FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 12
ottobre/dicembre 2008

Suoni di versi

ASCOLTARE
una rubrica per le orecchie

di Federico Platania


Il diritto di non ascoltare quel che ascoltano tutti


Sto guardando in tv una puntata di Miss Italia insieme a mia moglie (ebbene sì: ogni tanto ci concediamo queste scivolate nel pecoreccio televisivo). A un certo punto l’abbronzatissimo conduttore annuncia l’ospite canoro della serata e lo fa con queste parole: «è sua la canzone che voi telespettatori avete cantato in continuazione quest’estate». Io e mia moglie ci guardiamo sbigottiti: infatti, la canzone che io e lei abbiamo cantato in continuazione quest’estate è «Live Like You Were Dying» di Tim McGraw, un cantante country americano molto famoso negli Stati Uniti ma pressoché sconosciuto qui in Italia. Così per quanto sorpresi di vedere il ruspante Tim apparire in prima serata su RaiUno eravamo contenti di intonare per l’ennesima volta quel ritornello a noi caro. Ma ecco che, invece, dalla scalinata luccicante del Palavattelapesca, scende una riccioluta italiana forte di fianchi, tal Giusy Ferreri, che scimmiottando lo stile canoro di Amy Winehouse attacca una lagna micidiale.
Io e mia moglie fissiamo con risentimento il teleschermo: non è questa la canzone che noi – che fino a prova contraria siamo telespettatori di Miss Italia al pari di tutti gli altri – abbiamo cantato in continuazione nel corso dell’estate! Come si è permesso l’abbronzatissimo presentatore di parlare anche a nome nostro?
Ma le sorprese non finiscono qui. Là, oltre il vetro, nel teleschermo, tutti cantano davvero le parole di questa ennesima canzonetta italiota. Le sanno a memoria. E a cantare non sono solo le sciacquette di turno ma anche gli intellettuali in panchina, i giornalisti, le nonne tra il pubblico, i vip dell’ultimo quarto d’ora. Tutti.

Dopo un veloce briefing familiare, io e mia moglie ci confermiamo a vicenda che è la prima volta in assoluto che sentiamo quella canzone. E ci chiediamo: come abbiamo fatto a evitare questo rognoso tormentone per tutti questi mesi? Eppure anche noi ogni tanto cediamo all’intrattenimento nazional-popolare (lo dimostra il fatto che dedichiamo qualche sera all’anno alla visione di cose tipo Miss Italia): che so, un pomeriggio al centro commerciale, qualche ora di radio ascoltata in sottofondo, un programma stupido in tv, appunto. Ma niente, c’eravamo salvati. Quella filastrocca per shampiste e tamarri eravamo riusciti a schivarla per tutto questo tempo.
Mai come in quel momento mi sono sentito orgoglioso del mio pedigree auricolare. È un discorso snob, lo riconosco, ma non sono un personaggio pubblico e posso permettermi dichiarazioni politically uncorrect. E allora mi lancio in questo avviso ai naviganti: fuggite come la peste le cosiddette hit del momento, zittite le radio, soprattutto quelle dei grandi circuiti commerciali. La musica è un’esplorazione, una battuta di caccia, è qualcosa che ha molto più a che fare con la sorpresa di trovare un tartufo che acquistare al supermarket funghi coltivati. Chissà cosa pensa di tutto questo l’abbronzatissimo conduttore di Miss Italia?



P.S.: il titolo di questo numero di Fili d’aquilone si prestava a una doppia interpretazione. Io ho deciso di dedicare questa puntata di “Ascoltare” all’importanza dei suoni diversi, al diritto sacrosanto di disinteressarsi a ciò che tutti quelli che ci stanno intorno ci indicano come bello. Ma forte è stata la tentazione di parlare anche dei suoni di versi e dunque di affrontare una questione che torna spesso nei discorsi sulla musica, ovvero: i cantautori vanno considerati al pari dei poeti oppure no? E giù a citare De Andrè che andrebbe fatto studiare nelle scuole o l’ermetismo di De Gregori o la capacità affabulatoria di Guccini. È un tema su cui si potrebbe parlare a lungo. Mi limito a dire questo: chi dice che certa canzone d’autore è importante quanto la poesia crede di rendere un buon servigio alla causa della musica leggera, ma in realtà la ghettizza e la umilia. Se una forma d’arte ha bisogno di essere considerata qualcos’altro per esprimere il proprio valore allora c’è qualcosa che non va. Se ho bisogno dell’alloro della poesia per dire che anche una canzone pop vale qualcosa sto togliendo qualunque autorità alla canzone d’autore. Mi viene in mente, per essere più chiari, quella battuta di Lorenzo, uno dei tanti personaggi creati da Corrado Guzzanti, che parlando con una ragazza, convinto di farle un complimento, diceva: «tu non sei una donna, sei una modella».

 

federico.platania@samuelbeckett.it