Altre terre... ma ogni cosa che ci circonda è altro, quando esistere si risolve nell'heideggeriano ek-sistere, nell'esser-fuori dall'ordine ciclico della natura e dei suoi elementi.
Dov'è la nostra terra, se viviamo ogni giorno di più in modo inautentico, se la gente non si identifica con i luoghi del proprio vissuto, che diventano sempre più uguali e anonimi?
Altre terre... dove si appuntano i nostri sogni, i nostri desideri, nutriti di fantasie nate da ciò che altri ci riportano, da quel che è passato attraverso lenti interiori diverse dalle nostre. Ma già Proust ci metteva in guardia sul potere evocativo dei luoghi desiderati, su quell'intensità dell'immaginazione che prepara la strada alla delusione dei futuri viaggi reali.
Altre terre... l'eterna speranza di muovere le immagini che tranquillizzano, i paesaggi che spesso ci opprimono. Un tempo il viaggio per altre terre significava avventura, pericolo, conoscenza; viaggi che rappresentavano riti di passaggio, che intridevano l'animo di inusuale, di esotico, di metafisico. Ma oggi, più ci muoviamo, meno ci muoviamo: quanto più le altre terre diventano interconnesse, e perciò patrimonio di tutti, tanto più ci diventa difficile apprezzarle e goderne. Che cosa possiamo scoprire quando l'esplorazione e la conquista perdono forza sin da quando le concepiamo, quando il segreto si dissolve nel risaputo e la specificità si livella nella medietà?
In un mondo che ci si offre di continuo, di cui siamo diventati semplici consumatori, le nostre e le altre terre quasi non si distinguono più; ma soprattutto, poiché entrambe rimangono fuori di noi, non assumono la rilevanza ontologica di quelli che chiamavamo i luoghi dell'anima.
Eppure, le altre terre continuano a cambiarci. Non siamo ancora arrivati a dover preferire loro l'elemento virtuale. Le altre terre restano feconde quando il nostro io non ha stabilito come devono essere, e alle novità che offrono rispondiamo esponendoci apertamente alla comprensione.
In Un altro giro di giostra, la straordinaria testimonianza del viaggio fisico e spirituale alla ricerca di una cura per il cancro che lo ha aggredito, Tiziano Terzani sottolinea più volte che se vogliamo aprirci alla comprensione del mondo ciò di cui abbiamo bisogno non è il cambiamento di luogo, ma di coscienza.
Gli ultimi decenni del Novecento sono ancora ricchi di esperienze di uomini in cammino, viandanti (e non semplici viaggiatori) alla ricerca del senso, dell'immagine-matrice, dell'altro. I viaggi di Patrick Leigh Fermor in una Grecia dove il sinonimo straniero-ospite aveva ancora un significato, quelli di Bruce Chatwin nella perenne irrequietezza dell'animo umano, di Claudio Magris nella cultura vecchia e nuova dell'Europa danubiana, sono lì a ricordarci che è il viaggio interiore a contare, la capacità di dare un senso al contatto col nuovo, di deporre il fardello dell'ovvietà per tentare di risalire alle sorgenti del nostro essere.
Altrimenti, la sproporzione fra le terre altrui e il nostro microcosmo si risolve nell'impossibilità di interiorizzarle, ed esse restano per sempre straniere alla nostra anima. Accanto ai percorsi in altre terre che hanno significato la conquista di nuovi approdi spirituali, esistono quelli che si sono arenati nella realtà dell'uomo desituato di cui parla il filosofo Karl Jaspers.
Uno di questi itinerari, stranamente trascurato dalla storia, costituisce l'esperienza umana più gravida di conseguenze per chi vive nel nostro tempo; è il viaggio-non viaggio che effettuò alla metà del secolo appena trascorso un intellettuale egiziano, Sayyid Qutb, colui che va considerato il padre intellettuale del terrorismo islamico moderno.
Nato nel 1906 in un piccolo villaggio dell'Alto Egitto, Qutb fu educato in modo devotissimo all'Islam, tanto che a dieci anni era in grado di recitare il Corano a memoria. Per mettere a frutto la sua grande intelligenza, fu mandato presso uno zio al Cairo, dove acquisì un notevole bagaglio culturale e iniziò una feconda attività letteraria e giornalistica, che gli valse una grande reputazione nel mondo intellettuale egiziano. Ottenuto l'incarico di ispettore presso il Ministero dell'Interno, Qutb elaborò numerosi progetti di riforma scolastica, quasi sempre incompresi, e perciò bocciati, dai suoi superiori.
Nel 1948 ottenne una sovvenzione per studiare il sistema scolastico americano; questo evento, apparentemente marginale, e ormai lontano nel tempo, rappresenta uno dei punti nodali dell'attuale guerra islamista contro l'America. Nel corso dei ventuno mesi trascorsi negli Stati Uniti, Qutb maturò un'invincibile ostilità morale e culturale contro la Nazione più potente della terra.
"Nessuno va in chiesa quanto gli Americani", scrisse, "eppure nessuno è altrettanto distante dagli aspetti spirituali della religione".
Il materialismo della società americana, l'attenzione per "i soldi, le star del cinema e i modelli delle automobili", la sensualità della vita quotidiana, confermarono Qutb nella convinzione che il mondo precipitasse sempre di più nella jahiliyya (l'ignoranza in cui versava il genere umano prima della rivelazione di Maometto), e che, per rimuovere gli ostacoli che impediscono l'instaurazione dell'autorità divina, il jihad spirituale (puramente difensivo) non fosse più sufficiente: solo il jihad della spada, teorizzò il pensatore egiziano, era in grado di restaurare la divina shari'a nelle faccende umane.
Il viaggio in altre terre di Qutb, visto attraverso il prisma di una mente legata a una particolare visione del mondo, rappresenta l'affermazione del DNA culturale sulla mondanizzazione dell'anima, la prova che si può disabitare il mondo che ci ospita, perché incomprensibile, ostile, per sempre estraneo.
Mentre per Terzani l'altra terra è la coscienza, la conoscenza del sé, per Qutb è l'esperienza di sé attraverso quella dell'altro.
Forse, se le altre terre hanno sempre affascinato i pensatori di ogni epoca, è proprio in virtù dell'infinita varietà di risposte che sono in grado di generare negli uomini; tutti i grandi filosofi dell'antichità, con l'eccezione di Socrate, furono grandi viaggiatori.
Viaggi, incontri, esperienze, ciascuna delle quali può significare l'apertura a qualcosa di estraneo. Viaggiare e interrogarsi, interrogarsi e rispondere, e perciò crescere, fino al punto di vedere illuminata la propria coscienza.
Altre terre, altri mondi nei quali specchiarsi, confrontarsi, mettere in discussione tutto ciò che accettiamo per mera abitudine. Ma in fondo, ogni tensione umana è diretta verso un infinito che ci è vicinissimo, l'orizzonte che pensiamo di toccare ogni giorno e che ci sfugge sempre: il nostro io.
È il nostro io l'entità che vorremmo avere dinanzi agli occhi prima che sia troppo tardi, la risposta a quella che per tutti noi rimane la domanda-matrice: chi siamo?
L'altra terra, il vero cuore del mondo, è il nostro cuore sconosciuto.
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