo per poter innalzare i loro simboli, le famose possenti state, e poi la loro stessa civilt. Alla “Genesi dell’amore” che permette alla vita di proseguire, di trasmettersi: “e credo / che il tuo sorriso azzurro / i tuoi capelli di cenere / tramanderanno sé / noi / ad infinitum”. Alla mitica città sumera di Ur, dove probabilmente ebbe inizio la scrittura, così vicina a quella Nassiriya dove nel 2003 ci fu il duro attacco all’esercito italiano (“Lo sai che gli italiani li addestravano / a Ur, venti chilometri da Nassiriya?”). Così il poemetto di Casadei torna al nostro martoriato tempo e la storia, infine, sembra un “flusso” incoerente in cerca di un normale squilibro: come in “Rapa Nui” anche in questa sezione del libro l’uomo crea e distrugge, passa dalla scrittura agli attentati, alla morte.

Genetica è un libro lucido e ambizioso: sperimenta e ricerca vie nuove a livello tematico e linguistico, lo fa con abilità e consapevolezza, con mano sicura, e a tratti affascina e colpisce, inquieta quando nell’ultima sezione affronta le teorie sulla nascita e la forma dell’universo e ne viene fuori un senso di “incompiutezza” e di oscuro, a livello conoscitivo, nonostante il passaggio di svariati millenni, nonostante il progresso tecnologico e scientifico. Qui il dialogo si fa più difficile e si distanzia dagli accenni (nelle precedenti sezioni) di un moderno canzoniere d’amore (per la propria donna, per i figli), come se la voce a un certo momento faticasse a trovare il giusto interlocutore, ma è l’io poetante a soffrire non quello biografico, come se la poesia fosse impotente a “dire”, con riferimenti alla poesia del primo Montale, all’Eliot della Waste Land e sopratutto a Celan, che per riuscire a esprimersi frantuma il linguaggio e strappa parole al silenzio. Allora la sintassi poetica di Casadei si fa discontinua e obliqua, come a voler eliminare il superfluo, come a voler ricostruire i lampi della percezione e dell’inconscio prima ancora che si trasformi (o evolvi) in pensiero, in discorso logico-deduttivo.

Genetica è un viaggio (con ritorno) per luoghi famosi e fondamentali dell’umanità, ma frammentato di eventi quotidiani, collettivi e privati. Un vagabondare dantesco negli inferi del tempo, della storia e nella complessità della scienza, ma in un nitido disegno poetico teso a contrastare gli scialbi linguaggi che invadono l’etere e la carta stampata, con le loro immagini seducenti, ma in fondo vuote di sostanza, di spessore etico e conoscitivo.




CINQUE DOMANDE AD ALBERTO CASADEI


Dopo I flussi vitali (2005) si è giunti a questo Genetica (2008), lavori a mio avviso strettamente collegati. Come se un’opera fosse una conseguenza dell’altra, a prescindere dalla data di pubblicazione.

In effetti cerco di raccogliere nei miei versi il succo di un’esperienza continuativa, che riguarda tanto i miei studi come italianista e comparatista, quanto le mie personali passioni come lettore, quanto infine l’intero patrimonio ‘vitale’ che ciascuno di noi immagazzina, e che agisce nascostamente, attraverso il nostro inconscio cognitivo. Sia nella prima raccolta che nel poemetto è molto importante la ricerca sui rapporti interpersonali, che si fondano su sentimenti ma anche su gesti, eventi, perfino propensioni dettate dalla genetica di ciascuno, che la poesia si è sempre incaricata di indagare, ma che ora si caricano di nuovi significati. Non c’è niente di precostituito, ma nemmeno niente di totalmente casuale: la poesia può cercare di individuare i punti esatti in cui la parabola esistenziale di ciascuno si incrocia con la vita e la storia collettive.

Pensando al tuo recente saggio Poesia e ispirazione (2009): il tuo nuovo lavoro poetico appare teso alla riflessione radicale, come se all’iniziale ispirazione creativa fosse poi sopraggiunto un dispiegamento di forze, di “flussi” filosofici per la realizzazione di un testo poetico complesso, ragionato e fitto di rimandi, non solo al mondo letterario, ma anche a quello scientifico.

Sono convinto che la progressiva riduzione della poesia alla lirica, espressione di un io tendenzialmente isolato e sempre meno rappresentativo, vada in qualche modo contrastata. Non perché non debba esistere una ‘forma lirica’ scritta, ma perché la sua rilevanza, nel complesso attuale delle forme letterarie, è molto bassa: fra l’altro, ma non unicamente, anche perché gli aspetti piacevoli della scrittura lirica sono stati intercettati dai cantautori, che hanno ricollegato i testi a una musicalità esterna, con ciò riducendo la complessità propria della lirica post-romantica, e quindi di fatto relegando nell’ambito della stravaganza molta poesia simbolista o surrealista.
Io non ho nulla contro la lirica ‘semplice’, ma trovo che molte delle potenzialità che la poesia moderna vadano perse se non si attua uno sforzo di ri-creazione della vera e innegabile complessità in cui noi viviamo. Credo in una poesia che nasce da un lato da una strenua attenzione alla contemporaneità, sia in quanto storia sia in quanto immaginario culturale e filosofico; dall’altro, da un ascolto di quell’inconscio cognitivo che non nega ma sposta i confini della nostra esperienza del reale, impedendo di ridurre tutto alla razionalità pratica, ma nello stesso tempo evitando di giungere al totale ‘sregolamento’.
Se posso permettermi un paragone abnorme: ciascun poeta che aspiri a essere all’altezza dei tempi si dovrebbe oggi porre come modello Dante, che scrisse per far diventare verso, cioè parola progressivamente (dall’Inferno al Paradiso) sempre più assoluta, l’intera sua cultura, che era il culmine della civiltà cristiana capace di inglobare quella antica nella sua interezza. Oggi forse non siamo in grado di fare altrettanto, perché non esiste una cultura superiore alle altre; tuttavia dovremo almeno cercare di realizzare versi che siano reticolari, sinaptici, capaci di accogliere frammenti che, diversamente da quanto accadeva nella Waste Land, non trovano il loro senso in una prospettiva mitologica, bensì nella capacità di creare legami sinora sconosciuti tra gli innumerevoli campi cognitivi in cui ci immergiamo con la nostra quotidiana esperienza.

In Genetica trovi il tempo, in questo viaggio a ritroso all’origine della vita, di soffermarti sui conflitti dei nostri tempi. Per esempio nella VII parte (“Ur-Nassiriya”) in cui colleghi la città dove nacque la scrittura a quella (a due passi) dove l’esercito italiano fu duramente colpito il 12 novembre 2003, con un inconsueto taglio etico-civico. Come accadeva nel precedente libro I flussi vitali, dove gli snodi essenziali della nostra Storia collettiva sono alla base dei tuoi versi.

Come ho detto, mi pare che la storia collettiva debba risuonare nelle pagine delle liriche anche più intimiste. Il problema di una poesia che aspiri anche a un ‘impegno’, come si sarebbe detto anni fa, è quello di non porsi come superiore a ciò che vuole trattare: cioè a non essere ideologica sin dall’enunciazione, come invece capita di frequente (e non solo in poesia, ma anche per esempio nei romanzi a sfondo allegorico-mitologico). Io ho cercato di evitare questo rischio per esempio riportando l’evento tragico che è accaduto alle nostre truppe in Iraq a una storia più ampia, addirittura quella delle nostre origini in quanto esseri umani dotati di memoria scritta.
Il lettore, dal mio punto di vista, si dovrebbe porre la domanda: ma è giusto che, per una guerra chiaramente imperialista, migliaia di anni dopo la civiltà sumera qualcuno di noi sia andato a morire in un luogo che potrebbe essere una specie di santuario dell’umanità? Posto così, il problema non è solo strettamente politico, ma di prospettiva ideale: la poesia si può opporre alle storture della politica solo proponendo un ideale più alto, che non deve dare un frutto immediato ma deve essere ripensato a lungo, nel tempo. Poi, ovviamente, il poeta in quanto individuo può fare le battaglie politiche che ritiene più importanti.

Quali sono i tuoi riferimenti poetici?

Beh, qui si parte dagli inarrivabili, Dante (soprattutto il Paradiso), Shakespeare, Hölderlin, Baudelaire, sino a Eliot (Waste Land ma anche Four Quartets), Stevens e Celan. Ammiro anche opere come Station Island di Heaney, L’affondamento del Titanic di Enzensberger, Omeros di Walcott. E si arriva ai maestri e ai compagni di strada italiani: Montale su tutti, specie quello delle Occasioni, il Sereni degli Strumenti umani (però non amo troppo il serenismo più facile degli ultimi anni), ma anche le Variazioni belliche di Amelia Rosselli. Per essere un po’ meno scontato, citerei anche l’ultima produzione di Carlo Betocchi e di Bartolo Cattafi, che porta l’epigramma a livelli di nettezza metafisica. Poi, fra i vicini, libri come Guerra di Franco Buffoni, Teatro occidentale di Giampiero Neri, Umana gloria di Mario Benedetti, e in generale le opere di De Angelis, Cucchi, Magrelli, Anedda mi hanno insegnato molto, anche se non credo che si possa parlare di un loro influsso diretto sui miei versi.

Torniamo al tuo lavoro. Genetica è un libro che inquieta: l’uomo conserva nel proprio sangue, nella propria storia molti tratti del proprio passato, ma sostanzialmente è oscuro e l’io appare in costante modifica.
Allora ha ragione Rimbaud quando scrive “Je est un autre”?

Il passo cui alludi l’ho ricavato dal bellissimo dialogo tra Jean-Pierre Changeux e Paul Ricoeur, La natura e la regola. Alle radici del pensiero (edito in Italia da Cortina), una delle letture più appassionanti che abbia fatto negli ultimi anni. In realtà, l’esito che se ne ricavava, così come dall’insieme delle ricerche attuali tra neuroscienze e filosofia, era quello dell’esistenza di una larga parte di inconscio che contribuisce alle nostre scelte, al nostro agire, e che emerge a volte come patologie (è l’ambito, ormai alla vigilia di una grande risistemazione, freudiano-psicanalitico), ma più spesso rimane latente. Ciò non significa che noi non possiamo sorvegliare, ‘coscientemente’ (ma cosa implica questo avverbio, lo sappiamo ben poco!), ciò che siamo e ciò che facciamo: però quando usiamo la poesia nelle sue potenzialità più ampie, riusciamo a toccare ambiti che nel vivere sociale, esteriore non sono ammessi, in apparenza non ci servono, eppure sono fondamentali per capire i nostri sentimenti, quelle che chiamiamo approssimativamente ‘pulsioni’, ecc. Diciamo che una parte dell’io è davvero ‘altro’ rispetto alla razionalità: questo non ci deve spingere ad abbandonarla, anche per non generare mostri come tante volte è accaduto, bensì a tentare di captare ciò che di per sé non interessa alla sfera della ragion pura o della ragion pratica, e che ricade in quella che sinora chiamiamo estetica, probabilmente uno degli spazi del nostro sapere che sarà più rivoluzionato nel futuro prossimo.




POESIE DI ALBERTO CASADEI
da GENETICA



    *
Disambientarsi, ridursi, riaffacciarmi
alle consuete cose, alle linee nette, e poi
reimmerso nel liquido, come nacqui, senza
ricordare niente del nascere, ma
nato e compiuto in questa lunghezza,
in questo peso, in numeri che stabiliscono
l’ordine semplice del mondo. Provo
il respiro, provo la fine in acqua
perigliosa, esco e continuo, e
penso che ho giocato con la tua
ombra, provando a collegarmi ai
tempi nei tempi, a quel punto
che vinse l’inconsapevolezza
e creò l’essere.
E l’ascolto dello scambio di infinitesime
spume di particelle, in questa piccola
pozza d’acqua, immerso per sanare
il bisogno corporeo, per provare
la carezza della materia, il delicato
continuare di me, concrezione resistente,
attesa dell’a venire.


    *
Pensare come infinito
l’illogico prodursi
dei miei nuclei, epiteli e atti
- giallo, rosso, grigio, leggo: “Arrivals”, freccia, destra
                                                                    OK.
Il sublime pensare pensarsi induce
alla negatio cordis et corporis: vivere è
consegnare il tagliando celeste,
la mano sfiora la guancia, saluti, sorrisi,
tempi rifusi.
E pensieri mentre il motore
assume posizioni previste, realizza scambi
di fluidi e miscele, banali
miracoli. Andare, vanno, come necessario,
macchie di luoghi vesti voci per
essere lì


    *
Toccarsi, per un attimo, caldo sensazione affetto,
capelli lavati di fresco, per il ritorno, pelle del ventre
pelle dei petti, dolore amore assenza
avidità.
Il letto ampio e blu non è stato smosso a
togliere la polvere, a nettare il sudicio del mondo,
e resta compiuto anche senza i loro
corpi.
Ma ora entrambi, labbra salive increspature,
e sfiorare rabbrividenti, e vane parole che
dicono appena vagamente la mera
realtà
di lasciti biologici, di accoppiarsi per il bisogno
di godimento, proseguimento, per indigenza e ancora
si compie la prova di genesi, l’oscura, doverosa
distorsione.


    *
Azioni ripetute da ogni filamento
brana-mana, dall'inizio, ricomincia
ora, il suo profilo, carne della
mia morte, a sfiorare il seno
nutrente, a disegnare possibili
futuri, con le sue parole "Amore,
sono qui", e la fuga degli atti
incalcolabili che in un atomo di tempo
universalmente avvengono e
non restano perché non debbono
restare. "Noi possediamo nei nostri geni,
nelle nostre cellule, un'eredità che risale
alle origini della vita", e anche il moto abbiamo e il
districarsi e il conoscere
chiaramente, e il mio corpo riflette
la luce, avendo comunque
generato nella materia
buia.


    *
“Guarda l’uomo, è come lo disegno io”
e forse morto, la morte qui normale
scambio, trasferimento di cariche dalla massa
di enzimi aggregati in braccia gambe sesso
cervello spugnoso cuore luttuoso
alla materia polvere grumosità
di umori degni atti generanti – e quello
schema d’uomo, uguale a come un bambino
sa che si fa l’uomo, è l’ologramma
suo nei tempi, quanto resterà
anche quando non esistente
essente.


Alberto Casadei, Genetica (Aìsara, Cagliari, 2008, pagg.93, euro 10)




ALBERTO CASADEI
è nato a Forlì nel 1963. Si è laureato e specializzato in Letteratura italiana presso la Scuola Normale Superiore e l’Università di Pisa, dove attualmente insegna e vive. Ha pubblicato numerosi manuali di letteratura e studi di italianistica e di comparatistica del Cinquecento e del Novecento, fra cui La guerra (Laterza 1999), Romanzi di Finisterre. Narrazione della guerra e problemi del realismo (Carocci 2000), Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo (Il Mulino 2007), Montale (Il Mulino 2008), La critica letteraria del Novecento (Il Mulino nuova ed. 2008), Poesia e ispirazione (Luca Sossella Editore 2009).
Nel 2002 ha pubblicato il romanzo La domenica di questa vita (Manni). Suoi testi in prosa e in versi sono usciti su numerose riviste.
Nel 2005 ha pubblicato la raccolta poetica I flussi vitali (Editing Edizioni), seguita nel 2008 da Genetica (Aìsara).


alexbrando@libero.it