Disteso sul lettuccio, fuori dell'alone del lume a petrolio, mentre fantasticava sulla propria vita, Giovanni Drogo invece fu preso improvvisamente dal sonno. E intanto, proprio quella notte - oh, se l'avesse saputo, forse non avrebbe avuto voglia di dormire - proprio quella notte cominciava per lui l'irreparabile fuga del tempo.
Così Dino Buzzati ne Il deserto dei Tartari1 descrive l'inizio dell'adolescenza ovvero il momento in cui la "spensierata età della prima giovinezza" lascia il posto alla consapevolezza che "il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente" e " si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire".
L'essere umano diventa dunque progressivamente consapevole di se stesso e del proprio evolversi nel mondo. Molto probabilmente, è l'unico essere a possedere il concetto di identità, vale a dire quella capacità di scorgere e riconoscere la propria immagine riflessa negli ambienti in cui dispiega la sua azione.
Un'immagine non necessariamente colta attraverso uno specchio, ma in ogni luogo dove proiettare se stessi assume un significato.
Arrivi puntuale all'Università, ti fai largo tra giovani e ragazze seduti sulle scalinate, ti rigiri smarrito tra quelle austere mura che le mani degli studenti hanno istoriato di esorbitanti scritte maiuscole e di graffiti minuziosi così come i cavernicoli sentivano il bisogno di fare sulle fredde pareti delle grotte per padroneggiare l'angosciosa estraneità del minerale, familiarizzarle, rovesciarle nel proprio spazio interiore, annetterle nella fisicità del vissuto.2
Mura universitarie o grotte paleolitiche non importa: per Italo Calvino, l'essere umano è alla ricerca della propria identità attraverso i segni lasciati negli spazi che hanno bisogno di essere padroneggiati, resi familiari, rovesciati nella propria interiorità per farli diventare un unicum con i vissuti.
L' identità è un'uguaglianza completa ed assoluta o, come indica il vocabolario, "un principio logico in base al quale ogni concetto risulta essere identico a se stesso".
Come può adattarsi, dunque, tale definizione di identità ad un essere prismatico e caleidoscopico come l'uomo?
Probabilmente, essa rimanda alla sintesi filosofica degli eterni quesiti del "chi sono", "da dove vengo", "perché sono qui" e soprattutto "dove sto andando".
"Gettàti nel mondo", per utilizzare un'espressione cara a Martin Heidegger, gli esseri umani si sono dovuti attrezzare per abitare il pianeta Terra nel modo più conveniente possibile, tenuto conto soprattutto dell'indifferenza e dell'ostilità di questo ultimo nei loro confronti.
Tuttavia, l'uomo, proprio grazie alle sue capacità tecniche, si è emancipato dalle difficoltà di adattamento ed integrazione nel mondo ed ha potuto costruirsi la propria identità diventando prima un essere umano e poi un essere culturale.
Il processo di costruzione dell'identità, che sostanzialmente è un processo di costruzione di significati, è sempre in corso d'opera e comprende non soltanto il senso dell'identità individuale ma anche quella dei diversi sistemi sociali in cui l'uomo è inserito.
Abbiamo scoperto nel tempo che il senso del nostro Sé non è né definitivo, né tanto meno statico o fisso. Per l'essere umano, l'identità non consiste in una condizione di assoluta coincidenza con se stessi, immobile o definita una volta per tutte.
Essa consiste piuttosto nella consapevolezza del suo essere mutevole, instabile, incompiuto, sempre alla ricerca di certezze alle quali ancorarsi.
Nel mio libro La Psicologia del Cambiamento3, ho citato Ernst Mach a proposito del suo concetto di "Io insalvabile". Il filosofo e fisico austriaco parla di un Io che, scorrendo nel tempo come in un'acqua fluviale, non riesce ad ancorarsi a una tenace identità con se stesso e, per questo motivo, si dissolve in un inafferrabile - ed anche indescrivibile - fluire esistenziale.
Possiamo ritrovare la sottile percezione di questa inarrestabile fluidità della vita e della percezione di se stessi in espressioni filosofiche e poetiche come: "Tutto scorre", "Nulla è definitivo", "La vita fugge e non s'arresta un'ora" (Petrarca), "Vivere è un bersi senza sete" (Jean Paul Sartre), "Naufragar m'è dolce in questo mare" (Leopardi).
Forse proprio tale caratteristica fluttuante dell'Io è alla radice di alcune "incomplete percezioni di identità", nelle quali le persone stentano o non riescono a riconoscere tratti stabili della propria personalità e/o sviluppare un duraturo senso di appartenenza a contesti sociali durante il corso della loro vita.
Quante volte, ad esempio, può capitarci di ascoltare frasi del tipo: "Non ti/mi riconosco più!", "Non è più come una volta", "Quelli sì che erano bei tempi", "Che fine faremo?", "Oggi è tutto cambiato", "Non so di che morte dovrò morire", "Quando esco di casa mi metto una maschera".
Esiste sempre uno scarto tra Sé reale - come mi vedo - Sé Ideale - come vorrei vedermi - e Sé sociale - come vorrei che gli altri mi vedessero. L'identità si configura pertanto come uno stato percettivo fluido in cui la conflittualità può trovare terreno fertile, dal momento che tale percezione di me stesso è legata al successo o all'insuccesso della mia azione nel mondo, al riconoscimento o al mancato riconoscimento degli altri, alle condizioni storiche o sociali che facilitano od ostacolano l'autenticità espressiva dell'identità stessa.
"La via che percorriamo nel tempo è cosparsa dei frammenti di tutto ciò che cominciamo ad essere, di tutto ciò che avremmo potuto diventare".4 Henry Bergson si è dimenticato di scrivere anche "di tutto ciò che ci hanno impedito di diventare".
Condizionamenti dis-educativi, conformismi sociali, imposizioni religiose influiscono pesantemente sul processo di costruzione di un'identità emancipata, autonoma nel giudizio e brillante di luce propria.
"Cambiare rimanendo se stessi" rappresenta l'obiettivo della crescita personale intesa come maturazione consapevole di se stessi, fondata sul valorizzare il nucleo invariante e riconosciuto della propria individualità.
In altre parole, mentre tutto intorno a me si trasforma, compreso me stesso, l'autocoscienza stabile del mie modalità di essere nel mondo, delle mie stesse capacità trasformative e creative, delle mie potenze interiori da esprimere mi dà il "senso di identità personale" alla base del concetto di persona che ha valore in quanto tale.
Le due costanti ontogenetiche e filogenetiche degli esseri umani sono il rapporto tra Essere ed Apparire e tra Essere e Divenire.
L'Io è un pendolo che batte il tempo della vita oscillando tra queste due nostre peculiari caratteristiche.
Per questo motivo, possiamo dire con Nietzsche che "L'uomo è l'animale non ancora stabilizzato".5
Tuttavia, l'uomo non è un animale.
Piuttosto, è un essere semplicemente diverso, né inferiore, né superiore all'animale. Possiamo scorgere differenze e somiglianze con il mondo animale ma l'identità umana è unica nel suo genere, per complessità e per mistero ontologici.
Probabilmente, è proprio il fascino di tale enigma a rendere la discesa del fiume della vita ancora più emozionante.
In ogni caso, di fronte al mistero, l'uomo non si è mai fermato al semplice stupore ma ha avuto anche il coraggio di affrontare l'ignoto, di oltrepassare le Colonne d'Ercole dei suoi dubbi e delle sue incertezze producendo scienza e cultura.
Ecco pertanto che il cambiamento diventa la principale rivelazione del nostro personale modo di essere nel mondo e di relazionarci con esso. Il cambiamento non è un'entità esterna, così come l'identità non è un'entità interna, ma entrambi rappresentano la permeabilità possibile tra diversi stati della mente, tra varie visioni del mondo, tra diversi punti di vista, tra le molte azioni possibili, tra i molteplici modi di esprimere e di vivere la propria umanità.
Trovo molto suggestive le parole di Ludwig Wittgenstein (a destra), scritte in un'annotazione privata nel 1931:
L'inesprimibile (ciò che mi appare pieno di mistero e che non sono in grado di esprimere) costituisce lo sfondo sul quale ciò che ho potuto esprimere acquista significato.
Il mistero dunque come schermo privilegiato sul quale proiettare i diversi significati che andiamo progressivamente scoprendo nel viaggio della nostra vita. Significati che a volte possono essere mutevoli per il fatto che "non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume", come ci ricorda Eraclito, ma anche perenni: la formula chimica dell'acqua è e sarà sempre H2O. L'identità può anche permettersi di mutare rimanendo se stessa.