FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 10
aprile/giugno 2008

Identità & Conflitto

IL NOVECENTO PARRICIDA
Identità negate e conflitti generazionali negli scrittori d'inizio secolo

di Oscar Palamenga



Tra le varie definizioni che gli studiosi hanno attribuito al Novecento quella di "secolo parricida" è probabilmente una delle più veritiere. Se l'Ottocento è stato il secolo degli ideali, delle lotte per le unità nazionali, del trionfo della borghesia, il secolo che lo segue vede la crisi di tutti quei valori su cui si fondava la società europea: ed è una crisi che inevitabilmente sfocerà negli assolutismi e nelle dittature.
È una frattura netta, un violento conflitto generazionale che colpirà tutta la borghesia europea e che influenzerà gli intellettuali di almeno tre generazioni che non a caso, con diverse sfumature ed etichette, verranno chiamati "decadenti".

Raramente nella storia dell'umanità c'è stata una frattura così netta tra la generazione dei padri e quella dei figli come quella avvenuta alla fine dell'Ottocento. Non si parla di normali conflitti generazionali: non è una ricerca di libertà che spinge i figli a contestare i padri nel normale processo di crescita. Siamo di fronte ad una vera e propria negazione di identità: i figli non si riconoscono nei padri! Ne rinnegano le idee!
Tutti gli ideali politici, sociali, religiosi, tutta la fede nella scienza e nel progresso che ha spinto le generazioni nate nella prima metà dell'Ottocento anche a sacrificare la propria vita nelle guerre d'indipendenza, svaniscono in pochi anni. E la generazione nata dopo l'unità d'Italia, figlia dei Mille e degli eroi risorgimentali, stravolge tutti i valori ottocenteschi senza per altro sostituirli con dei nuovi.

Così gli intellettuali del decadentismo sono tutti più o meno parricidi, uniti nello sconfessare gli ideali dei padri e la società da loro fondata, incapaci di fornire nuove soluzioni esistenziali. Se analizziamo i due più importanti scrittori italiani di inizio Novecento, Svevo e Pirandello, scopriamo un vero e proprio "conflitto armato" con i loro padri. Un conflitto tanto più grave perché impossibile da risolvere.
Italo Svevo nel suo romanzo più famoso, La coscienza di Zeno, scrive queste famose righe per raccontare la morte del padre di Zeno:

Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto, come se avesse saputo ch'egli non poteva comunicargli altra forza che quella del suo peso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto!

È il famoso "schiaffo di Svevo", uno schiaffo materiale subito dal personaggio Zeno che è metafora di totale frattura tra padre e figlio. È lo schiaffo che l'Ottocento tira al Novecento figlio degenere, il simbolo di una lotta insanabile tra due generazioni che non possono comunicare tra loro né trovare un'identità comune.
Il triestino Italo Svevo, di padre tedesco, non riesce ad accettare il clima irredentista inneggiante alla guerra di "liberazione"; non vede nella ricca borghesia alla quale apparteneva (era un industriale che produceva vernici navali) una soluzione esistenziale alla sua crisi di identità. È un figlio che non si riconosce nel padre, che cerca nella nuova scienza psicanalitica risposte esistenziali e valori in cui credere: ne rimane inesorabilmente deluso! E Zeno che non riesce a smettere di fumare nonostante le sedute psicanalitiche non è altro che la metafora di una inettitudine esistenziale che coinvolge un'intera generazione.

Inettitudine, indifferenza, aridità, sono parole frequenti nelle opere letterarie di inizio Novecento.
Non è un caso che, più o meno lo stesso anno, Moravia e Montale scriveranno rispettivamente Gli indifferenti (1929) e Ossi di seppia (1925), metafora letteraria e poetica di una generazione incapace di reagire agli eventi e vittima della sua stessa arida (ma divina!) indifferenza:

      Bene non seppi, fuori del prodigio
      che schiude la divina Indifferenza:
      era la statua nella sonnolenza
      del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Il male di vivere è una sensazione tanto sconosciuta ai padri quanto impetuosa e incontrollabile nei figli. Il vuoto di valori, la mancanza di certezze e di punti di riferimento, non può far altro che creare aridità, indifferenza, inettitudine nel migliore dei casi.
Non è un caso che quella generazione non sia stata in grado di controllare gli eventi storico-politici del periodo. Anzi, a contrastare la mancanza di punti di riferimento, non c'era niente di più auspicabile che un uomo "forte" e capace di infondere certezze: si era aperta la strada all'avvento di Mussolini.

In Luigi Pirandello la frattura insanabile col padre è ancora più netta. Quando Andrea Camilleri nel 2000 volle rendere omaggio al suo illustre conterraneo con una biografia, la intitolò provocatoriamente Biografia del figlio cambiato. Secondo lui, infatti, l'evento più significativo della biografia di Pirandello sta proprio nel suo sentirsi diverso, totalmente diverso dalla sua famiglia.
Per ben due volte, con una novella nel 1902 (Il figlio cambiato) e con un testo teatrale nel 1934 (La favola del figlio cambiato), Pirandello ci racconta una credenza popolare siciliana: ci sono delle streghe che vanno in giro di notte a sostituire nelle culle i bambini belli e sani con altri deformi e malaticci.

Senza mezzi termini Andrea Camilleri ci dice che il vero figlio cambiato era Pirandello stesso, che nulla sentiva in comune con l'iroso e impulsivo padre Stefano. Infatti Stefano Pirandello, sebbene dotato di ottima cultura, aveva un carattere impulsivo e pragmatico che molto lo aiutava nel commercio. Aveva partecipato fisicamente alle battaglie siciliane di Garibaldi ed era uno dei personaggi più in vista di Girgenti. Voleva che il figlio seguisse le sue orme e non accettò mai il vero e proprio "tradimento" di Luigi quando decise di dedicarsi alla letteratura. Ecco perché Pirandello si sentirà sempre un escluso, un diverso rispetto alla sua famiglia d'origine. E in lui sarà ancora più netta la frattura tra Otto e Novecento, tra Vecchi e giovani, come scrive nel famoso romanzo del 1909. Lui stesso lo definirà: "... Il romanzo della Sicilia dopo il 1870, amarissimo e popoloso romanzo, ov'è racchiuso il dramma della mia generazione".
È l'amarezza per il Risorgimento tradito, per il crollo di tutti quei valori fondanti per la generazione dei padri che ora i figli non riconoscono più. La frattura è assolutamente insanabile, il conflitto inevitabile.

Ai giorni nostri, per molti aspetti simili all'epoca del decadentismo, in cui il "pensiero debole" ha il sopravvento su ogni ideologia e il relativismo prevale in ogni strato sociale, il rapporto padri-figli si è sensibilmente modificato. Non c'è più il contrasto d'identità visto che sia i padri che i figli sono consapevoli del crollo di ogni ideologia assoluta; c'è un problema d'incomunicabilità dovuto soprattutto al profondo gap tecnologico tra vecchie e nuove generazioni.
Negli ultimi vent'anni il velocissimo progresso delle comunicazioni ha portato la creazione di nuove forme di analfabetismo che i più anziani spesso non sono in grado di colmare. Usare internet, cellulari, navigatori satellitari, i-pod e quant'altro, ha creato un enorme divario generazionale.
Così il problema dei figli sembra proprio quello di trovare un adeguato mezzo per comunicare con i padri.

Occorre un punto di contatto, un luogo dove riuscire a parlare nella stessa lingua. Alessio Brandolini, nelle sue Poesie della terra (LietoColle, 2004), ci offre la sua soluzione proprio nel ritorno alla natura e alle sue secolari leggi. La coltivazione della terra diventa così il linguaggio comune su cui costruire un rapporto col padre:

      Limitarsi a poco, sussurri
      e io subito penso: virgole
      sì, magari ogni tanto
      qualche bel punto.
      (...)
      Non aggiungi altro
      già metti in moto
      corri a dare alle viti
      l'acqua ramata.

Anche se risulta difficile, quindi, la nostra generazione, differentemente da quella di un secolo fa, può riuscire a trovare punti d'incontro tra padri e figli. E il parricidio di inizio Novecento, sfociato in due conflitti mondiali, rimane solo un lontano ricordo letterario.


o.palamenga@tin.it