FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 13 gennaio/marzo 2009 Nutrimenti |
LA CARNE QUANDO È SOLA di Vera Lúcia de Oliveira |
Sorelle, a voi non dispiace Antonia Pozzi
fra i corridoi il bianco nelle case illuminate dal sole poi ho visto le cose sformarsi e mettersi a soffrire come se si fossero pentite della loro felicità
le parole dure gli occhi di odio se era perché l’amore fosse un muro e la casa una prigione mi avresti dovuto avvertire mi avresti dovuto dire che l’amore non poteva bastare
un’anima che non è cresciuta con il corpo è rimasta bambina le persone non lo potevano sapere mi dicevano ora che sei diventato grande ma l’anima aveva paura di tutto e tutto era pronto a ferirla là dove non avrei mai potuto dire
se anche di là bisogna nascere e morire lottare per il pane faticare per l’amore logorarsi per non perdersi? io qui mi sono stancato se parto qualcuno mi deve pur garantire che non dovrò ricominciare daccapo
vorrei vedere se ci riesci con un vecchio abbiamo dentro il dolore di non poter più essere amati non vedi come guardiamo i giovani che sprecano la loro bellezza tutta si perde e se ne va senza che noi o loro ne abbiamo fatto sufficiente provvista
ora basta voleva morire nessuno dovrebbe attendere tanto la morte nessuno dovrebbe contare i minuti fra fitte più fonde che strappano alla vita decente che differenza c’era fra lui e il letto se non che lui sentiva il dolore?
il cardine dell’universo tutto si muove macinando sgretolando la ruggine è il dolore delle cose la polvere è il dolore della terra mi sai dire che cosa si muove senza causare la benché minima lacerazione contrazione ferita rattoppo rappezzo pietoso?
sono le note della loro musica saltano alla ricerca del chicco caduto da qualche mazzetto di fiori se anche lì trovano l’alimento perché non dovrebbero cantare un inno a chi dà loro da mangiare?
che non decifrano più i segnali del vento pensano che vivranno in eterno sui tetti a fabbricare il volo delle uova dischiuse pensano che ormai sono scampate a partenze le chiameremo e verranno con noi ad aspettare i giorni di buio in cui si entra dentro la morte ancora vivi ma con degli accorgimenti dei segni di riconoscimento nelle mani così poi da non perdersi impareremo dalle rondini chissà come faranno a non perdersi anche quelle rimaste sanno quando non vale più la pena di fare le valigie
si figurano i vecchi come vogliono un po’ teneri pietosi in attesa delle ore migliori in cui l’accumulo dell’oro lascia un grande tesoro ma lei che era vecchia non ci vedeva nulla oltre quel sordo morire sempre più velocemente come avrebbe potuto dire a loro che lei dentro sentiva il lacerare della carne che non voleva più collaborare con le ossa per sostenere la vita?
carne di occhi carne di foglie vive carte di mani fragili carne di carta carne di segno carne di sogno che dico (non dico) quasi uscisse l'anima dal dito
bisogna mandare giù masticare e lei a mordere quel pane a ingoiarlo con un po’ d’acqua o di nascosto a buttare qualcosa al gatto l’unico ad avere pietà, se il cibo dentro era come una stoppa mamma come si manda giù la vita? |
Sulla poesia di Vera Lúcia de Oliveira vedi anche, sui nn. 3 e11
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