FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 3
luglio/settembre 2006

Signore Bestie

RAFAEL COURTOISIE
Facce sconosciute

di Alessio Brandolini


La storia dell'America Latina, si sa, è disseminata di colpi di stato, guerre civili e guerriglie che poi magari si protraggono per decenni (come quella colombiana che perdura tutt'ora) e magari perdono per strada le motivazioni che spinsero alla drammatica scelta. Molti sono i libri che ne parlano in modo approfondito e centinaia i romanzi ispirati dai quei tragici accadimenti. Magari talvolta si prende soltanto lo spunto dal clima confuso e instabile, da un particolare modo di vivere la politica, eppure si riesce ugualmente a far comprendere molto. Cosa che capita, ad esempio, leggendo il romanzo Ammazzate il leone del messicano Jorge Ibargüengoitia, (Sellerio, 2005).

Nel 2004 era stato pubblicato in Italia un libro di Rafael Courtoisie, autore uruguayano nato a Montevideo - dove vive - nel 1958 e autore d'un fitto numero di lavori in prosa e in poesia, segnalati e premiati in varie occasioni, dal titolo Sfregi (2004, Avagliano Editore), con il nome preso in prestito dal breve romanzo che contiene e l'aggiunta di racconti giovanili. Qui già s'accenna al terrorismo e alla dittatura uruguayana inaugurata dal colpo di stato del 1973 (ma da 1967 i governi applicavano le famigerate "misure di massima sicurezza"), che è il tema centrale del romanzo Facce sconosciute, proposto l'anno scorso dalla casa editrice fiorentina Le Lettere e inserito nella collana "Latinoamericana" curata da Martha Canfield, che firma il saggio inserito a chiusura del libro (La città con il "monte" dentro). Il personaggio di Sfregi, ovvero il giovane Raúl, è fuori da ogni regola di comportamento: ama i coltelli e con quelli si diverte a sfregiare tutto quello che gli capita sotto mano (tranne il pane). Anche lui - come la voce narrante del nuovo romanzo - è assediato da "facce sconosciute".

Il trauma subìto isola ed estranea. Ecco perché il timbro specifico scelto da Courtoisie è quello d'una narrazione ibrida dove cronaca (ormai divenuta storia), prosa e poesia si alternano, o si fondono. Allora i fatti narrati in Facce sconosciute (pubblicato la prima volta nel 2001 con il titolo Caras extraña) - pur essendo tutti effettivamente accaduti - si trasformano in simboli d'una realtà logora, in disfacimento: senza valori, né speranza.
Così i nomi di persone e luoghi possono anche essere cambiati, ci si può ironizzare sopra pur restando mortalmente feriti. Montevideo diventa la città di Montenegro, i Tupamaros i Tapurí, grotteschi Robin Hood che giocano a fare i guerriglieri, e i generali dell'esercito regolare dei sadici che ricordano i gattoni nazisti del Maus di Art Spiegelman: gelidi assassini, eppure amanti della natura al punto da "sfruttare" i corpi dei guerriglieri ammazzati (messi in buchi profondi a testa in giù così da rendere meglio) per concimare gli alberi appena piantati.

Facce sconosciute prende avvio in modo brusco e senza preamboli con l'assalto - meticolosamente preparato - dei guerriglieri alla città di Salvo (in realtà Pando, non distante dalla capitale dell'Uruguay, episodio avvenuto nel dicembre del 1969), ma i gesti precisi (scientifici) e nobili (eroici) dei primi istanti si trasformano, quando le cose si mettono male, in convulsi movimenti, in azioni assurde che seminano morte e alla fine tutto finisce in modo drammatico.
Metafora del terrorismo? O dell'utopia che può trasformarsi in farsa, in tragedia? Courtoisie non commenta, non si dilunga. Per lui le parole vanno usate con discrezione, con il massimo rispetto: solo quelle essenziali, quelle che non tradiscono. E qui sta la differenza più evidente tra l'autore di questo romanzo e i famosi scrittori sudamericani ("i classici sudamericani", per intendersi) che amano dire tanto, tutto, e così facendo talvolta contraddicono ciò che s'è scritto poco prima. Qui, al contrario, si procede per rapidi ed essenziali quadri di narrazione, con una scrittura aspra e acuminata. Le frasi sono spezzate e scarne, asciugate fino all'osso. Battute ironiche, stringate e pronunciate a raffica (e certo non è casuale il richiamo al fumetto nella copertina del pittore Miguel Fabruccini). Residui di pensieri e ossessioni, di dialoghi e discorsi rimasti a galleggiare nella mente.

Frammenti sì, ma tesi e tersi, pungenti fili spinati che nel loro insieme, nel loro intrecciarsi formano un affresco autentico e incisivo, sebbene grottesco e indigesto.
Accanto alla storia allucinante dell'assalto alla città di Salvo ecco che si delinea anche la visone narrativa e linguistica di Rafael Courtoisie, che è decisamente poetica (e originale) in quel suo modo di narrare per squarci (o tagli) obliqui e profondi, di riportare soltanto le cose necessarie, indispensabili e nel frattempo proiettarsi oltre la parola, al di là dei meri fatti narrati e mettere il dito (le unghie) sulla piaga d'un malessere globale, esistenziale. Per questo alla fine l'inquieta voce dell'io narrante s'identifica con l'autore che ha sofferto da bambino e da ragazzo - e certo non fu il solo - il trauma d'una feroce dittatura e della guerriglia, della paura e del sospetto, del terrore e della violenza, della perdita del sogno e della fiducia negli altri. E quando ci strappano la speranza si rimane soli, ci si estranea e tutte le facce (foss'anche la nostra vista allo specchio) si fanno lontane e "sconosciute": allora il coltello affonda ancor più nella carne perché è esattamente l'opposto di quello che all'inizio della nostra vita avevamo desiderato.

Rafael Courtoisie, Facce sconosciute (traduzione di Nausica Quadalti, a cura di Martha Canfield, pagg. 171, euro 16 - Le Lettere, Firenze, 2005)

 

alexbrando@libero.it

 

(In questo numero, un racconto di Rafael Courtoisie: L'elefante di Ambato)