FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 12 ottobre/dicembre 2008 Suoni di versi |
ALLA RICERCA DELL’ISOLA POSSIBILE di Viviane Ciampi |
Lusofona d’origine, Carla Ferro ha frequentato fin dall’infanzia la letteratura francofona disponibile nella sua isola natia, São Vicente, nell’arcipelago di Capo Verde. Quel primo invito al viaggio le permette, oggi, di adoperare con dimestichezza (oltre al portoghese) anche la lingua di Molière, con la grazia poetica tratta dalle sue sorgenti insulari. Ma ciò che l’attrae è il respiro del mondo, il grido lungo della Terra, degli uomini che la popolano e hanno l’ardire di spostarsi per vivere meglio.
«Gli inediti qui presentati non hanno ancora un editore», tiene a precisare l’autrice. Li accogliamo volentieri (confessando un nostro particolare interesse per i poeti dalle referenze multiple), poiché è dovere di una rivista, crediamo, traghettare da un Paese all’altro voci non ascoltate o poco ascoltate.
INTERVISTA A CARLA FERRO Ha lasciato la sua isola natia per vivere in Belgio, a Namur. Tra i tanti motivi della partenza cercava anche lo spaesamento?
Non ho mai lasciato la mia isola natia, o quanto meno, non con la mente. La porto sotto la pelle. E non ho neppure scelto la città di Namur. Piuttosto, direi che ci siamo scelte come si scelgono gli innamorati, con un colpo di fulmine. Namur mi ha aperto il suo cuore, la sua “Maison de la poésie”. Mi ci accovaccio come in un’isola tra i suoi due fiumi. Namur rappresenta per me la rinascita, come il bambino tra le braccia della sua madre adottiva. Lo scopo del viaggio non è stato il desiderio di spaesamento. Ho solamente imboccato un sentiero chiodato per meglio avvicinarmi alla poesia e alla vita. Namur ed io formiamo un arcipelago in due.
Come percepisce, São Vicente di Capo Verde? Ha ancora il potere di meravigliarla?
È l’isola della mia infanzia e la considero l’isola dei bambini, dei ricordi di montagne, mare, volti scomparsi. Isola del vento, della sabbia, addirittura dell’amore possibile. L’isola possibile esiste, ma solo nella mia poesia. Eppure, una volta oltrepassati i limiti semoventi tra il reale e il possibile, il fittizio e il probabile, credo d’avere ancora la facoltà di mettere alla prova questi ricordi. Sono momenti privilegiati, da reinventare. E la scrittura resta l’unico mezzo per un appuntamento con la mia isola. Abbiamo tutti quanti un’ isola d’infanzia negli occhi, no? Da lì, scaturisce la meraviglia!
Scrittori dalle multiple appartenenze, è noto, hanno generalmente una lingua per parlare al quotidiano e una d’elezione per scrivere…
Al quotidiano tento al massimo di parlare la lingua in cui mi trovo. Per la scrittura, la mia lingua poetica è il francese. Si è imposta da sé. Non ho avuto scelta. Credo, di essere un funambolo in quella lingua in quanto tengo i piedi sul filo con la testa rovesciata.
Quindi se le chiedessero all’improvviso a quale nazionalità appartiene, che cosa risponderebbe?
Risponderei che appartengo al mondo. Sono là dove le mie radici mi nutrono. Mi paragono spesso a un albero con le radici allo scoperto che seguono i capricci del vento, delle tempeste, del sole, della sorgente, degli sguardi…
Come ha incontrato la poesia?
Quando ho capito che ero mortale. A otto anni leggevo Norge. Dopo ho seguito Hölderlin, Pizarnik, René Char… col tempo ho sentito arrivare come un flusso: il sangue che mi nutre.
Per quanto riguarda la sua visione dell’Africa?
L’Africa? La culla della creatività, degli estremi: si parte dall’emozione pura per arrivare all’immaginario prolisso. È questa l’Africa! Vi ci si trova tutto; il che significa nulla di rassicurante e nel contempo ogni cosa appare possibile. Si riconosce l’Africa fin dal disegno della sua prima valle, la valle del Rift.
“Kafuka”, titolo di una sua poesia, è un nome che le sta a cuore…
Già. È una parola in creolo che ha fatto il viaggio dall’Africa al Brasile prima di ritornare a Capo Verde. Da noi significa la forma geografica di Capo Verde. A ben guardare l’arcipelago, infatti, sembra una lampada a olio ed è la lampada che guida tutti i derelitti degli oceani. Kafuka, inoltre, contiene anche le lettere di Kafka, quindi una strizzatina d’occhio alla metamorfosi da lui scritta. Da qui si può arrivare alla lampada della metamorfosi, sia essa lampada da tavolo o lampada del cielo.
A proposito del creolo, prova nostalgia per questa lingua crocevia d’altre lingue?
Per fortuna, la parlo ancora senza problemi e la considero la lingua della mia nostalgia. Essa stessa è deposito di nostalgie a causa del modo in cui è nata. Pensi: un insieme di lingue uscite da diverse parti del mondo con influenze africane e portoghesi. Una lingua che sogna i continenti…
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POESIE DI CARLA FERRO
KAFUKA
la nuit enceinte pour m’endormir
la notte gravida per addormentarmi
Nekking entre murènes. Envasement. Mirages horizontaux. Nos pas chevauchent dans les dédales subversifs des bords de mer. Des rampes épaisses déposent des lambeaux de vent cupide. Paysage inachevé d’une construction familière sans aucun intérêt. Désertique conspiration. Des cadavres passent au large sur les crêtes des écumes. Un crabe pourchassé, deux sacs en plastique recyclable, une cabane rachitique, du sable. Rien que du sable. Pour remplir le vide. Dans le ciel, quelque chose de nous qui saigne. Un soleil mort. Ne jamais tourner le dos à la mer. Je t’ensauvagerai, dit le récif.
Nekking tra murene. Interramento. Miraggi orizzontali. I nostri passi cavalcano le rive del mare nei dedali sovversivi. Spesse ringhiere posano lembi di cupido vento. Paesaggio incompiuto d’una costruzione familiare che non attrae. Desertica cospirazione. Cadaveri passano al largo su creste di schiuma. Un granchio inseguito, due sacchetti di plastica riciclabile, una striminzita capanna, sabbia. Soltanto sabbia. Per riempire il vuoto. Nel cielo, qualcosa di noi che sanguina. Un sole annichilito. Non voltare mai le spalle al mare. T’inselvaticherò, dice lo scoglio.
PELOUSE DE DISPERSION - ST. LOUIS, SÉNÉGAL, 2006
abrupt, le chemin veuf au nord, le ciel abrupt, le chemin veuf et je cueille des épines d’acacia pour les déposer aux pieds de ta bouche basaltique PRATO DI DISPERSIONE - ST. LOUIS, SENEGAL, 2006
ripido, il sentiero vedovo a nord, il cielo ripido, il sentiero vedovo e colgo spine d’acacia da deporre ai piedi della tua bocca basaltica
le souffle du monde s'évade les pas en pluie tombent méditant dans la nuit allongée les regards polychromes accrochés à l'espoir incontestablement du jour
dilegua il respiro del mondo cadono passi piovosi pensosi nella notte estesa gli sguardi policromi ancorati alla speranza incontestabilmente del giorno
nul ne voit le souffle le reste n’est que neige
nessuno scorge il respiro il resto è solo neve
DES FLEURS ET DES FRUITS
rouge rose violet et l'ombre distillé de l'ombre nous mangeons comme des vieux édentés FIORI E FRUTTI
rosso rosa viola e l’ombra distillata dell’ombra mangiamo come vecchi sdentati
L’HORLOGE DANS L’ŒIL
regarder l’instant L'OROLOGIO NELL'OCCHIO
guardare l’istante
TRAPÉZISTES DE NUIT
après le ciel sous le toit nous nous amusons à recoller les bris de peaux TRAPEZISTI NOTTURNI
dopo il cielo sotto il tetto ci divertiamo a incollare lembi di pelle
souffles entrelacés d’étincelles au pied d’un jour d’avril le chant des oiseaux en dessous de la table l’insolence des éclats brûlants dans le noir du crin de la nuit ils sont bleus tes yeux d’eau errent les mots source
ordito di respiri di scintille ai piedi d’un giorno d’aprile il canto degli uccelli sotto il tavolo l’insolenza dei barbagli roventi nel buio dello scrigno notturno azzurri sono i tuoi occhi d’acqua vagano parole di sorgente
EN VOL, BATTEMENTS D’ELLE
sur la route en pierre IN VOLO, BATTITO D’ALA*
sulla strada di pietra
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*In francese il titolo è volutamente ambiguo: vi è infatti assonanza tra “aile” (ala) e “elle” (lei, ossia la poeta che scrive). Non potendo restituire il jeu de mot in italiano, ho preferito tradurre con “battito d’ala”, piuttosto che con “battito di lei”, tanto più che di farfalla (anche se di farfalla-donna-poeta) si tratta.
Traduzione dal francese di Viviane Ciampi
CARLA FERRO (foto di Victor Lopes) |