FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 12 ottobre/dicembre 2008 Suoni di versi |
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Sto guardando in tv una puntata di Miss Italia insieme a mia moglie (ebbene sì: ogni tanto ci concediamo queste scivolate nel pecoreccio televisivo). A un certo punto l’abbronzatissimo conduttore annuncia l’ospite canoro della serata e lo fa con queste parole: «è sua la canzone che voi telespettatori avete cantato in continuazione quest’estate». Io e mia moglie ci guardiamo sbigottiti: infatti, la canzone che io e lei abbiamo cantato in continuazione quest’estate è «Live Like You Were Dying» di Tim McGraw, un cantante country americano molto famoso negli Stati Uniti ma pressoché sconosciuto qui in Italia. Così per quanto sorpresi di vedere il ruspante Tim apparire in prima serata su RaiUno eravamo contenti di intonare per l’ennesima volta quel ritornello a noi caro. Ma ecco che, invece, dalla scalinata luccicante del Palavattelapesca, scende una riccioluta italiana forte di fianchi, tal Giusy Ferreri, che scimmiottando lo stile canoro di Amy Winehouse attacca una lagna micidiale.
Dopo un veloce briefing familiare, io e mia moglie ci confermiamo a vicenda che è la prima volta in assoluto che sentiamo quella canzone. E ci chiediamo: come abbiamo fatto a evitare questo rognoso tormentone per tutti questi mesi? Eppure anche noi ogni tanto cediamo all’intrattenimento nazional-popolare (lo dimostra il fatto che dedichiamo qualche sera all’anno alla visione di cose tipo Miss Italia): che so, un pomeriggio al centro commerciale, qualche ora di radio ascoltata in sottofondo, un programma stupido in tv, appunto. Ma niente, c’eravamo salvati. Quella filastrocca per shampiste e tamarri eravamo riusciti a schivarla per tutto questo tempo.
P.S.: il titolo di questo numero di Fili d’aquilone si prestava a una doppia interpretazione. Io ho deciso di dedicare questa puntata di “Ascoltare” all’importanza dei suoni diversi, al diritto sacrosanto di disinteressarsi a ciò che tutti quelli che ci stanno intorno ci indicano come bello. Ma forte è stata la tentazione di parlare anche dei suoni di versi e dunque di affrontare una questione che torna spesso nei discorsi sulla musica, ovvero: i cantautori vanno considerati al pari dei poeti oppure no? E giù a citare De Andrè che andrebbe fatto studiare nelle scuole o l’ermetismo di De Gregori o la capacità affabulatoria di Guccini. È un tema su cui si potrebbe parlare a lungo. Mi limito a dire questo: chi dice che certa canzone d’autore è importante quanto la poesia crede di rendere un buon servigio alla causa della musica leggera, ma in realtà la ghettizza e la umilia. Se una forma d’arte ha bisogno di essere considerata qualcos’altro per esprimere il proprio valore allora c’è qualcosa che non va. Se ho bisogno dell’alloro della poesia per dire che anche una canzone pop vale qualcosa sto togliendo qualunque autorità alla canzone d’autore. Mi viene in mente, per essere più chiari, quella battuta di Lorenzo, uno dei tanti personaggi creati da Corrado Guzzanti, che parlando con una ragazza, convinto di farle un complimento, diceva: «tu non sei una donna, sei una modella».
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