FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI
I derelitti nelle canzoni di Fabrizio De André

di Oscar Palamenga


Tra le voci più intense che hanno parlato degli ultimi, degli emarginati, degli esiliati, c'è sicuramente quella di Fabrizio De André (1940-1999). Le sue poesie, perché si tratta di vere poesie accompagnate dalla musica come ai tempi di Omero, sprigionano un tale amore per l'umanità da travolgere ogni legge e convenzione umana. I parametri sociali, le convenzioni che ci vengono proposte e talvolta imposte sin dalla nostra nascita subiscono un rovesciamento copernicano in cui i derelitti diventano protagonisti d'un microcosmo carico d'amore per il prossimo, anche nel suo lato amorale: l'amore per il libero arbitrio, per l'individualità contro ogni moda e convenzione, porta De André a rifiutare ogni giudizio precostituito, ogni condanna sociale per chi affronta la sua esperienza umana in modo diverso da quello imposto dalla società.

La sua non è soltanto una critica alla borghesia ma, pirandellianamente, un invito a guardare oltre le apparenze. Nel suo saggio sull'Umorismo, Pirandello afferma che solo superando l'avvertimento del contrario si può giungere al "sentimento del contrario": in pratica, andando oltre le apparenze si può percepire una realtà ben diversa. Famoso è il suo esempio della vecchia signora "goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili", che simboleggia proprio ciò che in una rispettabile società non dovrebbe esistere: "Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo... e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che, parata così... riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima...".
Il punto di arrivo di Pirandello non è che il punto di partenza di De André.

Già in una delle sue prime canzoni, la famosissima "Via del Campo", c'è un totale rovesciamento di valori che suona come un epitaffio per i valori borghesi: Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior. Così gli abitanti di Via del campo, una delle strade di Genova che all'epoca erano considerate malfamate e che oggi ospita un vero e proprio santuario per i fans del cantautore, fanno parte di un'umanità emarginata che si riscatta agli occhi del poeta. Per questo la prostituta bambina lascia fiori dove cammina, e rende felici le persone con un sorriso (non credevi che il paradiso / fosse solo lì al primo piano). Le prostitute, additate dalla buona società come un male da emarginare e da estirpare, ritrovano la loro dignità per l'illusione d'amore che regalano.

Il tema delle prostitute è una vera e propria idea fissa del cantautore genovese. Durante un concerto a Roma, nel febbraio del 1998, prima di cantare "La città vecchia", dichiarò: "Nella Città Vecchia dimostro di avere sempre avuto, sin da giovane, pochissime idee ma in compenso fisse, nel senso che in questa canzone già esprimo quello che ho sempre pensato, ovvero che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell'errore". E così quei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi / ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi, vengono riabilitati in maniera pasoliniana, come genuina espressione di vita popolare e di sentimenti autentici.
I pensionati ubriachi che cercano la felicità in un bicchiere di vino lo fanno per sbeffeggiare la morte e la cattiva sorte, per dimenticare d'esser stati presi per il sedere / ci sarà allegria anche in agonia col vino forte / porteran sul viso l'ombra d'un sorriso fra le braccia della morte.

Ma più che le prostitute della Città Vecchia o di via del Campo, l'eroina simbolo di questo mondo rovesciato è sicuramente "Bocca di Rosa". E il paesino di Sant'Ilario diventa la metafora del nostro mondo, sempre pronto a condannare, censurare ed espellere chi minaccia l'ordine costituito. Salvo poi riciclare tutto alla stazione successiva: molta più gente di quando partiva / chi manda un bacio chi getta un fiore / chi si prenota per due ore.
È la denuncia dell'ipocrisia borghese, del falso perbenismo, di quelli che sono sempre pronti a condannare gli altri salvo poi contribuire alla loro dannazione come il vecchio professore della Città Vecchia, quello che di giorno chiama con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle sue voglie. E non è certamente un caso che lo stesso tema è ripreso molto più crudamente da De André trent'anni dopo nella canzone "Princesa".

Il disco "Anime Salve" (1996, in collaborazione con Ivano Fossati) è volutamente un disco che parla degli ultimi, degli esclusi. E l'emarginazione di "Princesa" è la stessa di "Bocca di Rosa" solo che, trent'anni dopo, le cose sono peggiorate e il transessuale che si prostituisce perde ogni dignità umana fino a quasi diventare una bestia:

      Sono la pecora sono la vacca
      che agli animali si vuol giocare
      sono la femmina camicia aperta
      piccole tette da succhiare

Ma il finale è sempre lo stesso, con le solite persone "per bene" che di nascosto cercano "il mostro" per divertirsi, per sfogare i loro istinti sessuali rendendo assolutamente labile il confine tra bene e male, tra rispettabilità e indecenza:

      a un avvocato di Milano
      ora Princesa regala il cuore
      e un passeggiare recidivo
      nella penombra di un lampione

unico spazio che può ritagliarsi un emarginato nella società ipocrite e perbenista.

Non solo di prostitute è popolato il paradiso degli emarginati di De André. La sua è una vera e propria epica in chiave minore, un epos di personaggi ai quali storicamente non è mai stata data parola. Per esempio gli indiani d'America del disco senza nome (che per questo viene comunemente chiamato "Indiano") pubblicato nel 1981. Canzoni come "Fiume Sand Creek" danno voce ad uno sterminio ignorato dalla maggior parte degli storici: Si sono presi il nostro cuore sotto una coperta scura / sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura /... fu un generale di vent'anni / figlio di un temporale / Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.

Era il primo disco dopo il rapimento suo e della moglie Dori Ghezzi e i pellerossa americani diventano metafora dei pastori sardi che si mettono a fare i rapimenti e diventano violenti e pericolosi per sopravvivere in un mondo che li ha esclusi: cosa c'è di più forte e toccante che perdonare i propri carcerieri e provare a capirli? D'altro canto era stato lo stesso De André a mettere nella bocca d'un altro emarginato, il buon ladrone dei Vangeli, queste parole:

      io nel vedere quest'uomo che muore
      madre, io provo dolore
      nella pietà che non cede al rancore
      madre, ho imparato l'amore.

Siamo di fronte a sincera pietas cristiana, a un amore immenso verso l'umanità, alla certezza che l'uomo è Dio e non lupo tra gli uomini. Un amore che si espande anche verso chi ha disprezzato la vita come i drogati e i suicidi. Ovviamente il pathos in difesa dei suicidi è in gran parte dovuto al tragico gesto del suo amico Luigi Tenco; ma nelle parole di "Preghiera in Gennaio" si va ben oltre il caso personale: Quando attraverserà / l'ultimo vecchio ponte / ai suicidi dirà / baciandoli alla fronte / venite in Paradiso / là dove vado anch'io / perché non c'è l'inferno / nel mondo del buon Dio.

La giustizia divina non può prevedere l'inferno per chi, con un tragico gesto, ha posto fine alla solitudine e alla propria emarginazione. Così come non possono essere condannati i drogati vittime di chissà quale disagio. Il "Cantico dei drogati" si apre con parole agghiaccianti:

      Ho licenziato Dio gettato via un amore
      per costruirmi il vuoto nell'anima e nel cuore.

Stavolta l'ultimo è uno che si è autoescluso dal sistema, uno che ha cercato di alleviare la personale angoscia esistenziale attraverso la droga, che ha smarrito del tutto la propria dignità umana e ora attende, soltanto e semplicemente, una morte liberatoria. Eppure, nonostante non riesca più nemmeno a comunicare con la madre (come potrò dire a mia madre che ho paura?), la speranza è tutta in un unico gesto di clemenza da parte di Dio che non può non amare un figlio anche se è stato "licenziato" da lui. Gli ultimi versi diventano una disperata ricerca d'aiuto: Tu che m'ascolti insegnami un alfabeto che sia / differente da quello della mia vigliaccheria. Che ascoltiamo come il grido di sofferenza e insieme richiesta d'aiuto di ogni emarginato, di ogni derelitto.


Il sito della Fondazione De André: www.fondazionedeandre.it

 

o.palamenga@tin.it