FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 11
luglio/settembre 2008

Generazioni

SANGUE BARBARO

di Armando Santarelli



Esiste una relazione umana più profonda di quella che unisce genitori e figli? No, ed è per questo che i genitori riescono ad avere una certa influenza sulla personalità dei figli. Il resto è la frustrazione che padri e madri sperimentano ogni giorno nel rapporto coi figli, perché a dispetto dei reciproci sforzi le generazioni sono fatte per entrare in collisione tra di loro.
Una legge ineluttabile?

Chi scrive non ha avuto un cattivo rapporto con i propri genitori. Mio padre e mia madre hanno fatto un lavoro così profondo e insistente che il risultato, cioè io, è riuscito in buona sostanza come avrebbero voluto; ma proprio quella parte residua, “la non piena corrispondenza con le aspettative dei genitori” ha creato delle insoddisfazioni a loro e molte angosce a me, pagate con la classica depressione da “inadeguatezza e senso di colpa filiale”. Mi sono (inconsciamente) vendicato nell’unico modo possibile, deleterio più per me che per loro: la dannata decisione di non laurearmi.
Il lieto fine è che non ho mai smesso di amare i miei genitori, né loro di stimarmi; e mi accorgo che più passa il tempo dal giorno della morte di mio padre più mi uniformo alle sue scelte semplici e sagge, ma soprattutto alla sua probità.
L’unico rammarico è che entrambi abbiamo capito un po’ troppo tardi che vivere in modo onesto e dignitoso è più importante di qualsiasi titolo accademico, di qualsiasi successo.
Ma perché genitori animati dalle migliori intenzioni devono vivere di ansie, rammarichi, sensi di colpa?
Perché ogni figlio potrebbe sottoscrivere i rimorsi, le angosce (e le accuse) che Franz Kafka affidò alle celebri pagine di Lettera al padre?

Nessuna confessione ha mai espresso in modo più chiaro e drammatico l’eterno conflitto tra generazioni: il padre, l’uomo dell’autorità, dell’azione pratica ed efficace cui tutto, anche la vita presente, va sacrificato; il figlio, che chiede comprensione per le attività “infantili” (la lettura, e più tardi la letteratura), che costituiscono l’essenza del suo essere, ma che il padre non accetta in nome del perseguimento del vero scopo della vita, la costruzione di un avvenire solido e sicuro.
Franz Kafka voleva intitolare tutta la sua opera “Tentativi di evasione dalla sfera paterna”. Se i “tentativi” del grande scrittore praghese sono andati a buon fine è proprio grazie alla funzione catartica di quella disciplina, la letteratura, che suo padre tendeva ad ostacolare. Ma che riguardi uomini di genio come Kafka, o noi comuni mortali, l’evasione dalla sfera familiare è possibile solo al prezzo che tutti conosciamo: le ferite che, nostro malgrado, dobbiamo infliggere ai nostri genitori.

Ma perché deve succedere questo? Perché ogni figlio uccide il proprio padre?
La risposta appare di una banalità sconcertante, ma è la risposta: perché i figli stanno coi genitori, ma non sono contemporanei dei genitori; essi vivono in un altro tempo, entro un’altra società, con un’altra storia: lo loro storia.
I figli imparano più dai coetanei che dalle rispettive famiglie: è la tremenda verità che la psicologa infantile Judith Rich Harris enunciò qualche anno fa in un libro che fece epoca: Non è colpa dei genitori. Una rivelazione che colpì al cuore i papà e le mamme di tutto il mondo, svelando una realtà che decenni di teorie educative conservatrici avevano sottaciuto o relegato nel novero delle teorie bizzarre e antiscientifiche.
Il patrimonio genetico, l’educazione familiare, l’ambiente: non c’è dubbio che siano questi i principali fattori che determinano la formazione della personalità di un individuo. Ma quanto conta ognuno di essi? Se stabilire delle percentuali è pressoché impossibile, una cosa è certa: l’educazione familiare incide molto meno di quanto si è sempre pensato.

La socializzazione del bambino, tanto per cominciare, non avviene quasi per niente tramite la famiglia; quando il bambino cresce, il travaso di linguaggio, regole e comportamenti appresi dal gruppo si accentua; i rapporti fra gli esseri umani sono determinati anzitutto dall’età. Infatti, quanto impiegano i giovani figli degli immigrati a imparare la lingua, i costumi, i rituali, le mode dei Paesi d’adozione? Nel giro di qualche mese, i comportamenti derivanti dai contatti con i nuovi compagni riescono a soppiantare anni di imprinting familiare. Perché è dai coetanei che i bambini imparano il primo linguaggio “libero”, è con loro che fanno le prime esperienze su come creare e mantenere dei rapporti sociali; i bambini moderni imparano molte cose dai genitori, ma se la cultura della famiglia è in contrasto con quella dei compagni, è quasi sempre quest’ultima ad avere la meglio; i nostri figli vogliono essere come i loro amici, non come le figure ideali che mettiamo loro dinanzi.
Bisogna anche sottolineare che buona parte degli atti che bambini e ragazzi vedono compiere dai genitori sono tabù, per loro; ma fuori casa, quando non si trovano più sotto gli occhi di mamma e papà, tutto diventa possibile. È una meravigliosa sensazione di libertà quella di poter correre sfrenatamente con la bicicletta, levarsi di dosso l’odioso maglione invernale, farsi una fumatina, parlare come parlano gli amici. E non è tutto: non solo i nostri figli regolano la loro condotta a seconda che agiscano nell’ambito familiare o si trovino per strada: essi imparano presto a comportarsi in modo diverso nei singoli contesti sociali in cui si muovono.

Mio figlio a casa parla molto poco, e quando lo fa si limita a pensieri semplici e concisi. Sì, sarà forse colpa dei suoi genitori, che lo invitano di continuo a esprimersi in modo più corretto; resta il fatto che a scuola e con gli amici mio figlio è considerato un tipo aperto e loquace. Al campo di calcio poi, so che diventa ancor più intraprendente e dispettoso: praticamente, un’altra persona!
Naturalmente, mi sono un po’ sorpreso di questo, ma non certo scandalizzato: mio padre e mia madre non sapevano che il ragazzino che serviva la messa e che in loro presenza si comportava in modo esemplare era lo stesso che andava a rubare nelle cantine e nei negozietti del paese.
Quanto alla vita casalinga dei miei figli, mi è invece ben nota: studio limitato all’indispensabile, e, al contrario, ore intere passate dinanzi al computer e al televisore, parlando al cellulare o giocando con la playstation; facendo pensare ai loro genitori che non abbiano polso, che li trascurino, che stiano allevando dei nuovi barbari.

Purtroppo, viviamo nel tempo delle ansie e dei rimorsi, come ha sottolineato lo psicologo L. Dencik: “Il senso di colpa per non aver dedicato sufficiente attenzione agli interessi dei bambini, che oggigiorno ossessiona i genitori e gli addetti alla loro cura, è in realtà un sentimento del tutto nuovo e particolare della nostra epoca moderna”. Ma smorzare ansie e sensi di colpa è proprio la cosa migliore che i genitori possano fare: è dimostrato che allevare i figli è più facile e proficuo quando non si è troppo condizionati dalle preoccupazioni relative alla “costruzione” del loro futuro.
Quello che i bambini vogliono è diventare membri competenti della società che frequentano; e tale società, cioè il loro gruppo, ha linguaggi, cultura e regole proprie, che non coincidono quasi per niente con quelle in uso nel mondo degli adulti.
Come sempre accade, l’intuizione poetica arriva prima delle scoperte della scienza. Kahlil Gibran ha anticipato la moderna psicologia infantile negli stupendi versetti del Profeta che racchiudono tutto il senso (e il dramma) del rapporto fra genitori e figli:

    I vostri figli non sono figli vostri.
    Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.
    Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
    e benché vivano con voi non vi appartengono.
    Potete donar loro l’amore, ma non i vostri pensieri:
    essi hanno i loro pensieri.
    Potete offrire rifugio ai loro corpi, ma non alle loro anime:
    essi abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
    Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:
    la vita procede, e non s’attarda sul passato.

I vostri figli non sono figli vostri… parole forti, dissacranti, ma vere: sono i figli a scuotere le nostre certezze, le nostre assurde pretese, la nostra noia. La sete che la vita ha di se stessa è il nostro sangue che crea altro sangue, un sangue barbaro, nuovo e vitale...


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