FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 9
gennaio/marzo 2008

Luoghi narrati

IL POETA HRAND NAZARIANTZ E IL
VILLAGGIO ARMENO NOR ARAX

di Magda Vigilante



La personalità e l'opera del poeta armeno di cittadinanza italiana Hrand Nazariantz sono conosciute solamente dalle comunità armene, dagli studiosi pugliesi

Domenico Cantore
ritratto di Hrand Nazariantz
e da alcuni amici che lo frequentarono negli ultimi anni, durante la sua lunga permanenza a Bari, dove si era rifugiato nel 1913, dopo essere stato condannato a morte in contumacia da un tribunale ottomano.
La sua vicenda esistenziale e la sua opera poetica meritano, invece, di essere ricordate come testimonianza degli intensi contatti che si stabilirono tra la cultura armena e quella italiana nel corso del Novecento, agli inizi del quale il popolo armeno aveva subito violenze e tremendi eccidi per opera dei turchi. Nazariantz, però, non si limitò solo a far conoscere culturalmente il suo popolo, ma divenne anche il difensore della causa armena in Europa e il fondatore, nel 1924, del villaggio di Nor Arax, sorto nei dintorni di Bari, nel quale trovarono asilo un centinaio di profughi armeni.

Hrand Nazariantz era nato a Iskudar (Istanbul) l'8 gennaio 1886 da Diran, patriota, letterato e linguista e da Aznive Merhamedtian. Il padre era proprietario di una fra le più grandi industrie in Turchia per la lavorazione dei tappeti e dei merletti, attività che aveva procurato alla famiglia una notevole agiatezza. Dopo aver frequentato il collegio Bérbérian nella capitale turca, il giovane Nazariantz si recò prima a Londra per completare gli studi superiori e, nel 1905, a Parigi dove s'iscrisse alla Sorbona ed entrò in contatto con il Movimento nazionale armeno, che nella capitale francese aveva un notevole centro di diffusione nel mondo.
A causa della malattia del padre, fu costretto a tornare in Turchia, nel 1907, per dirigere l'industria di famiglia. Rientrato in patria, Nazariantz si dedicò anche ad un'intensa attività pubblicistica e letteraria. Nel 1908 collaborò alla fondazione e alla direzione del quotidiano "Surhatang" ("Corriere"), mentre l'anno successivo diede vita al settimanale politico letterario "Nor Hossank" ("Nuova Corrente"), in collaborazione con Karekin Gozikian, uno dei principali esponenti del partito socialdemocratico armeno, e fondò con il romanziere Rupen Zartarian e il drammaturgo Leon Serponian la rivista d'arte e di polemica "Baguine" ("Tempio").
Dal 1911 collaborò attivamente anche a riviste italiane e francesi e iniziò un'intensa corrispondenza con gli autori italiani Gian Pietro Lucini e Libero Altomare.
S'impegnò inoltre a far conoscere ai propri connazionali con saggi e traduzioni in armeno le opere di celebri autori inglesi, francesi ed italiani quali Shakespeare, Lord Byron, Shelley, Lamartine, Hugo, Verlaine, Baudelaire, Dante, Tasso, Leopardi, Carducci, Pascoli.

Nel 1912 pubblicò un'importante inchiesta sul futurismo, F.T.Marinetti e il Futurismo (Istanbul, edizioni Der Nesesian ) al fine di divulgare presso il pubblico armeno le nuove tendenze della letteratura straniera. Nello stesso anno, a Istanbul, uscirono una serie di raccolte poetiche dove Nazariantz si rivelava come uno dei massimi rappresentanti del movimento simbolista nella poesia armena: I sogni crocefissi, Le solitudini stellate e il poema Vahakan.
A tali opere seguirono, nel 1913, il poema Aurora, anima di bellezza, i volumi lirici Gloria victis, La Corona di spine e il poema Il grande cantico della cosmica tragedia dove l'iniziale adesione del poeta al simbolismo si sviluppa verso l'elaborazione di una poesia cosmica che comporti una rinascita idealistica dell'uomo in sintonia con l'incessante divenire dell'unverso.

Nello stesso tempo, egli promosse con articoli su giornali italiani e francesi una campagna a favore del suo popolo, soggetto alla dominazione turca. Questa attività richiamò su Nazariantz l'attenzione della polizia turca e successivamente la condanna a morte per sfuggire alla quale Nazariantz si rifugiò presso il consolato italiano dove sposò la ballerina di Casamassima (Bari), Maddalena De Cosmis, con la quale si trasferì in Italia a Bari. Senza dubbio il luogo natale della moglie indusse Nazariantz a stabilirsi nel capoluogo della regione, ma sulla sua scelta influì probabilmente anche la considerazione che Bari, nel corso dei secoli, ha rappresentato la cerniera tra Occidente e Oriente, e inoltre, in epoca bizantina, la città ospitava una società multietnica e multiculturale dove era presente anche una comunità armena.

Il poeta fu accolto con la massima cordialità e fraternità dagli intellettuali baresi che, per iniziativa del Circolo filologico cittadino, costituirono un Comitato pro Armenia tra le cui attività ci furono conferenze e manifestazioni a favore del popolo armeno. In quest'opera di propaganda, Nazariantz si prodigò con articoli e discorsi appassionati che furono seguiti con grande partecipazione di pubblico. All'appello divulgato dal poeta per il suo infelice popolo aderirono numerosi intellettuali italiani tra cui Gian Pietro Lucini, Giovanni Verga, Paolo Orano, Salvatore Di Giacomo, Umberto Zanotti Bianco, Angelo Silvio Novaro, Carlo Linati e tanti altri.
In concomitanza con queste iniziative, la casa editrice Laterza di Bari, nel 1915, pubblicò il saggio di Nazariantz Bedrios Turian, poeta armeno, dalla sua vita e dalle sue pagine migliori con un cenno sull'arte armena, primo volume della collana "Conoscenza ideale dell'Armenia", mentre nello stesso anno la casa editrice Battiato di Catania dava alle stampe il volume del poeta Armenia il suo martirio e le sue rivendicazioni.

A partire dal 1916 la casa editrice Humanitas di Bari iniziò la pubblicazione delle principali opere poetiche di Nazariantz tradotte in italiano da Enrico Cardile: I sogni crocefissi (1916), Vahakan (1920), Lo Specchio (1920). A Bari Nazariantz era diventato amico di Franco Casavola del quale promosse la produzione musicale. Insieme al Casavola e con l'aiuto di Giuseppe Laterza, Giacomo Favia ,Tina Suglia e altri, organizzò la serata futurista svoltasi il 26 settembre 1922 al teatro Piccinni della città. Pochi mesi dopo, il 2 gennaio 1923, il programma della serata futurista al teatro Margherita di Bari presentava anche l'azione mimico-drammatica Lo Specchio con musiche di Casavola, ispirata al poema di Nazariantz.
Nel 1924 uscì per i tipi della casa editrice Alpes di Milano, a cura e con traduzione di Cesare Giardini, la raccolta Tre poemi che comprendeva le opere Il paradiso delle ombre, Anima, aurora di bellezza e Nazyade, fiore del deserto.

Proprio in quel periodo si offrì al poeta l'occasione di compiere un'azione concreta in aiuto del suo popolo. Infatti a gennaio e a giugno del 1924, arrivarono a Bari numerosi armeni provenienti dai campi profughi greci di Atene e di Salonicco, dove avevano trovato rifugio due anni prima, dopo essere sfuggiti alle stragi di Smirne. Ad organizzare l'accoglienza per oltre un centinaio di profughi si adoperarono Nazariantz e il letterato Yenovk Armen che in quegli anni viveva a Bari. In precedenza, Armen si era recato in Grecia per offrire ai rifugiati armeni la possibilità di trasferirsi a Bari.
Successivamente, dopo lo sbarco dei profughi, grazie all'opera di sensibilizzazione svolta da Nazariantz, si creò la disponibilità da parte del governo italiano e di alcuni privati, fra cui l'ingegnere Lorenzo Valerio ed il suo amico Scipione Scorcia, di costituire la Società italo-armena dei tappeti orientali. Valerio infatti era proprietario di un lanificio al quale era annessa la fabbrica di tappeti. I profughi armeni costruirono subito un baraccamento lungo il cortile della fabbrica dove si ammassarono in condizioni molto precarie1.

A questo punto Nazariantz, che contava ormai numerose amicizie nel mondo culturale italiano, riuscì a interessare alla difficile situazione dei suoi connazionali il conte Umberto Zanotti Bianco (1889-1963), insigne studioso ed esponente politico di spicco nella vita politica italiana nei primi decenni del Novecento, il quale diventerà uno dei più strenui difensori della causa armena in Italia. Il poeta lo condusse con sé a visitare il villaggio dei profughi armeni e Zanotti Bianco ne ricavò una così grande impressione che scrisse diffusamente della sua visita nel saggio intitolato Profughi armeni, inserito successivamente nel volume Tra la perduta gente2. L'autore con parole commosse descrive lo stato miserevole del villaggio:

[...] Più di cento profughi armeni ammassati in questo provvisorio senza fine! Il loro protettore, il loro poeta Hrand Nazariantz, che mi accompagna, mi mostra nei piccoli vani nudi, i nudi assiti che servono loro da letti. Da sei mesi che sono qua, non un cuscino, non un materasso ancora: e lavorano dall'alba al tramonto3!

In seguito si sofferma a narrare la triste vicenda di Santouth, emblematica del destino di tante donne armene, scampate ai massacri ma ridotte in prigionia dai turchi e vittime di atroci soprusi. Zanotti Bianco s'interessò attivamente alla sorte del villaggio, ottenendo dal governo italiano - grazie anche all'appoggio dell'onorevole Luigi Luzzatti - l'assegnazione di sei padiglioni Docker (ceduti all'Italia dalla Germania dopo la prima guerra mondiale) dove i profughi poterono insediarsi.
Il 10 marzo 1925 per iniziativa della principessa Santa Borghese Hercolani, di Umberto Zanotti Bianco e di Luigi Luzzatti, fu organizzata a Roma, al Lyceum romano, una mostra di tappeti tessuti dagli esuli armeni che ebbe un grande successo.
Nel 1926, ai primi padiglioni se ne aggiunsero altri sei, che furono collocati su un terreno acquistato con i proventi dell'Associazione nazionale

Villaggio armeno di Nor Arax
per gli interessi del Mezzogiorno di cui Zanotti Bianco era stato uno dei fondatori. Ormai il villaggio aveva raggiunto il suo assetto definitivo e fu chiamato Nor Arax dal nome del fiume Araxes che scorre tra Armenia, Turchia e Iran.

In un discorso di Nazariantz, riportato nel volume di Pasquale Sorrenti4, il poeta ringrazia con un linguaggio ricco di immagini poetiche e d'enfasi il popolo italiano, in particolare i cittadini di Bari, che non solo hanno accolto «i senzapatria», ma hanno anche procurato loro un villaggio dove ricostituire un piccolo lembo di Armenia. In contraccambio, dirà il poeta, gli armeni hanno portato:

[...] l'arte che, per le fragili dita delle donne industri, popola di fiorami fantastici e di esseri soprannaturali e di stelle luminose i morbidi [...] tessuti destinati all'intimo godimento delle vostre case.

Nazariantz si era rivelato non solo un poeta e un intellettuale, ma anche un organizzatore, un capo spirituale per il suo popolo e un convinto assertore della fraternità umana che può stabilirsi tra popoli diversi.

A tale ideale s'ispirò la rivista mensile d'arte e pensiero "Graal" che il poeta fondò nel 1946 con il programma di stabilire un fraterno convito degli spiriti liberi di tutto il mondo sotto il segno della poesia. Intanto, nello stesso anno, presso la casa editrice Gioconda di Bari uscì finalmente l'edizione italiana del poema Il grande canto della cosmica tragedia, tradotto da Enrico Cardile, che può essere considerato il capolavoro del poeta armeno. "Graal", invece, nonostante fosse riuscita ad ottenere la collaborazione di numerosi autori italiani e stranieri, dopo alterne vicende, terminò la pubblicazione nel 1950. L'anno successivo, l'instancabile Nazariantz diede vita al movimento graalico, filiazione della rivista, che si proponeva di subordinare «la vita materiale alle supreme esigenze dell'Arte», richiamandosi al vero concetto di poesia, la quale deve essere intesa non solo come forma d'arte, ma specialmente «come concezione di vita». Il movimento, però, pur avendo ottenuto molte adesioni (tra le quali quelle di Elpidio Jenco, Giuseppe Villaroel, Lionello Fiumi, Liliana Scalero, Charles Plisnier e di altri) non riuscì mai ad affermarsi.

Intanto diventava sempre più penosa la decadenza dell'uomo, che aveva perseguito in tutta la sua vita tanti nobili ideali sia nell'arte, sia nell'opera di sensibilizzazione del mondo culturale italiano verso il suo sventurato popolo, e ora era costretto a vivere in condizioni di estrema povertà. Per risolvere questa triste situazione, nel 1953, fu proposta la sua candidatura al premio Nobel, ma nessuno era realmente interessato alla sua elezione che, inoltre, avrebbe potuto procurare al governo italiano problemi diplomatici con il governo turco e con quello russo a causa dell'origine armena di Nazariantz.
Dopo la pubblicazione del suo ultimo libro, Il ritorno dei poeti e altre poesie5, Nazariantz aveva tentato invano di riprendere la sua attività giornalistica, con la rinascita della rivista "Graal", nel 1957, grazie all'appoggio di un comitato di cui facevano parte Giuseppe Lucatuorto (che in seguito dirigerà la rivista da solo per circa dieci anni) Gaetano Savelli, Giorgio Potito ed altri. A causa di disaccordi, Nazariantz uscì dal comitato e, l'anno successivo, fondò con Giorgio Potito la nuova rivista "Graalismo" che ebbe però breve durata.

Alcuni anni più tardi, nel 1962, si concluse la vicenda terrena del poeta armeno,

Bari, via Amendola
ingresso attuale del villaggio
ormai sopravvissuto a se stesso al punto che conduceva la sua esistenza, secondo la testimonianza dello scrittore barese Vito Maurogiovanni, «sempre povero e ospite di amici ora in questa ora in quell'altra casa, addirittura in famiglie della provincia di Bari [...]6».
Dopo la sua morte, le spoglie di Nazariantz non furono gettate nella fossa comune, ma furono accolte nella cappella di famiglia dell'armeno Diran Timurian, uno del villaggio di Nor Arax alla cui fondazione tanto aveva contribuito il poeta7.

Nel corso degli anni, il villaggio degli esuli armeni si andò a poco a poco spopolando fino a scomparire. Ancora oggi, però, in via Amendola presso l'Istituto delle suore clarisse francescane, sulle colonne del cancello è visibile, a destra, in caratteri latini, la scritta "Nor Arax", ripresa sulla colonna a sinistra in caratteri dell'alfabeto armeno. È anche riportata la data dell'inaugurazione "1926". Ai lati del viale si riescono ancora a scorgere, tra la folta vegetazione, quattro delle costruzioni dove più di ottanta anni fa avevano trovato ospitalità gli esuli armeni8.



1Cfr. Vito Ricci, Il legame millenario tra la Puglia e gli armeni, seconda parte, pubblicato sul sito www.modugno.it il 26 gennaio 2007.

2Milano, Mondadori, 1956.

3Pasquale Sorrenti, Hrand Nazariantz, Bari, Levante editori, 1987, p. 103.

4Pasquale Sorrenti, op.cit., pp.113-4.

5Firenze, Kursaal, 1952.

6Cfr. Vito Maurogiovanni, Gli Armeni. Piccola storia degli Armeni a Bari nel sito www.vitomaurogiovanni.it.

7Ibidem

8Cfr. Vito Ricci, op.cit.


Una ricca documentazione fotografica sul villaggio di Nor Arax e il suo fondatore è nell'archivio dell'associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia (A.N.I.M.I.), nelle pagine dedicate al "problema armeno".

 

magdavigi@alice.it