FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 7
luglio/settembre 2007

Altre terre

TERRE D'ESILIO
Sulla poesia di Pedro Shimose

di Alessio Brandolini


Pedro Shimose è nato in Bolivia nel 1940, a Riberalta, nella parte amazzonica del tormentato paese sudamericano. Figlio di emigranti giapponesi arrivati in Bolivia attraverso il Perù. Si trasferisce a La Paz per proseguire gli studi letterari all'università per poi, grazie a una borsa di studio, laurearsi a Madrid. Tornato a vivere a La Paz si dedica al giornalismo e all'insegnamento universitario ma nel 1971, a seguito del colpo di stato del colonnello Banzer, è costretto a lasciare il paese per stabilirsi di nuovo a Madrid, dove tutt'ora vive, ma conservando in modo tenace i legami con la propria terra d'origine.
L'esordio in poesia di Shimose avvenne a poco più di vent'anni, nel 1961, con Triludio en el exilio. Dopo un decennio, nel 1972, la sua quarta raccolta poetica Quiero escribir, pero me sale espuma (che verrà pubblicato entro il prossimo anno dalla casa editrice veneziana Sinopia) ne decreta il successo, per via anche del prestigioso Premio "Casa de las Américas", e Pedro Shimose comincia a essere conosciuto e tradotto anche all'estero.

Il tema delle terre distanti e quello dell'esilio sono, nel loro intrecciarsi, il filo conduttore della vasta opera poetica del poeta boliviano, una specie d'assillo che porta Shimose a legarsi esplicitamente nelle sue raccolte poetiche a poeti e scrittori che hanno vissuto e sofferto esperienze simili alla sua.
"Quiero escribir, pero me sale espuma" è, infatti, un verso di una famosa poesia di César Vallejo ("Intensidad y altura",(*) in Poemas humanos), anche lui esule in Europa (Francia e Spagna). La vita di Vallejo - senza alcun dubbio uno dei più grandi poeti del XX secolo (nato in un villaggio andino del Perù nel 1892) - fu segnata duramente dalle avversità: povero, meticcio e marxista fugge dal suo paese nel 1923 per raggiungere l'Europa, dove rimase fino alla morte avvenuta a Parigi nel 1938. E in Europa scrisse il suo capolavoro, i Poemi umani pubblicato postumo nel 1939.

In Quiero escribir, pero me sale espuma Shimose si collega alla poesia di Vallejo non solo nel titolo, ma nella stessa identità di poeta ispanoamericano esiliato in Europa e nella passione sociale che anima la sua scrittura. Altri accostamenti si possono fare tra i due poeti: lo sguardo sulle cose dal basso, per esempio, umile eppure orgoglioso delle proprie convinzioni politiche; l'asciuttezza dei versi; il tono antiretorico; le continue, assillanti domande; la ricerca dell'altro nella solitudine; il viaggio, il naufragio, la strada:

    Perché suoni il tamburo, ragazzo?
    Perché spezzi il germoglio della sera?
    Sulla strada cammina la tua solitudine,
    si nasconde nel silenzio.

    (Shimose, Querio escribir...)

E ancora:

    Dov'è la tua libertà?
    Sono forse tue queste montagne?
    Perché quest'esilio, il mare e le distanze?

    (Shimose, Querio escribir...)

Quando nel 1980 arrivarono le Riflessioni machiavelliche, pubblicato in Italia nel 2004 da Sinopia, Shimose è nella piena maturità poetica, avendo già pubblicato sei raccolte, e dopo quasi un decennio d'esilio. Pur nel dolore che ovviamente permane, c'è stato un assorbimento del colpo, e si passa a una meditata "riflessione". Il libro allora è alimentato e sostenuto dalla cultura classica e rinascimentale dell'autore, si ragiona in modo lucido sulla politica, sugli uomini, sulla morte e, ancora, sull'esilio. Lo sguardo ora è più terso, quasi filosofico. Non a caso questa volta il collegamento con lo scrittore del passato avviene con Machiavelli, e si fa più diretto ed esplicito che in Quiero escribir, pero me sale espuma. Un dialogo serrato tra il pensatore fiorentino allontanato da Firenze e l'autore, che a volte gli cede la parola, lo lascia riflettere liberamente.

In Riflessioni machiavelliche tutto è centrato sul personaggio di Niccolò Machiavelli, (ma si citano molti altri pensatori, tra i quali, per esempio, Gramsci e Leonardo da Vinci), rivelato nei suoi aspetti più umani, nella sofferenza dell'esilio, eppure sempre lucido e profondo, anche quando descrive le fasi più semplici e umili della sua vita quotidiana:

    Di buon mattino
    s'alza,
    esce a caccia di beccafichi,
                                         vagola per il bosco,
    osserva il lavoro de' legnaiuoli,
    si siede presso le fonti
    e legge i poeti
                    che gli parlano
    di amori ed esilii.

Di questi versi sorprende la lucidità e l'ironia che stempera il dolore, la riflessione amara e pessimistica che sa mutarsi in saggezza, in quel flusso discreto d'umorismo che come un corso d'acqua limpido (Shimose è cresciuto in mezzo a due fiumi) attraversa e salda queste poesie intense, le purifica d'ogni eccesso, d'ogni scoria. Per questo le poesie di Pedro Shimose calano giù come fendenti di scimitarra, esatti, pieni di uomini e vicende, forti e civili:

    Ma la gloria a cui aspiro
    non è l'elogio del critico che non stimo,
    né l'alloro né l'accademia né i premi.

Poesia di meditazione sulla cultura, la bellezza, la Storia, il significato dell'esistenza e il bruciore dell'esilio, che non rifugge dai toni ironici ("La bontà / muove la lingua / di quanti mi calunniano"; "Se mi domandano quale posto preferisco, / dirò che preferisco parlare di politica / che vivere in Paradiso come un fesso") e malinconici in cui si avverte il senso di solitudine di chi, come Shimose, ha vissuto sulla propria pelle la persecuzione politica e lo sradicamento dalla madrepatria, dalla propria terra, ma allo stesso tempo anche il sogno, l'utopia di una società migliore - non a caso l'affinità con Machiavelli, non a caso il Rinascimento italiano, le citazioni di Leonardo da Vinci e, soprattutto, il richiamo ad Antonio Gramsci.

Si parlava di solitudine, sì, ma quella di Shimose è una solitudine stoica e fertile, spesso ironica e sottilmente autoironica, in cui resistono la fiducia e l'ammirazione per l'uomo che ascolta, osserva e medita sul mondo e sulla vita, sul passato e sul presente, e che si apre ai giorni che verranno:

    Parlare col silenzio. Vedere
    il sole che arde nella memoria
    del futuro.

Per questo nei testi delle Riflessioni machiavelliche spesso ci imbattiamo in versi gioiosi e in attimi di felice abbandono, dove i colori forti e caldi dell'Amazzonia abbracciano le linee perfette dell'architettura di Firenze, fondendosi con il pensiero razionale, eppure così umano, di Machiavelli:

    Adesso voglio contemplare il fiume.
    Adesso voglio solo congedarmi e rammentare
    l'amicizia delle palme.
    Adesso, per favore, lasciatemi sorseggiare in pace
    il buon mate di coca.

La poesia di Pedro Shimose è più che mai attuale, quindi, visto i tempi d'instabilità e vaghezze culturali, di guerre preventive e terrore, di sradicamenti dalla propria terra, di frammentaria globalizzazione. E voglio chiudere riportando gli ultimi versi d'una poesia di Quiero escribir, pero me sale espuma che fa parte della silloge qui sotto proposta (e per l'occasione appositamente tradotta) da Nicola Licciardello. Versi che racchiudono in poche parole la bellezza e la tempra della poetica di Pedro Shimose:

    Nell'esilio, lontano dalla patria
    la forza della nostra attesa.



(*)
Quiero escribir, pero me sale espuma
quiero decir muchísimo y me atollo;
no hay cifra hablada que no sea suma,
no hay pirámide escrita, sin cogollo.
Voglio scrivere e mi esce solo schiuma
voglio dire moltissimo e mi blocco;
non c'è numero che non sia una somma,
non c'è piramide senza un germoglio.

(mia traduzione)




POESIE DI PEDRO SHIMOSE

da Riflessioni machiavelliche
(1980 - Sinopia, Venezia 2004
traduzione di Claudio Cinti)


VOTO DE SILENCIO

        Pero, si pudiera conversar con vos, no haría otra cosa que llenaros la cabeza de castillos en el aire, ya que la fortuna ha querido que, no sabiendo razonar del arte de la seda, ni del arte de la lana, ni de las ganancias y pérididas en loso negocios, sólo puedo hacerlo sobre cuestion políticas y debo o hacer voto de silencio o tratar de la cosas del Estado.

        MAQUIAVELO, Carta a Francesco Vettori, 9/4/1513

Tanto tiempo sin saber qué hacer
con este sueño pobre
teñido de sobresaltos.

Haber visto un cielo desplomado
entre flores y pájaros
y un bosque en llams
al pie de la montaña.

Mucho he sentido estar aquí,
sentado,
contemplando a un hombre
que lee por las noches
y por el día
redacta informes burocáticos
dándoselas de leído.

Para qué venirme adonde no me acuerdo,
donde soy una ausencia que no recuerda nada,
ni su voz siquiera,
ni su proprio rostro en la piedra donde
non mirábamos.


STARE CHETO

        Pure, se io vi potessi parlare, non potre' fare che io non vi empiessi il capo di castellucci, perché la Fortuna ha fatto che, non sapendo ragionare né dell'arte della seta et dell'arte della lana, né de' guadagni né delle perdite, e' mi conviene ragionare dello stato, et mi bisogna o botarmi di stare cheto, o ragionare di questo.

        MACHIAVELLI, Lettera a Francesco Vettori, 9/4/1513

Tanto tempo senza saper che cosa fare
di questo sogno povero
tinto di soprassalti.

Aver visto un cielo stramazzato
tra fiori e uccelli
e un bosco in fiamme
appie' della montagna.

Molto ho deplorato di essere qui,
seduto,
a contemplare un uomo
che di notte legge
e di giorno
redige rapporti burocratici
come che voglia parer saggio e grave.

A che scopo venirmene dove non ricordo,
dove sono un'assenza che non rammenta nulla,
nemmeno la sua voce,
nemmeno il suo stesso volto nella pietra dove
ci guardavamo.


MAQUIAVELO, POETA

        Però se alcuna volta io rido o canto,
        Follo perché io non ho se non questa una
        Via da sfogare il mio acerbo pianto

        MAQUIAELO, Carta a Francesco Vettori, 16/4/1513

Habla el poeta Desgarrado por la envidia que me tienen,
sólo la poesía me consuela.

Ya sé que non soy un gran poeta.
No sé escribir. Las musas non me quieren.

Pero la gloria a que yo aspiro
no es el elogio del crítico que no estimo,
ni el laurel ni la academia ni los premios.

Por favor, déjenme vivir en paz
con mis queridas úlceras.


MACHIAVELLI, POETA

        Però se alcuna volta io rido o canto,
        Follo perché io non ho se non questa una
        Via da sfogare il mio acerbo pianto

        MACHIAVELLI, Lettera a Francesco Vettori, 16/4/1513

Parla il poeta Lacerato dall'invidia che mi portano,
solo la poesia mi consola.

So di non essere un gran poeta.
Non so scrivere. Non sono caro alle muse.

Ma la gloria a cui aspiro
non è l'elogio del critico che non stimo,
né l'alloro né l'accademia né i premi.

Per favore, lasciatemi vivere in pace
con le mia amate ulcere.


POLÍTICO EN PARO

    Maquiavelo fue despojado de todos sus empleos y salió desterrado de Florencia
De mañanita
se levanta,
sale a cazar zorzales,
                           deambula por el bosque,
observa el trabajo de lo leñadores,
se sienta junto a las fuentes
y lee a poetas
                 que le hablan
de amores y destierros.

Va al mesón
come y bene
                  con la gente humilde,
juega a los naipes y se lía
en gruesas discusiones con
el posadero,
         el molinero,
                  el carnicero

(los carajea,
les mienta la familia,
gesticula)

Por la noche
regresa a su aposento,
se cambia de ropa
y - vestido de etiqueta -
                          convesa
con los grandes hombres de la historia;
les pregunta
por qué hicieron lo que hicieron,
lee,
          medita
y olivida la miseria
                  no teme a la pobreza
                          la muerte no le espanta.


POLITICO DISOCCUPATO

    Machiavelli fu privato di tutte le sue cariche e partì da Firenze in esilio.
Di buon mattino
s'alza,
esce a caccia di beccafichi,
                                   vagola per il bosco,
osserva il lavoro de' legnaiuoli,
si siede presso le fonti
e legge i poeti
                  che gli parlano
di amori ed esilii.

Va all'osteria,
mangia e beve
                  con la gente umile,
giuoca alla cricca e s'ingaglioffa
in grandi discussioni con
il canovaio,
         il mugnaio,
                  il beccaio

(inveisce,
li abburatta,
si sbraccia)

Di notte
torna alle sue stanze,
si spoglia quella veste cotidiana
e - in panni condecenti -
                           conversa
co' grandi uomini antichi;
domanda la ragione
delle loro azioni,
legge,
           medita,
dimentica ogni affanno
                          non teme la povertà
                                    la morte, non lo sbigottisce.


MUERTE DE MAQUIAVELO

A mí,
Niccoló Piero Michele Machiavelli,
oscuro funcionario de Florencia,
me mataron las úlceras intestinales.

Desahuciado por los médicos,
auxiliado por mi mujer y mis hijos,
reconfortado por los pocos amigos
que aún me quedaban,
me fui por un río de sangre
sin miedo y sin rencores,
sin remordimientos.

Mandé llamar - es cierto -
                      al cura confesor,
pero non hblamos de otros mundos.
Sólo charlamos
sobre la ingratitud humana.


MORTE DI MACHIAVELLI

Io,
Niccolò Piero Michele Machiavelli,
oscuro funzionario fiorentino,
fui ucciso dalle ulcere intestinali.

Spacciato da' medici,
in braccio della moglie e de' figlioli,
confortato da que' pochi amici
che ancora mi restavano,
me ne andai in un fiume di sangue
senza paura e senza rancori,
senza rimorsi.

Feci chiamare - è vero -
                      il confessore,

ma non parlammo d'altri mondi.
Ci limitammo a ragionare
dell'ingratitudine umana.


INCRIPCÍON EN UNA URNA FUNERARIA VACÍA

TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM
NICOLAUS MACHIAVELLI
OBIT AN A.P.V. MDCXXVII

Ningún elogio está a la altura del tal nombre.

Pero han de saber los turistas
que lo restos de este hombre
están en todas partes, meno
en esa urna de Santa Croce


ISCRIZIONE SU UN'URNA FUNERARIA VUOTA

TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM
NICOLAUS MACHIAVELLI
OBIT AN A.P.V. MDCXXVII

Nessun elogio è all'altezza di tanto nome.

Ma i turisti devono sapere
che i resti di quest'uomo
sono ovunque, tranne
in quell'urna a Santa Croce.





da Quiero escribir, pero me sale espuma
Vorrei scrivere e mi esce solo schiuma

(1972 - selezione dei testi e traduzione
di Nicola Licciardello)



EL SOLDADO PIERDE LA MEMORIA

      A J. G.
      Partió a la guerra del Chaco, cantando.
      Volvió loco.
1.

¿Por qué tocas el tambor, muchacho?
¿Por qué quiebras el tallo de la tarde?
Tu soledad camina por la calle,
se oculta en el silencio.
Ayer te dieron tarántulas de fuego
Y tu ojos vacíos se rieron.

2.

Mi tábano en tu oreja,
Mi escorpión en tu boca,
Mi mosquito en tu mosca,
la muerte en tu cadera.
Tu diente se cae, grita su muela,
arrastras tu tristeza,
zumo de limón tu sangre
y el alcohol te vence entre las rosas.

3.

A la guayaba dulce, guayaba amarga,
guayaba negra, guayaba verde.
De niño te llevaron a la guerra.
De hombre te pudren la guitarra.
¿Por qué tocas el tambor, muchacho?


IL SOLDATO PERDE LA MEMORIA

      A J. G.
      Partió a la guerra del Chaco, cantando.
      Volvió loco.
1.

Perché suoni il tamburo, ragazzo?
Perché spezzi il germoglio della sera?
Sulla strada cammina la tua solitudine,
si nasconde nel silenzio.
Ieri t' hanno tirato tarantole di fuoco
E ridevano i tuoi occhi vuoti.

2.

Il mio tafano nel tuo orecchio,
il mio scorpione nella tua bocca,
il mio moschino nella tua mosca,
la morte nei tuoi fianchi.
Il tuo dente cade, urla il suo molare,
trascini la tristezza,
succo di limone il tuo sangue
e l'alcol ti vince fra le rose.

3.

Ah la guayaba dolce, guayaba amara,
guayaba nera, guayaba verde.
Da bambino t'allevarono alla guerra.
Da uomo t'infradiciano la chitarra.
Perché suoni il tamburo, ragazzo?


MANIFESTACIÓN

Con la rabia en el ají,
salgo con mi cóndor bajo el brazo,
cruzo la calle con una piedra en la mano,
camino con una policía vigilándome el hambre,
busco el oído y el ojo de la noche,
pego carteles, corro por las plazas,
grito con una brasa en la lengua,
pinto las paredes: "viva el Che"
me dan agua en manguera,
                           soy el fuego;
me dan relámpago en humo,
                           soy la tierra;
me abren una herida donde sea,
                           soy el pueblo;
me persiguen, me encarcelan, me torturan.
Canto mi libertad, muevo adoquines,
rompo maderas y cristales, canto,
voy a la huelga con mi miedo natural y un sorbo de café caliente;
vuelo por la ciudad, rasgo el aire, trizo las vitrinas,
golpeo las paginas de los periódicos,
derribo puertas, venzo mascaras y cachiporras,
traspaso los umbrales de la historia,
¡ soy!


MANIFESTAZIONE

Con una rabbia al peperoncino,
esco col mio condor sotto il braccio,
attraverso la strada con una pietra in mano,
cammino con un poliziotto che mi controlla l'intenzione,
cerco il suono e l'occhio della notte,
attacco cartelli, corro per le piazze,
grido con lingua infuocata
e scrivo sui muri "Viva il Che"
mi schizzano gl'idranti,
                 sono il fuoco;
m'abbagliano i gas,
                 sono la terra;
mi aprono ferite ovunque,
                 sono il popolo;
m'inseguono, m'incarcerano, mi torturano.
Canto la mia libertà, smuovo il selciato,
spacco legni e cristalli, canto,
vado allo sciopero con la mia naturale paura e un sorso di
                                                   [caffè caldo;
volo per la città, strappo l'aria, mando in frantumi le vetrine,
calpesto le pagine dei giornali,
abbatto porte, vinco maschere e clave,
oltrepasso la soglia della storia,
sono!


TIERRA INOCENTE Y HERMOSA

      Esta tierra inocente y hermosa
      HIMNO NACIONAL DE BOLIVIA

      Bolivia es una republica libre, independiente y soberana
      CONSTITUCIÓN POLÍTICA DEL ESTADO

¿Dónde está tu libertad?
¿Esas montañas son, acaso, tuyas?
¿Por qué este exilio, el mar y las distancias?
¿Qué tienes tú que todo lo entristeces?
¡Oh patria hostil, amorosa, amarga, mía,
mi corazón restalla en el aceite y el fuego!

¿Dónde está tu libertad?
¿Es tuyo ese pedazo de mapa, tu corazón es tuyo?
¡Cuán solo sin ti, país terrible y bienamado!

Estoy loco de rabia por creer que eres libre.
Ya no sé donde está lo sagrado de tu nombre,
así es de oscuro mi dolor, rumor de llanto.
Tu fealdad la llevo en mí como un duro secreto,
con tu noches profundas y con tus cielos límpidos.
Tu agonía canta en mi destierro.
Tu presencia me quema, tu dulce amor me quema.
Te llevo como una culpa y un destino en mi poemas.

Por la noche, en medio del silencio,
escucho el ruido de tu sangre
que gotea.


TERRA BELLA E INNOCENTE

      Questa terra bella e innocente
      INNO NAZIONALE BOLIVIANO

      La Bolivia è una repubblica libera, indipendente e sovrana
      COSTITUZIONE POLITICA DELLO STATO

Dov'è la tua libertà?
Sono forse tue queste montagne?
Perché quest'esilio, il mare e le distanze?
Che cos'hai che intristisci tutto?
O patria mia, ostile, amorosa, amara,
il mio cuore scoppia fra l'olio e il fuoco!

Dov'è la tua libertà ?
È tuo questo pezzo di mappa, è tuo il tuo cuore?

Che solo senza te, paese terribile e adorato!

Sono pazzo di rabbia per averti creduto libero.
Ormai non so dove stia il sacro del tuo nome,
tanto oscuro è il mio dolore, rumore di pianto.
La tua indegnità mi porto dentro come un duro segreto,
assieme alle tue notti profonde e i tuoi limpidi cieli.
Nel mio esilio canta la tua agonia.
La tua presenza mi brucia, il tuo dolce amore mi brucia.
Ti porto nella mia poesia come una colpa e un destino.

Di notte, in mezzo al silenzio,
ascolto il rumore del tuo sangue
che stilla.


EPILOGO-PROLOGO

Acorralado por la destrucción y el frió,
el aire azul de la cordillera.

Prisionera del odio que seca los ríos,
el agua dulce de la primavera.

En el exilio, lejos de la patria,
la fuerza de nuestra espera.


EPILOGO-PROLOGO

Asserragliata nel freddo e nella distruzione
l'aria azzurra della cordigliera.

Prigioniera dell'odio che secca i fiumi
l'acqua dolce della primavera.

Nell'esilio, lontano dalla patria
la forza della nostra attesa.





OPERE POETICHE DI PEDRO SHIMOSE:

  • 1961, Triludio en el exilio
  • 1967, Sardonia
  • 1968, Poemas para un pueblo
  • 1972, Quiero escribir, pero me sale espuma (Premio "Casa de las Américas")
  • 1975, Caducidad del fuego
  • 1976, Al pie de la letra
  • 1980, Riflexiones maquiavélicas (in italiano Riflessioni machiavelliche, con testo a fronte, a cura e traduzione di Claudio Cinti, Sinopia Libri, Venezia 2004, pp. 149, € 14,00)
  • 1985, Bolero de caballería
  • 1988, Poemas (raccoglie in un unico volume le precedenti raccolte)
  • 1996, Riberalta y otros poemas (primo libro pubblicato in Bolivia dopo 25 anni)
  • 2000, No te lo vas a creer
  • 2003, De naufragios y sonámbulos (antología poética)

Oltre ai libri di poesia Pedro Shimose ha pubblicato anche il libro di racconti El Coco se llama Drilo (1976), nonché numerosi studi sulla letteratura latinoamericana, come il Diccionario de Autores Iberoamericanos (1982) e Historia de la literatura latinoamericana (1989). Nel 1989 ha ricevuto il Premio Nacional de Cultura de Bolivia.

 

alexbrando@libero.it