FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

ANTONIO D'ALFONSO
Nutrirsi alle radici

di Claudine Bertrand e Viviane Ciampi



Tutt’altro che esercizio di quiete il percorso di Antonio D’Alfonso, che vive in Quebec da genitori italiani e si trova al crocevia, principalmente, di tre culture (francese, inglese e italiana). Il poeta mette in scena, in una sorta di catarsi, il teatro del quotidiano con un triplo sguardo che interroga, rimpiange, denuncia: «Adesso, quando chiedono come mi chiamo / prendo l’inchiostro della terra / e a fianco di Antonio D’Alfonso / firmo Amore».
D’Alfonso esercita la sua attività di editore e traduttore come in un gesto politico d’altri tempi, quando la parola “engagement” aveva un senso forte e drammatico. Il «figlio di un saldatore» combatte l’amnesia e il nazionalismo edificando una profonda riflessione sull’italianità (quella che manca a molti italiani d’Italia!), mette in evidenza la coscienza di una frattura, si arrovella per la perdita della lingua materna (quella intima e familiare, spesso dialettale) e delle proprie radici, senza smancerie, senza piangersi addosso, ma con molte domande: «Si può essere italiani e non parlare perfettamente la lingua? Che cosa significa essere figli della post-migrazione in Quebec?».
Questo pensatore alla giuntura tra latinità e americanità, sorto da paesaggi urbani, oltre a esplorare l’angoscia di un’epoca senza punti di riferimento e perciò contraddittoria, porta il peso dell’ibridazione, gettando un ponte tra generazioni. Così, tra tenerezza, sensualità, rabbia, memoria e rifiuto della parola nostalgia (che tuttavia affiora), fa scaturire il suo personalissimo concetto di identità, un’identità non limitata a tradizioni e confini geografici, che non affonda nel chiacchiericcio di cui si nutre tanta letteratura.





HEUREUX

Profondément heureux, comme du sang qui jaillit soudain d’une blessure : mon état présent. Sans langue, sauf celle qui chatouille ma femme jusqu’à ce qu’elle s’abandonne à elle-même, et à moi. Sans pays, sinon celui des solitaires qui vont toujours de l’avant, contre le grain de la société. Toute parole qui surgira de nous blessera inévitablement. Pour quelles ridicules raisons s’humilier devant le dur et le clos ?


FELICE

Profondamente felice, come del sangue che d’improvviso zampilla da una ferita: il mio stato attuale. Senza lingua, tranne quella che solletica mia moglie finché si abbandona a se stessa e a me. Senza paese, se non quello dei solitari che vanno sempre avanti, contro il seme della società. Ogni parola che sgorgherà da noi inevitabilmente ferirà. Per quali ridicoli motivi umiliarsi davanti a durezza e chiusura?

(da L’apostrophe qui me scinde, Montreal, Éd. du Noroît, 1998)


    *

Nos vers boitent, notre logos bégaye. Nous n’échangeons qu’avec les anges. Le bruit que font nos langues rappellent une baleine qui s’achève sur la rive orientale de l’Ile aux Coudres. Nos bâtiments s’effondrent, le béton casse. Nous sommes le reste de ce que nous croyions nôtre.


    *

Zoppicano i nostri versi, balbetta il logos. Ci rapportiamo solo con gli angeli. Il rumore che fanno le nostre lingue ricorda una balena che si estingue sulla riva orientale de l’Ile aux Coudres. Le nostre costruzioni si frantumano, il cemento si rompe. Siamo il resto di ciò che credevamo nostro.


    *

Désormais sans géographie, sans patriotisme, sans matriarcat, nous parlons les langues de ceux et celles à l’écoute aquatique qui savent ramper sur les fonds de l’océan. Ce qui n’existe nulle part, ce qui toujours doit s’inventer. Cette nuit, l’aveugle retrouve ses yeux dans cette parole sans écho.


    *

Ormai senza geografia, senza patriottismo, senza matriarcato, parliamo le lingue di quelli e di quelle dall’ascolto acquatico che sanno strisciare sui fondi dell’oceano. Ciò che non esiste da nessuna parte, ciò che sempre deve inventarsi. Stanotte, il cieco ritrova gli occhi in questa parola senza eco.


LA PERTE DE TA CULTURE

Non pas le voyage au pays où les mots se prononcent tel qu’on te l’a appris. Non pas l’adage que ta grand-mère te sert au dîner. Cette langue que tu parlais, enfant, tirée par la chasse d’eau. Ta langue maternelle t’est aussi étrangère que n’importe quelle langue que tu ne connais pas. Oubliée comme un style de vie que, jadis, tu possédais. Du latin gravé sur les sales pupitres d’école. Que te racontes-tu la nuit, seul ? Le pain que tu n’as pas mangé se rassit. La rencontre avec cet amour d’une seule nuit. Terrifiante. La tomate écrasée par terre pénètre les tuiles de ta perfection. Tu oublies ton passé, mais le passé ne t’oublie pas. Tu t’assieds sur une chaise brisée et tu as une crampe quand tu tentes de dire quelque chose d’intelligent. Et si un jour tu t’écroules par terre et te casses la figure, ce ne sera pas à cause d’un mauvais régime alimentaire. Tes ancêtres seront venus te tirer dans le dos.


LA PERDITA DELLA TUA CULTURA

Non il viaggio al paese dove le parole si pronunciano come ti è stato insegnato. Non il detto che la nonna ti propina a pranzo. Quella lingua, scialacquata, che parlavi da bambino. La tua lingua materna ti è straniera quanto qualsiasi lingua che non conosci. Dimenticata come uno stile di vita che un tempo possedevi. Dal latino inciso sui banchi sporchi della scuola. Che cosa ti racconti, solitario, di notte? Raffermo, il pane che non hai mangiato. L’incontro con questo amore d’una notte soltanto. Orribile. Il pomodoro schiacciato per terra penetra le tegole della tua perfezione. Dimentichi il tuo passato, ma il tuo passato non ti dimentica. Ti siedi su una sedia rotta e hai un crampo quando tenti di dire qualcosa d’intelligente. E se un giorno crollerai a terra rompendoti il muso, non sarà per una dieta sbagliata. Saranno i tuoi avi ad averti sparato alle spalle.


NONNA LUCIA

Nonna Lucia reste au lit toute la journée. Elle ne se lève que pour manger du chocolat au lait pur, appuyée au comptoir de la cuisine. Elle regarde la fenêtre, ses yeux aveuglés par des cataractes aperçoivent une nuée d’anges. Elle demande : « I tolto u caffè ? »

Nonna Lucia sait toujours quelle heure il est. Le nom des rues d’Amérique où habitent ses enfants. Elle se calme quand nous lui répétons qu’elle est le portrait de ma mère. Tonino rit : « Est-il vrai qu’à Vasto où vous êtes née, Nonna, une femme doit connaître sept hommes avant d’être satisfaite ? »

Nonna Lucia, les bras brunis par un sang nonchalant. Son visage, bronzé par la mort, contre une blanche chevelure tirée en chignon. Elle entend sonner des cloches d’église. Se lève avec peine : « Une fois, j’ai transporté sur mes épaules plus de raisins que le mulet. »

Nonna Lucia ouvre ses lèvres gercées, laissant entrevoir ses dents cassées par le piment fort. Elle croise ses jambes. Sa main fragile sur la mienne : « Dieu m’a oubliée ici-bas. Pourquoi ne vient-il pas réclamer ce corps trop frêle ? »


NONNA LUCIA

Nonna Lucia rimane a letto tutto il giorno. Si alza soltanto per mangiare cioccolata al latte intero, appoggiata al banco della cucina. Guarda dalla finestra, i suoi occhi accecati per la cataratta percepiscono una nube d’angeli. Chiede: «I tolto u caffè».

Nonna Lucia sa sempre che ore sono. I nomi delle strade d’America dove abitano i suoi figli. Si tranquillizza quando le ripetiamo che è il ritratto di mia madre. Tonino ride: «È vero, nonna, che a Vasto dove siete nata, una donna deve conoscere sette uomini prima d’essere soddisfatta?»

Nonna Lucia, le braccia scurite da un sangue svogliato. Il suo volto, abbronzato dalla morte, in contrasto con una bianca capigliatura raccolta in un ciuffo. Sente suonare le campane delle chiese. Si alza con fatica: «Una volta, ho trasportato sulle mie spalle più uva del mulo.»

Nonna Lucia apre le sue labbra screpolate, lascia intravedere i denti rotti dal peperoncino piccante. Accavalla le gambe. La sua mano fragile sulla mia: «Dio mi ha dimenticata quaggiù. Perché non viene a riprendersi questo corpo troppo debole?»


IL N’Y AURA JAMAIS DE TERRE PROMISE

Il n’y aura jamais de terre promise.
Il n’y aura jamais de rêves assis
à tes côtés te donnant la main dans le métro.

Quand le malade parlera
tu n’entendras que les murmures de frustration,
les soupirs de celui qui s’en fout.

Tu entendras le crissement des crânes
sur le macadam mouillé. Tu verras
du sang séché partout et tu en mangeras.

Ce sera maintenant et ici. Quand et où
les gens se mettront des sparadraps sur la bouche,
des bijoux autour du cou comme des chaînes,

conduiront des voitures comme des chars d’assaut
à travers notre territoire. Aucun
chef ne parle la même langue que toi.

Tu apprendras les codes, la syntaxe
et le vocabulaire, mais ce n’est pas toi
qui les utiliseras, ce sont eux qui t’utiliseront.

La viande que tu manges,
le sang que tu bois
sont ta propre chair, ton propre sang.


NON CI SARÀ MAI TERRA PROMESSA

Non ci sarà mai terra promessa.
Non ci saranno mai sogni stando seduto
al tuo fianco dandoti la mano nel metrò.

Quando il malato parlerà
sentirai soltanto i mormorii di frustrazione,
i sospiri di colui che se ne frega.

Sentirai lo stridio dei crani
sul selciato fradicio. Vedrai
del sangue secco ovunque e lo mangerai.

Sarà qui e ora. Quando e dove
la gente si metterà cerotti sulla bocca,
gioielli attorno al collo come delle catene,

guideranno macchine come carri d’assalto
attraverso il nostro territorio. Nessun capo
parla più la stessa tua lingua.

Imparerai i codici, la sintassi
e il vocabolario, ma non sarai tu
a utilizzarlo, saranno loro a farlo.

La carne che mangi,
il sangue che bevi
sono la tua stessa carne, il tuo stesso sangue.



SE BRÛLER LES DOIGTS

La moralité. Une solution personnelle. Une façon d’éviter les accidents. Faire de la morale n’a rien à voir avec la moralité. La moralité est à la morale ce que l’uranium est à la guerre nucléaire. Ce que tu crois bon pour toi est aboutissement de possibilités infinies. Mais un aboutissement demeure toujours éphémère. Il s’agit de te brancher sur moi pour que s’allume la lumière. Une lampe à rayons ultra-violets peut t’intéresser ; j’ai besoin d’une clarté que seul l’instant parvient à me donner. Auparavant, je faisais fi de l’éclair qui aurait pu me frapper ; aujourd’hui, je me cache du tonnerre. Nous sommes enfants qui ont appris comment le feu brûle les doigts.


BRUCIARSI LE DITA

La moralità. Una soluzione personale. Un modo di evitare gli incidenti. Fare la morale non ha nulla a che vedere con la moralità. La moralità sta alla morale come l’uranio sta alla guerra nucleare. Ciò che credi buono per te è l’esito delle possibilità infinite. Ma un esito rimane sempre effimero. Si tratta d’inserirti su di me affinché si accenda la luce. Una lampada a raggi ultravioletti può interessarti; ho bisogno di una chiarezza che solo l’istante riesce a darmi. Un tempo, disdegnavo il lampo che avrebbe potuto colpirmi; oggi mi nascondo dal tuono. Siamo bambini che hanno imparato come il fuoco brucia le dita.

(da L’autre rivage, Montreal, Éd. du Noroît, 1999)


SOUDEUR Joe Pass gratte les cordes de sa guitare
et bascule l’esprit endormi sur son tabouret :
buste sur un toit qui, soudain, a la bougeotte.
Plume à la main, j’ai l’air ridicule affalé dans mon fauteuil
en train de limer ces mots que je tasse dans un mètre
qui suit le battement d’aucun cœur.
Jour gris à la dérive heureuse. Des travailleurs,
de vrais sculpteurs aux doigts ensorcelés,
martèlent la charpente de notre remise
plus vite que moi qui colle difficilement ces images
qui réchaufferont, j’espère, le cœur de mon épouse.
Papa, je n’aurais jamais dû vous écouter.
L’école, c’est pour les crétins. On apprend
davantage à être comme vous, soudeur.


SALDATORE Joe Pass strimpella le corde della sua chitarra
e dondola con la mente addormentata sullo sgabello:
il busto su un tetto che, d’improvviso, ha la smania.
Penna in mano, sembro ridicolo stravaccato sulla mia poltrona
mentre limo queste parole che pigio in una metrica
che segue i battiti di nessun cuore.
Giorno grigio dalla lieta deriva. Lavoratori,
veri scultori dalle dita stregate
martellano la struttura della nostra rimessa
più veloci di me che incollo a stento queste immagini
che riscalderanno, spero, il cuore della mia sposa.
Papà, non avrei mai dovuto ascoltarvi.
La scuola è per i cretini. S’impara
di più a essere come voi, saldatore.

(da Comment ça se passe, Montreal, Éd. du Noroît 2001)


LE PREMIER MARS

Samedi, de midi à la pleine lune,
nous sommes quatre à flâner sur les rochers.

Le Pacifique, un miroir où les nuages
scandent un ciel rempli de visages.

Le calme brisé par des bacs de touristes
qui tranchent la marée en deux.

Mon amour, tu insistes pour t’isoler
afin de ruminer sur l’amour.

Lorsque le sang du soleil éclate
contre le ciel mauve, tout meurt.

Sous la valse très lente de Jupiter
Acapulco ressemble à un arbre de Noël

et dans nos yeux avivés par le peyote,
l’amour se transforme en ange.

Étourdis par ce mouvement de grandeur,
sans parler, nous sommes complices,

notre vie est un miracle d’amour,
une avalanche de lave et d’étoiles,

un débordement de générosité.
Nous sommes plus petits que la poussière

qui compose notre corps ; notre amour
plus faible que la caresse d’une aile.

Tout ressuscite. Le rire est plus fort
que les lunes qui semblent si vives ce soir.

Nous devenons doigts de pierre rouges.
Nous nous élevons de la folie des vagues jusqu’aux galaxies.

Nous sommes lave pétrifiée, montagnes muettes et mobiles.
Nous sommes quatre silhouettes devant le sublime qui craque.


IL PRIMO MARZO

Sabato, da mezzogiorno fino alla luna piena,
siamo in quattro a indugiare sugli scogli.

Il Pacifico, uno specchio dove le nuvole
scandiscono un cielo riempito di volti.

La quiete rotta da traghetti di turisti
che spaccano in due la marea.

Amore mio, insisti per isolarti
prima di rimuginare sull’amore.

Quando il sangue del sole esplode
contro il cielo malva, tutto muore.

Sotto il lentissimo valzer di Giove
Acapulco somiglia a un albero di Natale

e nei nostri occhi ravvivati dal peyote,
l’amore si trasforma in angelo.

Storditi da questo movimento di grandezza,
senza parlare, siamo complici,

la nostra vita è un miracolo d’amore,
una valanga di lava e di stelle,

un travaso di generosità.
Siamo più piccoli della polvere

che compone i nostri corpi; il nostro amore
più debole della carezza di un’ala.

Tutto resuscita. La risata è più forte
delle lune che appaiono così vive stasera.

Diventiamo dita di pietre rosse.
Ci eleviamo dalla follia delle onde fino alle galassie.

Siamo lava pietrificata, montagne mute e mobili.
Siamo quattro sagome davanti al sublime che scricchiola.


L’HOMME TIMIDE

Les femmes ici aiment les cowboys, brutes solides
comme des chevaux, pouvant faire tourner leurs voitures
sur elles-mêmes en moins de temps que les plus brutes
peuvent vider une bière. Elles aiment leurs hommes
forts, front bas, bedonnant, cul serré ;
le chapeau cachant une calvitie naissante ;
bottes en peau de vache, pointues comme des crampons ;
chemise de soie avec des images de villes
qu’ils n’ont jamais vues ; yeux de renard, mâchoire ferme ;
tatouages discrets sur l’avant-bras ;
avançant à grands pas avec une selle invisible
entre les cuisses, parlant de sport comme s’ils mâchaient
le bout ferme d’un sein de femme. Dans le coin du bar,
un homme timide décolle l’étiquette d’une bière chaude.


L’UOMO TIMIDO

Le donne qui amano i cowboy, bruti solidi
come cavalli, capaci di far girare le loro macchine
su se stesse in meno tempo di quanto i più bruti
possano tracannare una birra. Amano gli uomini
tarchiati, fronte bassa, panciuti, culo stretto;
il cappello a nascondere una pelata incipiente;
stivali in pelle di vacca, appuntiti come ramponi;
camicia di seta con immagini di città
che non hanno mai visto; occhi di volpe, salda ganascia;
sobri tatuaggi sull’avambraccio;
mentre avanzano a grandi passi con una sella invisibile
tra le cosce, parlando di sport come se masticassero
il capezzolo indurito di una donna. In un angolo del bar,
un uomo timido scolla l’etichetta di una birra calda.


A MES PARENTS Laissez moi prier ce soir,
maintenant que le tourment s’est apaisé,
maintenant que c’est le septième jour,
maintenant que je peux me coucher et penser,
non pas faire semblant de penser,
mais penser vraiment, formuler des idées,
des idées claires, les traduire en images,
avoir le courage des images
créés, à créer, à me souvenir.

Laissez-moi prier ce soir pour demander
à ceux que j’ai pressés comme du raisin
des oranges au poivre et à l’huile.
L’étranger qu’on rejette pleure,
s’apitoie sur lui-même, fait de faux aveux.
L’oppression du jour ne s’évanouit pas la nuit.
La déprime de la nuit ne s’évanouit pas le jour.
J’ai enseveli mon amour, mes psaumes
à l’ailleurs, dans l’opacité de la déception.

Laissez-moi prier d’un ton féroce.
Je suis un homme maudit et méchant
pour avoir haï les gens qui m’ont donné
toute leur dignité lorsque donner les rendait
faibles et vulnérables ; pour avoir demandé
un monde irréel à ceux dont les mains sont
des figues de soleil ; leurs bouches sucent
le jus sucré d’anguilles frites, leur dialecte
est un hymne au remerciement.

Oui, laissez-moi prier
avec mes joues ratatinées par le goudron.
Je joins mes paumes non près de la cheminée,
mais dans un cul-de-sac de la servitude, de la ruse,
de l’argent, de la lutte, de la haine, de l’amour routine,
sans éclats, fatigué ; je remercie la femme
que j’aime pour ses seins et son foyer,
parce qu’elle, la blessée, m’attend patiemment,
avec une tolérance vivace, allant jusqu’au vif.

O laissez-moi prier pendant
qu’un tourment passe, avant qu’un autre ne vienne.
Je suis assis à mon bureau en désordre,
devant une carafe de vin rouge, des piles
de livres perdus dans une rêverie,
cette nuit n’est pas pour l’écoute,
ni pour la musique tant aimée,
ni pour le dialogue de la belle poésie,
je n’arrive plus à m’enivrer.

Laissez-moi prier toute la nuit,
même si cette prière de fou,
sans rythme ni cadence, manque d’élégance.
Laissez-moi semer une amitié saine
et un respect de soi plus serein.
Laissez-moi creuser mes ongles
profondément dans le ciel de la terre
pour y tirer le noyau d’olive de piété.
Laissez-moi pacifier la bête de ma colère.


AI MIEI GENITORI

Lasciatemi pregare stasera,
adesso che il tormento si è placato,
ora che è il settimo giorno,
ora che posso andare a letto e pensare,
non far finta di pensare,
ma pensare veramente, formulare idee,
idee chiare, tradurle in immagini,
aver il coraggio delle immagini
create, da creare, atte a ricordare.

Lasciatemi pregare stasera per chiedere
a coloro che ho pressato come l’uva
come arance al pepe e all’olio.
Lo straniero che si respinge piange,
si piange addosso, rende false confessioni.
L’oppressione del giorno non svanisce la notte.
L’angoscia della notte non svanisce il giorno.
Ho seppellito il mio amore, i miei salmi
altrove, nell’opacità della delusione.

Lasciatemi pregare con un tono feroce.
Sono un uomo maledetto e cattivo
per aver odiato persone che mi hanno dato
tutta la loro dignità quando dare le rendeva
deboli e vulnerabili; per aver chiesto
un mondo irreale a coloro le cui mani sono
fichi del sole; le loro bocche succhiano
il sugo agrodolce d’anguille fritte, il loro dialetto
è un inno al ringraziamento.

Sì, lasciatemi pregare
con le mie guance sgualcite dal catrame.
Giungo le mie mani non vicino al camino,
ma nel vicolo cieco della sottomissione, della furbizia,
dei soldi, della lotta, dell’odio, dell’amore abitudinario,
opaco, stanco; ringrazio la donna
che amo per i suoi seni e la sua casa,
poiché lei, la donna ferita, mi aspetta con pazienza,
con una tolleranza vivace, per non dire scorticata.

Oh lasciatemi pregare mentre
passa un tormento, prima che un altro arrivi.
Sono seduto alla mia scrivania in disordine,
davanti a una caraffa di vino rosso, a pile
di libri e persi in un sogno,
questa notte non è per l’ascolto,
né per la musica tanto amata,
né per il dialogo della bella poesia,
non riesco più a ubriacarmi.

Lasciatemi pregare tutta la notte,
anche se questa preghiera da pazzi,
senza ritmo, senza cadenza, manca d’eleganza.
Lasciatemi seminare un’amicizia sana
e un rispetto di me più sereno.
Lasciatemi affondare le unghie
profondamente nel cielo della terra
per estrarne il nocciolo d’oliva della pietà.
Lasciatemi pacificare la bestia della mia collera.

(da L’homme de trop, Montreal, Éd. du Noroît 2005)


Traduzione dal francese di Viviane Ciampi




ANTONIO D’ALFONSO

Nato a Montreal nel 1953, da genitori italiani, compie studi in inglese e francese al College Loyola e all’Università di Montreal. Poeta, critico, cineasta indipendente, fonda nel 1978 le Éditions Guernica con all’attivo più di cento titoli, principalmente con poeti del Quebec e canadesi-inglesi, sia in lingua originale che in traduzione. Pensatore dell’etnicità e dell’italianità, romanziere, traduttore, il poeta si è fatto conoscere soprattutto con L’autre rivage, pubblicato diverse volte (anche in versione inglese, con il titolo The Other Shore) tra il 1987 e il 1999. Con la sua casa di edizioni a Toronto, D’Alfonso porta avanti un’opera pubblicata soprattutto in Quebec ma che, nel contempo, fa parte integrante della letteratura franco-ontariana, come nel caso della raccolta Comment ça se passe, apparsa per le Éditions du Noroît e finalista del Prix Trillium, nel 2002. Ha vinto il Prix Trillium con il romanzo, Un vendredi du mois d’août (Leméac, 2004) et il Prix Christine Dimitriu Van Saanen (Salon du livre de Toronto) con il romanzo, L’Aimé (Leméac, 2007).



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