FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 3 luglio/settembre 2006 Signore Bestie |
LA POESIA COLOMBIANA DEGLI ULTIMI DECENNI di Martha Canfield |
"Insieme alla violenza, la poesia è stata intimamente legata al destino della nazione colombiana, repubblica ancora giovane (lo è dal 1810), ma molto consapevole della propria tradizione letteraria": con questa riflessione il poeta e studioso colombiano Juan Gustavo Cobo Borda avviava uno dei capitoli da lui dedicati alla storia poetica del suo paese1. Identico accostamento propone Alessandra Merlo, in un numero della rivista "Leggere", nel commentare lo straordinario Festival Internazionale di Poesia di Medellín, arrivato alla sua sedicesima edizione2.
Quando si considera la passione letteraria, e particolarmente poetica, della Colombia - incredibilmente diffusa anche a livello popolare, solo paragonabile in numeri alla passione calcistica, come si vede dalla partecipazione di massa che destano i recital e altre manifestazioni poetiche - sembra inevitabile affrontare l'altro tratto distintivo della storia colombiana, questo non bello né stimolante ma tragico: la violenza. La violenza colombiana è fatta di guerre civili, di una feroce dittatura militare (Rojas Pinilla), di leader progressisti e popolari assassinati, di piccola delinquenza che infesta le città, di guerriglia, e più recentemente di narcotraffico. Questa grave situazione, malgrado le aspettative interne e internazionali, non si è sostanzialmente modificata neanche durante il governo di Andrés Pastrana, eletto a grande maggioranza con una enorme percentuale di votanti. Egli tentò un accordo con il capo delle FARC, Marulanda, e portò avanti iniziative che lo resero in principio molto popolare, ma alla fine del suo mandato le cose non erano cambiate radicalmente. Di fronte a questa terribile e tangibile realtà, cosa significa la poesia in Colombia? Sbaglierebbe chi pensasse a una forma di evasione: spesso questa poesia ha dato prova di un elevato spirito civico e in certi momenti ha saputo essere ferocemente trasgressiva e contestataria, come ha dimostrato la neo-avanguardia, riconosciutasi nel nome di "Nadaísmo" (da nada, niente). Ma quando la poesia volta le spalle al presente e si addentra nei territori più sottili del mistero, del simbolo, della metafora come scoperta di vincoli non razionali fra le cose, anche allora essa non è "evasiva". Anzi, risulta straordinariamente impegnata nell'ambito di una ricerca spirituale o metafisica che porta alla definizione più elevata dell'essere e dello stare nel mondo. Perfino quando questa ricerca comporta la constatazione del fallimento delle speranze, lo scetticismo, il disinganno. Si può affermare che la poesia colombiana oscilla fra questi due grandi poli: l'impegno civico (José Eusebio Caro, 1817-1853) e l'intimità trasognata (José Asunción Silva, 1865-1896); il racconto armonioso e musicale di una terra vera e amata (Aurelio Arturo, 1906-1974) e il racconto discordante delle avventure surreali e metaforiche di un immaginato, Maqroll il Gabbiere (Álvaro Mutis, 1923); la voce poetica della strada, dei piccoli grandi eventi del quotidiano, degli esseri che popolano i sobborghi della città ormai smisurata (Mario Rivero, 1935) e la voce poetica degli infiniti cammini letterari, del mondo transnazionale della cultura, non di ciò che è attuale ma di ciò che è costante, la voce dell'immaginario, del sogno e dell'ideale (Giovanni Quessep, 1939). La generazione chiamata "Mito", come la rivista fondata da Jorge Gaitán Durán (1924-1962) nel 1955, durata fino al 1962, e alla quale spesso si associa il nome di Álvaro Mutis, reagendo contro il purismo juanramoniano della poesia "piedracielista"3, si avvicinò al pensiero filosofico di Nietzsche, all'esistenzialismo di Heidegger e di Sartre, ed elaborò una poesia colta, cosmopolita, dall'immaginazione raffinata e sensuale: A un tratto si respira meglio e l'aria della primavera L'ultimo numero della rivista "Mito", che si chiude definitivamente alla morte del suo fondatore, nel 1962, fu dedicato al "Nadaísmo", che paradossalmente rappresentò la sua negazione. Sono gli anni in cui si stabilisce in Colombia il cosiddetto "Frente Nacional", un patto fra i due grandi partiti politici, fino a quel momento in guerra fra di loro, perché si alternassero nel potere. Era la spudorata spartizione dei privilegi fra i potenti, mascherata da "democratica" alternanza. Molti la sentirono come una beffa e nell'ambiente culturale le reazioni furono varie e diverse. Lui è come è come un'onda è un'onda
Tuttavia, nella sua tipica iconoclastia e nelle sue affermazioni volutamente tautologiche, emergono certi indiscutibili valori: la solidarietà umana, la giustizia sociale, l'armonia con la natura, nonché alcuni tratti in sintonia con i beatnik e col movimento hippy, come l'uso di droghe leggere e il sesso libero, che scandalizzarono la Colombia bene di allora, producendo il rifiuto del Nadaísmo, non solo da parte della cultura ufficiale, ma anche da parte della classe intellettuale più affermata. Arango usò anche con disinvoltura l'autocritica - talvolta con atti pubblici di pentimento alquanto spettacolari - e nella sua corta vita ebbe il tempo di cambiare varie volte città, modo di vivere e credo poetico. Rimane l'autenticità e la vigorosa semplicità del suo appello fondamentale, che non casualmente, in un determinato momento sedusse e trascinò i giovani: RIVOLUZIONE Mediante l'amnesia creata dal Fronte Nazionale, si cercava di rimuovere l'orrore rimasto alle spalle. Il Nadaísmo trovava le sue radici e la sua ragion d'essere proprio in quell'orrore. Jaime Jaramillo Escobar (1932), ovvero "X-504", considerato la voce più notevole del gruppo, disse una volta che il Nadaísmo era il secondo movimento importante del paese, perché il primo era la "violencia", con 400.000 affiliati6. La strada della contestazione non è stata identica per tutti. Mentre il Nadaísmo raggiungeva il suo apice alla fine degli anni 60 per poi declinare velocemente, un gruppo di giovani si andavano formando nello spazio poetico della solida tradizione ispanica, che è sempre stata della Colombia, ma che la Generazione di Mito aveva sensibilmente allargato, adottando i contributi della grande poesia di lingua inglese, da Eliot a Pound, della poesia tedesca, da Rilke a Trakl, del surrealismo e i suoi eredi. Questi giovani si sarebbero fatti avanti negli anni '70 e si sarebbero riconosciuti nel gruppo della "Generación sin Nombre", così poco felicemente battezzato da Alvaro Burgos e dallo scrittore spagnolo Jaime Ferrán. Si tratta di Juan Gustavo Cobo Borda (1948), Darío Jaramillo (1947), Henry Luque Muñoz (1944), Augusto Pinilla (1946), Elkin Restrepo (1942), e di due voci femminili, tuttavia e in buona misura marginali per diverse ragioni: María Mercedes Carranza (1945-2003), che non sempre aderì alle manifestazioni del gruppo, e Martha Canfield (1949) che nel 1977 si trasferì definitivamente in Italia diradando la sua produzione in spagnolo e iniziando a scrivere in italiano. Fra loro e il Nadaísmo, che li aveva immediatamente preceduti, due voci rimangono isolate e magnifiche nel panorama della poesia colombiana: sono Mario Rivero (1935) e Giovanni Quessep (1939). Forse per quella compulsione a catalogare che è inseparabile dal mestiere didattico e critico, Mario Rivero è stato associato al Nadaísmo, anche se molto presto dichiarò la sua estraneità al movimento, e Giovanni Quessep alla "Generación sin Nombre", pur con la riserva che lui è più anziano e che il suo inserimento nel gruppo sarebbe stato "tardivo". In realtà sono forzature. Entrambi rappresentano due tendenze poetiche che potremmo considerare opposte e che scandiscono la storia della letteratura colombiana. E ognuno nella sua ha raggiunto una densità creativa incomparabile: Rivero nella poesia che si nutre del vissuto e che sfrutta tutte le sfumature espressive della lingua parlata, della canzone popolare, dei mass media; Quessep nella poesia che si nutre del sogno e della lingua scritta raffinata e passata attraverso il filtro delle più antiche tradizioni poetiche. Sia l'uno che l'altro hanno generato molti epigoni, soprattutto dalla metà degli anni ottanta a oggi, ma nessuno finora ha raggiunto il loro livello di eccellenza. Se si volesse riassumere l'estro poetico di Mario Rivero in pochi versi bisognerebbe citare uno dei suoi Poemi urbani o una delle Ballate su certe cose che non si devono nominare7, o uno dei suoi indimenticabili Tangos para Irma la Dulce. Per brevità scegliamo Una pequeña historia, che fa parte delle Baladas: UNA PICCOLA STORIA Ma non sarebbe giusto fissare Mario Rivero nell'immagine del poeta che è stato negli anni '60, '70 e parte degli '80. In seguito, come i grandi creatori che non smettono mai di cercare, Rivero ha cambiato registro. Da Los poemas del invierno (1984) in poi la sua voce si è fatta più dolce e malinconica; "alla luce di quella stagione che è anche un'età"8, la serenità e la bellezza della serenità calano sullo sguardo del poeta; e la sua poesia diventa contemplativa e riflessiva, a voce bassa e lenta:
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Vedi anche, in questo numero:
La poesia di Giovanni Quessep
di Martha Canfield