I punti più alti dell'Ecuador sono situati nella zona della Sierra Centrale ed è lì che si trovano le province di Cotopaxi, Bolívar, Chimborazo e Tungurahua. In quest'ultima c'è la città di Ambato, capitale di provincia, situata a 2.600 metri sopra il livello del mare, generosa di frutta e fiori, e di arazzi (i famosi arazzi "Salasacas", fabbricati dal gruppo indigeno che porta lo stesso nome e che dalla Bolivia si trasferì, durante l'epoca degli Incas, nel Tungurahua).
Ambato è una città chiusa tra le montagne, piacevole, provinciale, serena e complessa come può esserlo una città andina della parte nord dell'America del Sud.
Come accade in questi casi ci sono molte cose da vedere, o non c'è proprio nulla. Tutto dipende dall'atteggiamento investigativo dell'osservatore. I turisti non informati passano alla larga da Ambato, in cerca del più pittoresco e accessibile centro abitato di "Los Baños", dove possono comprare prodotti artigianali alla metà del prezzo che pagherebbero nella capitale del paese, Quito. Inoltre possono acquistare a prezzi irrisori gli autentici "Sombreros Panamá", la cui denominazione, come è risaputo, è una delle tante ed evidenti contraddizioni del continente latinoamericano: i cappelli Panamá sono originali dell'Ecuador.
Però chi cerca trova. Il viaggiatore accorto e curioso se gira un po' per le strade di questa tranquilla capitale provinciale può imbattersi in una delle sette meraviglie del realismo fantastico latinoamericano. Una meraviglia del tutto ignorata, ovviamente, dagli opuscoli turistici, dai libri di storia e, inoltre, dall'enorme maggioranza degli abitanti delle grandi città dell'Ecuador: Quito e Guayaquil.
Si tratta di un piccolo museo di Storia Naturale collocato nell'edificio della scuola Bolívar, davanti a una delle principali piazze di Ambato. Lì dentro, sistemata in modo perfetto dentro flaconi di formalina e bene illuminata in vetrine alte quasi due metri, si trova una variopinta galleria di mostruosità biologiche, che avrebbero potuto benissimo far parte della fonte ispirativa d'artisti quali Brueghel, Bosch, Goya o Dalí.
I mostruosi animali del museo della scuola di Ambato includono i soliti vitelli con due teste, piccoli maialini con una spropositata appendice nasale a forma di proboscide d'elefante, agnelli siamesi imbalsamati che con i loro quattro occhi di vetro castani contemplano immobili l'orrore dello spettatore, galline a tre zampe, enormi gusci calcarei di chiocciole marine che vai a sapere come finirono sulle vette più alte delle Ande, e una infinità di reliquie mostruose sommerse nella formalina che un tempo furono vive e respiravano sopra la terra.
Da dove verrà tanta bizzarra meraviglia? Da dove tanto ingegno contorto e astruso? Come sarà capitata ad Ambato questa circense esasperazione biologica, orrore e bellezza d'una natura annoiata dalla propria normalità?
Nella sala centrale di questo piccolo museo della scuola di Ambato si trova un elefante imbalsamato di media grandezza. Molti anni fa un circo arrivò a Quito, e da Quito attraversò per stradine di montagna la provincia di Cotopaxi, passando per Saquisilí, Latacunga, Pujilí e raggiunse, infine, la provincia di Tunguraha e istallò l'immenso tendone rammendato nella città di Ambato.
L'elefante arrivò stanco, esaurito dal vedere tante montagne, tante vette innevate. La notte stessa dell'arrivo gli addetti locali, ingaggiati dal capo del circo, gli diedero per cena qualcosa di così dannoso che l'elefante morì, talmente dannoso che la morte fu quasi istantanea e quando arrivò il veterinario, chiamato d'urgenza dal domatore, ormai non poteva fare più nulla.
Il veterinario certificò il decesso del pachiderma.
Presto quella massa di carne sarebbe andata in putrefazione emanando un odore spaventoso e ricoprendosi di mosche.
Per sotterrare il corpo dell'elefante occorreva scavare una fossa di almeno cinque metri di diametro e profonda tre metri, e nel terreno sassoso delle Ande. Il capo del circo non era disposto a impiegare per diversi giorni due suoi lavoranti per un simile compito. Per questo, dopo averci pensato un po' e sotto l'influsso dell'ispirazione che gli offrirono alcuni abitanti del posto - testimoni oculari della tragedia dell'animale - decise di donare quel cadavere alla cittadinanza di Ambato. A tale scopo convocò il presidente della Commissione onoraria del Comune e, grazie anche a un contributo in denaro (in realtà assai scarso) lo convinse dell'opportunità e della convenienza ad accettare la donazione, che senza alcun dubbio avrebbe accresciuto in modo significativo il patrimonio storico e culturale della città di Ambato.
La commissione del Municipio decise a sua volta di donare l'elefante al museo della scuola affinché provvedesse alle appropriate e urgenti misure per la conservazione e poterlo esibire con orgoglio nella sala centrale.
Così Ambato ebbe per sempre il suo autentico elefante imbalsamato, proprio in mezzo alle Ande: pranzo, merenda e cena di migliaia di generazioni di tarme durante molti decenni.
Traduzione di Alessio Brandolini
(Su Courtoisie, in questo numero: Facce sconosciute, recensione di Alessio Brandolini)