FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 6
aprile/giugno 2007

Scorie & Rifiuti

SCORIE NELLA MENTE:
MUSICA PER IMPARARE IL SILENZIO

di Viviane Ciampi


Secondo la filosofia indiana esiste un suono primordiale che ci è dato dalla Dea Parola e che si chiama OM. L'OM come pratica del respiro (in realtà significa molto di più), non è certo sconosciuto agli occidentali amanti delle discipline che "disinquinano" - mi si passi il termine - la mente. Ma come si può arrivare fino ai lontani luoghi del non-pensiero? Come andare al di là dei limiti del linguaggio?

La verità assoluta in fatto di "acquietamento" dello spirito, forse è irraggiungibile. Tuttavia ci piacerebbe parlarvi dell'esperienza del più grande suonatore di Sitar indiano, Ustad Usman Khan (1940), reduce da una tournée in Europa ed esperto in materia di meditazione.

Khan insegna agli allievi occidentali che praticano le sue lezioni, la sua idea della parola "musica", che come si vedrà, è distante anni luce da ciò che significa da noi. Racconta Ustad Usman Khan:



Quand'ero piccolo mi alzavo all'alba insieme con mio padre, anch'egli musicista. Lui (mi faceva da padre ma anche da guru) m'insegnò che la musica non è musica, bensì religione. Infatti le lezioni non finiscono quando si è imparata la tecnica. Ogni artista è uno yogi che va nelle profondità, perché l'arte fa uscire la profonda bellezza. Se vi dicessi, in questo momento che sono io a suonare, che io sono l'invitato, sbaglierei, metterei in risalto l'ego, mentre la musica, al contrario, suona attraverso la mia persona. È lei l'invitata. La faccio vivere. La condivido con ogni anima che incrocio sulla mia strada.

A noi indiani insegnano che la musica diventa un prodotto secondario della meditazione; o meglio la meditazione si giova del fatto che la musica è viva e presente. In India ci dicono che bisogna fare riaz o sadna (riaz è una parola di lingua persiana mentre sadna è una parola sanscrita). Significano pratica profonda di meditazione o ripetizione. In Europa traducete queste parole col termine di "pratica", ma si tratta di molto di più di una pratica. Tutto il corpo e il lato mentale agiscono.

Suonando il sitar, ci sono due suoni sulle corde, molto importanti: DA e RA. Unendo queste due sillabe otteniamo DARA che significa "il re" ma anche "il presidente". Con questa musica noi cerchiamo il "presidente" dell'universo. La musica ci regala il contatto diretto con "il più profondo", con colui che si trova "al di sopra di tutto", quindi: il presidente dell'universo.

Essere musicista significa farsi cercatore sul cammino della spiritualità. Il musicista ricerca la vibrazione originaria, quella che esisteva al di là delle profondità del silenzio, al di là di ogni vibrazione. Il silenzio, altro non è che quella musica. All'interno di questo silenzio, quando riusciamo a far sentire queste vibrazioni trascendenti, sappiamo che abbiamo trovato la vera musica. Ma ora veniamo alla parola: la parola - o se preferite - i suoni della parola, costituiscono la lingua. Ogni lingua può essere interpretata bene oppure male; crea delle barriere, dei blocchi. Mentre nella vibrazione sonora universale otteniamo solo armonia e mai disaccordo.

Per fare un esempio: mentre io sto parlando, probabilmente ci sarà qualcosa che voi non capite. Ma la vibrazione tutti la capiscono, perfino gli uccelli, le piante, gli alberi sentono il nad (la vibrazione). In India esistono i raga che sono legati da un lato alla vibrazione sonora, dall'altro al parametro tempo. I raga altro non sono che una manifestazione concreta di una energia universale e cosmica.

La vera grammatica della musica non consiste nel voler capire la sua grammatica. Si ascolta attraverso la testa, lo spirito, il cervello, questo sì. La grammatica della musica ci porterà verso qualcosa che non è il cervello ma il cuore vibrante.

Da sempre spiego ai miei allievi che nel mio sitar ci sono venti corde che tenterò di accordare prima di suonare. Ma non basta accordare le mie venti corde. Devo prima tentare di accordare le corde che si trovano in me e per questo i miei maestri mi hanno insegnato la meditazione. Dimenticherò allora il narcisismo che fa male all'arte. Se l'artista continua a pensare in termine di ego non sarà mai un grande artista. I grandi maestri ci insegnano che più il nostro "io" diventa famoso più la nostra arte si impoverisce. Meditando mi preparo ad accordare le mie corde interne di cui non conosco il numero ma quando la meditazione è profonda, quando il silenzio si stabilisce e io mi sento "accordato" so di essere pronto a suonare il raga. Io e il mio raga, allora, non siamo due identità ma una sola. In quel momento il raga cola dal mio interno, dalle profondità o dalle altezze che si trovano altrove, e toccano il pubblico. Non il cervello del pubblico, ma l'anima interna.

 

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