FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

POESIA E SPIRITUALITÀ
Intervista a Luisella Carretta

di Viviane Ciampi



Guardare le cose senza vederle veramente; addentrarsi in una foresta e non chiamare gli alberi con il loro nome; evitare di affrontare il nascosto, l’invisibile, l’oscuro perché c’impaurano; respingere il nostro mondo interiore perché arroccati all’esterno, nell’universo d’immagini fintamente rassicuranti. Vecchia storia che non offre spunti per il nutrimento. Sarà che non riusciamo a dirottare le abitudini percettive per ritrovare l’innocenza dell’occhio.
Eppure, a cercarli, vi sono istanti per eccellenza che diventano intensità. In questa intensità la mente respira, non più divisa, scivola ai confini del tempo, incontra la bellezza come puro esercizio di sopravvivenza. Allora non sembrerà così difficile entrare nella vertigine del vero (che poi corrisponde a uscire dalla monotonia del male): […] «poiché l’uomo è nato da un orecchio che vede», scrive il poeta-sciamano Serge Pey.
Di questo e di altro abbiamo parlato con Luisella Carretta, un’artista vicina alla terra, alle cose degli uomini e al peso degli elementi. Eppure, dall’adolescenza in poi, attraverso poesia, pittura, performance, ricerca filosofica, viaggi e meditazione, riattiva il reale, costruisce piccoli mondi accanto all’esistente, all’indicibile, riesce a farsi testimone rarissima dei “desideri dell’anima”.

Come osservatrice, come artista, ha l’impressione che la poesia stia lasciando indietro la questione della spiritualità?

La poesia sta dimenticando il valore del messaggio. È come se le parole poetiche si chiudessero in se stesse perdendo non solo la spiritualità nelle diverse forme, ma anche il senso della loro esistenza. Tempo fa avevo scritto:

Dobbiamo cambiare l'ascolto
cancellare il suono del mondo
ritrovare un mondo
in un percorso creativo verso l'oltre
dove lo spazio è sogno...

Proprio in questi giorni è uscito il secondo numero della rivista "Poesia e spiritualità" e lei fa parte del comitato di redazione. Qual è stato il primo “nutrimento spirituale” di cui ha memoria?

Forse dovrei ritornare indietro nel tempo, la prima scintilla è ormai lontana: la musica, il canto, o nuotare in mare per sentirne la forza o ancora perdersi a guardare le montagne e le nuvole… quei momenti sono stati esaltanti, nutrimenti spirituali improvvisi e imprevedibili. Erano i primi ingenui passi alla ricerca del nucleo vitale e per trovare il senso dell’Assoluto.

Nei suoi libri parla di “transe dell’artista” (ci tiene a scrivere transe alla francese e non trance all’inglese come scrivono i più). Perché questa distinzione e che cos’è la “transe” dell’artista?

Preferisco scrivere transe dalla parola latina transire, cioè passare, attraversare.
La transe dell’artista è un viaggio verso il limite, la dissociazione e quindi il superamento del quotidiano. Le mie transe sono avvenute durante le performance.
Nel 1995, dopo due settimane di isolamento con altri artisti in uno spazio che potrei definire veramente Altro, nel deserto del Durango in Messico, ho realizzato la performance Sym-biosi. E così avevo descritto la mia transe:

Sono attratta dalla luce rossa del tramonto che disegna la montagna di Sant’Ignazio.
Vado in quella direzione. Sento sotto i miei piedi pietre e spine, ma non ho alcun dolore.
Continuo a camminare. Sensazioni di piacere e disperazione si alternano velocemente.
Guardo ancora il sole e la montagna.
Sento che potrei continuare all’infinito, ma mi fermo.
Cerco di ritornare fisicamente nel deserto. Qualcosa di indefinibile è avvenuto.
Ho compiuto un viaggio dove passato e presente si sono concentrati in pochi istanti.
Vedevo il grande cerchio di fuoco dietro la montagna e avrei voluto camminare all’infinito verso quel colore, ho fatto molta fatica a “rientrare”...
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Sym-biosi

La fotografia della performance è in parte l’illusione di fermare il tempo?

Le fotografie delle performance effettivamente “fermano il tempo”. La performance è un gesto unico e non una pièce teatrale. Le immagini permettono di memorizzare gesti, espressioni e situazioni irripetibili.

L’esperienza dell’“isolamento in natura”, rappresenta per lei un grande momento di spiritualità.

Attraverso le prime esperienze d’isolamento, necessario per il mio studio sul volo degli uccelli, ho cominciato il mio viaggio spirituale in Natura. Si trattava di riuscire ad entrare in profondità per conoscere.
Negli anni ‘90 ho partecipato a progetti di isolamento con altri artisti: sulle rive del lago Mitchinamécus nel nord del Québec; nella valle glaciale di Maradalen in Norvegia e nel Deserto di Durango in Messico.
Queste esperienze si sono trasformate in momenti irripetibili sotto il profilo del piacere nella ricerca creativa, nel silenzio totale, che poi non esiste, e nella solitudine: esperienze rare. Situazioni in cui si era creata una relazione profonda con gli elementi, uno stato di estasi, di completezza e felicità insieme: la difficoltà è stata ritornare nel quotidiano.
Nel mio diario di Mitchinamécus avevo scritto:

Questo spazio lo sento come un ritorno.
Dentro il mio prezioso sacco a pelo, guardando fuoco e cielo, incredibile per la quantità delle stelle finalmente visibili, sono come in un’esperienza già vissuta. Sono “nella natura”.
Posso approfondire l’esercizio dello sguardo. Scoprire la mutevolezza del paesaggio.
Nella notte scura, le voci sono quelle degli animali. L’ululato del lupo è il primo a farsi sentire.
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Questa esperienza estrema d’isolamento (per chi non può viaggiare) si potrebbe fare, in casa, nel silenzio, con la lettura di un grande libro, o in una meditazione davanti al tramonto che spesso ci fa toccare il sublime. Esistono, in fondo anche i viaggi immobili…

Non solo il viaggio permette di raggiungere l’esperienza estrema di isolamento, ma anche la stanzialità: sono modalità opposte che possono ugualmente provocare l’apertura in una direzione creativa.
Henri Michaux aveva scritto: “Si può trovare la propria verità anche guardando per quarantotto ore una qualsiasi carta da parati”.3
Qualche anno fa avevo volutamente fatto un’esperienza di stanzialità: lavorare per molti mesi nel mio studio per costruire uno dei miei “quaderni” dove segni e parole si intrecciavano. Il titolo era: “E nella stanza un varco”. Quindi, o mi costringevo ad entrare nel mio labirinto interiore, o cercavo di uscirne, come sfondando una parete, per aprirmi ad un mondo luminoso o oscuro, ma pieno di immagini e parole...


E nella stanza un varco


L’ansia è un sentimento necessario per creare?

L’ansia, nell’atto del creare è un passaggio, ma secondo me la vera spinta creativa è il dolore: si può trasformare in una energia forte. Le ferite scoperte si liberano e si curano nell’atto creativo.
Dice Louise Bourgeois: “Fare arte non è una terapia, è un atto di sopravvivenza. Una garanzia di salute mentale. La certezza è che non ti farai del male e che non ucciderai qualcuno”.

Si possono fare esperienze spirituali senza credere in Dio?

Nella ricerca dell’Assoluto come nutrimento, si entra in uno spazio-percorso dove non esiste necessariamente un Dio, ma molteplici esperienze che ti portano a riconoscere e a trovare il senso di un divino che illumina non solo il Mondo, ma anche tutto il Cosmo.

Il pubblico è generalmente affamato di messaggi immediati. Le sembra uno dei motivi che rende difficile l’accesso all’arte contemporanea?

Ricordo il mio intervento, sul tema: “Arte e ideologia” alla Queens University di New York nell’ottobre 2003, dove ero stata invitata da Peter Carravetta: in quell’occasione dichiarai innanzitutto la mia distanza da ricerche prettamente scenografiche e scioccanti, compiute per attrarre a tutti i costi l'attenzione del pubblico. Però credo nei cambiamenti, nelle proposte lontane e completamente separate dagli schemi predominanti nel cosiddetto ‘mondo dell'arte’, come quella realizzata con il mio progetto Atelier Nomade: presentare i propri lavori non solo in musei e gallerie, ma anche in altri luoghi in totale libertà, per esempio gli spazi in natura.4
Questo significa che ormai esistono due mondi: uno dove l’arte è intesa come merce in un vuoto di senso, in una non comunicazione, e quindi in una distanza abissale da qualsiasi ideologia, e un altro mondo dell’arte che continua, quasi silenziosamente, nella sua ricerca fondata sull’intensità del messaggio, perseguendo una densità di significati e rivolgendosi ad un pubblico ristretto, ma attento.
L’impegno del poeta, dell’artista, oggi come ieri, consiste nel dire cose sul mondo e sul futuro del mondo in un percorso che deve necessariamente privilegiare l’addentrarsi in una profondità del pensiero e del “sentire” e che da questa profondità non rifugge.

Si sente talvolta dire: la parola inganna. I segni dell’artista, una volta buttati sulla tela, se mentono finiranno col mostrare la menzogna...

I segni dell’artista, le parole di uno scrittore sulla tela o sulla pagina devono suscitare emozione e comunicare segni e parole altre che vengono dal profondo. Da questo punto di vista la menzogna può trasmettere solo altra menzogna, quindi segni e parole vuote.

Jean-Paul Sartre diceva in modo sarcastico: «Ils croient que l’art console… ces cons!» (Questi scemi credono che l’arte possa consolare!).

Le parole di Sartre sono state dichiaratamente provocatorie: l’arte non consola, ma cura e ti porta lontano...

Come accolse, anni fa (in quanto artista attenta a tutto ciò che le accade attorno) quel fenomeno chiamato New Age e di cui adesso nessuno parla più? Era tutto da buttare?

Negli anni ’60 l’antropologo Carlos Castaneda, con la pubblicazione dei suoi libri, tradotti e letti in tutto il mondo, aveva già aperto la via dichiarandosi un apprendista stregone a seguito dell’incontro con Don Juan, indiano Yaqui di Sonora.
La New Age è stato un fenomeno curioso e interessante, ma di breve durata, che però ha avuto successo raggiungendo e coinvolgendo anche persone che non si erano mai poste certe domande. Suggeriva un diverso modo di pensare e di mettersi in rapporto con il mondo e un modo per uscire dalla dittatura della scienza.
A quegli stessi anni risale il mio incontro con gli insegnamenti di Gurdjieff trascritti da Ouspensky. Letture durate anni con esperienze solitarie e di gruppo sulla via della consapevolezza.
La conferma, per esempio è che ognuno di noi usa una piccola parte dei propri poteri e della propria forza. Come non cercare quindi di aprire qualche fessura nella parte arcaica del nostro cervello?
L’esperienza con gli animali e il loro insegnamento mi aveva aiutato a capire che era possibile aprire le prime porte. Sto lavorando ancora in questa direzione. Una lunga e difficile strada, forse infinita, ma per me, oggi, è importante almeno avere iniziato il percorso.



1Cfr. Luisella Carretta, Dissociazione e Creatività/La transe dell’artista, Udine, Campanotto, 2005.

2Cfr. Luisella Carretta, Non volevo vedere l’orso, Udine, Campanotto, 2002.

3Henri Michaux, Ecuador [1929], tr. it. Macerata, Quodlibet, 2005, p. 92.

4Cfr. Luisella Carretta, Il mondo in una valigia. Atelier Nomade 2, Udine, Campanotto, 2006:
           Atelier Nomade è un progetto, un percorso che attraversa la vita e l’arte.
           Atelier Nomade è essere curiosi dei luoghi lontani e vicini.
           Atelier Nomade è gettare le maschere e porsi ad un ascolto attento del mondo.
           Atelier Nomade è un gesto di libertà dagli schemi dell’arte.
           Atelier Nomade è guardarsi dentro per pensare a sé e agli altri.




LUISELLA CARRETTA
Artista, appassionata di viaggi e scrittrice, è nata e vive a Genova.
Negli anni ’70 e ’80 ha dedicato molto del suo tempo alla trascrizione del volo degli uccelli. Per questo lavoro nel 1986 è stata invitata da Giorgio Celli alla Biennale di Venezia. Ha alle spalle una lunga attività espositiva a livello internazionale sul tema arte/natura/scienza. Nel 1995 il Museo d’Arte Contemporanea di Genova ha curato una sua mostra antologica. Dagli anni ‘80 in poi ha compiuto numerosi viaggi in America, Africa, Asia e nord Europa. Così è nato il progetto di una creatività nomade al di fuori degli schemi del mondo dell’arte. Su questo tema ha pubblicato: Atelier nomade (Campanotto, 1998), Dove le pietre volano, diario di un viaggio in Islanda (Campanotto, 1999), Non volevo vedere l’orso (Campanotto, 2002), Il mondo in una valigia/ Atelier Nomade 2 (Campanotto, 2006). Da questo libro è stato tratto uno spettacolo teatrale presentato a Genova nel 2007 dalla compagnia Jorge Eduardo Eielson, di Firenze. Dal 1987 dirige l’attività dell’Associazione Culturale Le Arie del Tempo.


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