La stanza dei segni
C’è una stanza da qualche parte dentro di me, se guardi la vedi.
Una stanza dove il tempo si ferma e gli eventi s’acquietano.
In quella stanza i fatti minuti del quotidiano perdono senso e si respira un’aria rarefatta.
Le cose ordinarie sviliscono di fronte allo straordinario che accade.
È un luogo infinitesimo, chiuso.
Protetto e isolato dal resto del mondo con una serie di accorgimenti sacri e rituali che gli imprimono un’aura d’inviolabile scrigno a difesa del trapasso.
Lì i vecchi giacciono morti sopra i letti addobbati.
Distesi e curati negli aspetti esteriori: i vestiti le scarpe i veli se donne: tutti segni d’un antico rispetto.
E parlano muti.
Raccontano attraverso i ricordi che hanno lasciato, i gesti gli impegni le lezioni impartite.
Sanno che è questo il momento cruciale.
È il giorno e la notte in cui trovano ascolto, quando la voce ormai persa si eleva più netta e tagliente perché chi siede intorno a quel letto non alza barriere.
Lì stanno i giovani, coloro che restano dopo il diluvio.
Figure confuse in una luce nebbiosa sentono il peso che gli si scarica addosso.
Sperimentano la soglia che non ammette ritorno.
Percepiscono l’immensità del passaggio e non si difendono.
Si lasciano investire fino all’ultima cellula consapevoli che un’altra occasione non ci sarà.
Al cospetto dei vecchi resi muti dal consumato arbitrio della morte i giovani accettano finalmente il loro destino.
Niente più alibi o scuse, è l’ora di interpretare la vita che gli è stata assegnata.
E quando si alzano silenziosi e mesti i giovani sanno che qualcosa è cambiato, il rito è avvenuto.
E già lì, nella Stanza dei segni, girando lo sguardo oltre le ombre, il futuro gli appare nel viso dolce che accenna un sorriso.
elcip@libero.it
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