FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 11 luglio/settembre 2008 Generazioni |
CELESTE di Annarita Verzola |
Irene voleva molto bene alla nonna Celeste. Quando la mamma l’accompagnava da lei e la lasciava per un po’ di tempo, era sempre contenta. La nonna sapeva tante storie e conosceva molti giochi. Per dire la verità, Irene vedeva la nonna a scuola tutti i giorni, proprio come Letizia, la sua compagna di banco. Solo che la nonna di Letizia era la maestra d’italiano della IVB e sua nonna Celeste era la bidella del primo piano.
Quando Irene saliva di sopra a portare dei libri o qualche messaggio di una maestra alle colleghe, la nonna era sempre impegnata a fare qualcosa e si accontentava di lanciarle solo un rapido cenno di saluto. Irene preferiva così perché in fondo si vergognava che sua nonna facesse la bidella e perciò non diceva mai a nessuno di essere la nipote di Celeste.
Poi un giorno era successo. La maestra Simona le aveva chiesto di andare negli uffici a portare l’invito per lo spettacolo di fine anno alla direttrice e agli impiegati della segreteria. La direttrice in quel momento era in giro per le classi e Irene le aveva lasciato in bella mostra sulla scrivania la busta. Non che avesse paura di lei, anzi. La direttrice era una bella signora bionda con gli occhi azzurri, sempre sorridente, che sapeva essere comprensiva anche quando le maestre la chiamavano per esporle i problemi della classe. Però il suo grande ufficio, con le bandiere e il ritratto del Presidente della Repubblica, la scrivania ingombra con il computer sempre acceso e le librerie piene di volumi, la metteva in soggezione. Nella segreteria entrava più volentieri, le impiegate erano sempre gentili e le offrivano le caramelle.
Quel giorno però si era fermata sulla porta, incapace di andare avanti e di tornare indietro. La nonna Celeste era nella stanza con le impiegate e stava scrivendo dei fogli. Quando la vide, il viso tondo e un po’ rugoso le si illuminò e fece una cosa che Irene non avrebbe voluto. Andò a prenderla per mano, poi la strinse a sé e si rivolse alle impiegate, dicendo loro: “Avete mai visto questa bella bambina?” “Sì, è venuta qualche volta qui da noi – rispose la più giovane – Non mi ricordo il suo nome…” “Lei è Irene, la mia nipotina!” A quel punto era ovvio che le impiegate facessero un sacco di moine, come di solito in questi casi. Complimenti… chissà come sei contenta di vederla tutti i giorni… è l’unica nipote che hai e via con altre cose del genere. Irene era rimasta così male che non vedeva l’ora di andarsene, dimenticandosi persino della busta che aveva in mano. La lasciò all’impiegata che stava più vicina e borbottò che doveva tornare in classe, o la maestra si sarebbe preoccupata. Da quella mattina la vita scolastica di Irene cambiò. Quando vedeva un gruppetto di bambini, subito pensava che parlassero e ridessero di lei, scambiandosi sottovoce la notizia che era la nipote della bidella. Cercava di uscire dalla classe il meno possibile e persino a ricreazione correva in bagno cercando di nascondersi in mezzo ai compagni, timorosa che la nonna la chiamasse o, peggio ancora, le venisse in mente di abbracciarla e di baciarla davanti a tutti.
Quando Irene ci pensava con attenzione, si rendeva conto che non era giusto vergognarsi della nonna. A casa aveva sentito tante volte il papà dire che tutti i lavori meritano rispetto, soprattutto se chi li svolge lo fa con impegno e coscienza per il bene di tutti. Il bene di tutti. Questo proprio Irene non lo capiva. Uno lavora per guadagnarsi da vivere, si diceva, che cosa c’entra il bene di tutti? A peggiorare le cose contribuì la maestra Simona, che un giorno decise di organizzare un lavoro di gruppo sui nonni. Bisognava parlare di loro, descriverne la gioventù, raccontare i ricordi che i nonni avevano spesso narrato ai loro nipoti. Ne sarebbe venuto fuori un omaggio alla loro generazione, diceva la maestra Simona, che i nipoti avrebbero raccolto in un libro. Tutti sembravano entusiasti del progetto e soprattutto ansiosi di raccontare le mille cose importanti che i loro nonni avevano fatto in gioventù e nel lavoro. Irene aveva solo nonna Celeste e non si decideva a scrivere ancora niente. Soprattutto dopo che erano stati raccolti i primi testi.
Giovanni aveva portato la testimonianza della nonna Sara, scampata al campo di concentramento di Auschwitz, che aveva dedicato tanta parte della propria vita a mantenere viva nelle scuole la memoria della deportazione e dello sterminio degli ebrei; Carlotta aveva portato le fotografie scattate dal nonno Umberto che per anni era stato il fotografo di una rivista che si occupava di natura e di animali; Stefania aveva tanti racconti della nonna Adele, che per anni era stata l’ostetrica in un piccolo paese di campagna e aveva aiutato a nascere due generazioni di abitanti. Insomma, tutti avevano storie belle e importanti da raccontare e Irene che cosa avrebbe potuto dire? Che la nonna Celeste lavava i pavimenti con le guance rosse e i capelli spettinati? Che la sera si lamentava perché le facevano male le gambe a furia di correre e di spostarsi di qua e di là? La maestra Simona non ci mise molto a capire che qualcosa in Irene non andava e ci mise ancora di meno a scoprire come tutto fosse legato al progetto sui nonni. Così decise di intervenire. Si informò sul turno di lavoro che avrebbe fatto Celeste quella settimana e fece in modo che Irene restasse in classe ad aiutarla per il progetto sui nonni mentre i compagni andavano a fare le prove per lo spettacolo. Irene non sospettava nulla, anzi, pensava che quella sarebbe stata una buona occasione per confidarsi con la maestra Simona e chiederle un consiglio.
“Maestra, vorrei domandarti una cosa. Non si tratta di compiti. Beh, per dire la verità c’entra anche un po’ la scuola, ma è complicato.” disse quel pomeriggio, mentre metteva nelle buste trasparenti i fogli che la maestra le passava. “Dimmi pure tutto, grazie a questo progetto abbiamo un po’ di tempo a disposizione. C’è qualcosa che non va?” Irene non sapeva da che parte incominciare e si era quasi pentita di aver parlato. All’improvviso vide nonna Celeste che si era seduta al tavolo nel corridoio e teneva davanti un mucchio di grembiuli. Stava cucendo. “Volevo chiedere a Celeste di riportare in biblioteca alcuni libri, ma vedo che è occupata. Lo faresti tu, Irene?” Irene annuì e prese i libri che la maestra Simona le aveva indicato. Passando accanto alla nonna, la curiosità ebbe la meglio. “Che cosa stai facendo? La maestra voleva chiamarti, ma ha detto che eri occupata.” “Mi dispiace, sarei venuta lo stesso. Approfittavo di un momento tranquillo per rammendare questi grembiuli. Oggi alcuni bambini della III A se li sono strappati in giardino, mentre giocavano, e ho pensato di sistemarli così le loro mamme non li sgrideranno.” Irene penso che fosse un gesto gentile da parte della nonna e fu contenta che la maestra Simona non l’avesse interrotta.
“Sai, Irene, ieri la maestra Lalla si è sentita male in classe e i suoi bambini sarebbero rimasti soli. – disse all’improvviso la maestra Simona, vedendola rientrare – Per fortuna avevano mandato Celeste a sostituire una collega della scuola materna e lo sai lei che cosa ha fatto? Li ha aiutati a mettersi tutti seduti in cerchio e poi ha raccontato loro una bellissima storia. I bambini sono rimasti tutti zitti e buoni ad ascoltarla e non si sono neppure accorti che erano già venute le mamme a prenderli.” Irene non si meravigliò, la nonna ne conosceva tante. Chissà se aveva raccontato loro la storia del pesciolino d’oro o quella della principessa prigioniera? O forse le avventure del marinaio coraggioso?
“Facciamo una piccola pausa e andiamo a lavarci le mani - propose la maestra Simona- poi faremo merenda con il ciambellone che ha portato ieri Celeste. È bravissima a fare i dolci e ci vizia portandoceli ogni settimana. Dice che non ci fa bene bere a stomaco vuoto il caffè della macchinetta.” Anche Irene aveva una fetta di crostata per merenda, la nonna Celeste la faceva apposta per lei con la frutta più bella che andava a comprare dall’ortolana al mercato rionale. Diceva sempre che si fidava solo della frutta e della verdura di Leona, perché erano prodotti della sua campagna.
“Senti che profumo di lavanda!” disse la maestra Simona, quando entrarono in bagno. “Qui brilla tutto come uno specchio perché Celeste fa le pulizie tante volte durante il giorno. Pensa che nel bagno di noi maestre tiene sempre un vasetto di fiori freschi.” Anche la casa della nonna Celeste brillava per ordine e pulizia e c’erano sempre fiori e piante, pensò Irene mentre si asciugava le mani badando a non far cadere gocce d’acqua per terra.
“Sai, a volte per abitudine chiamiamo ancora “bidella” Celeste, come si faceva una volta.” “Perché, non è vero che è una bidella?” chiese subito Irene incuriosita. “Il termine esatto per indicare la sua mansione è ‘collaboratore scolastico’ e se ci pensi bene è davvero giusto chiamarla così.” “Che differenza c’è?”
“Pensa a quanti siamo in questa scuola: direttrice, impiegati, maestre e bambini della scuola elementare e della materna. Le persone come Celeste ‘collaborano’ all’andamento del lavoro di tutta la scuola e pensa come ci troveremmo senza di loro. Aule e bagni sporchi, bambini senza aiuto e sorveglianza, impiegati costretti a uscire tante volte dagli uffici per andare da un punto all’altro della scuola. Noi arriviamo e i collaboratori sono già qui, poi ce ne andiamo e loro si trattengono ancora per vedere che tutto sia in ordine e pronto per l’indomani. Siamo come un ingranaggio, se un pezzo non funziona, tutto il meccanismo si inceppa!”
Nei giorni che seguirono Irene continuò a scoprire quanto fosse necessario il lavoro di nonna Celeste e finalmente capì che cosa aveva voluto dire il papà. “Irene, alcuni giorni fa mi volevi chiedere qualcosa. Di che si trattava?” domandò una mattina la maestra Simona. “Oh, non era niente di importante. Non me ne ricordo nemmeno più!” rispose Irene ridendo e consegnò soddisfatta alla maestra Simona i fogli che aveva preparato a casa. Prima di metterli con gli altri, la maestra sbirciò le prime righe e sorrise. “La mia nonna si chiama Celeste e il suo lavoro è sempre stato il collaboratore scolastico. È stata in tante scuole diverse e ha sempre fatto il suo lavoro con impegno e coscienza per il bene di tutti.”
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