FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 1
gennaio/marzo 2006

Il filo spinato della memoria

EDUARDO MITRE
Versi d'autunno

di Antonella Ciabatti


Con nosotros se acuestan, con nosotros se levantan las
amorosas palabras.
Sólo el silencio las ama.

Con noi si coricano, con noi si alzano le amorose parole.
Solo il silenzio le ama.

Eduardo Mitre

Eduardo Mitre (1943) è uno degli esponenti di spicco della poesia boliviana contemporanea. La raccolta Versi d'autunno (Sinopia, 2005) da me tradotta, ripropone integralmente quella pubblicata nel 1993 con il titolo Líneas de otoño. Rigoroso e incisivo nello sguardo come nel linguaggio, Mitre convoca nei suoi versi temi cari alla poesia d'ogni tempo e d'ogni luogo: amore, eros, natura, memoria, assenza, silenzio, arricchiti dalla sensualità della sua voce. I suoi testi ricorrono in modo esplicito alla citazione, al riferimento, all'allusione letteraria e non solo. Rulfo, Cortázar, Vallejo, Lezama, Neruda, Baudelaire, Rimbaud, Whitman, Machado, Wang Wei, solo per fare alcuni nomi, sono prepotentemente presenti nell'opera poetica di Mitre, che non per questo è priva di una sua cifra inconfondibile. Cifra che rimanda alla sacralità quasi pagana della natura e del quotidiano attraverso la sua voce profonda e intensa, il linguaggio piano e conciso, il verso breve e spontaneamente ritmico, le immagini fortemente evocative, ottenute con accostamenti improvvisi, inattesi, che aprono finestre sulla nostra percezione del mondo, mentre una costante consapevolezza metapoetica indaga sul rapporto fra spazio e vuoto, fra parola e silenzio e crea ponti tra il presente e la memoria. A volte, come ne "L'albero", il poeta soffre per l'impotenza della parola. L'albero era quello che viveva e cresceva insieme al poeta e ai suoi fratelli nel cortile della casa di Cochabamba: un giorno è stato abbattuto e ora il poeta amorosamente ricostruisce un albero di parole. Ma invano. Le parole non evocano che una pura immagine, la realtà dell'assenza demolisce anche il ricordo e alla fine non resta, nella memoria e nei versi, che cielo deserto.
Una poesia, quella di Eduardo Mitre di grande immediatezza e di una trasparenza luminosa.

Nella traduzione, sia per cause oggettive che soggettive, si operano continuamente scelte che inevitabilmente condizionano la lettura. Dare conto delle proprie scelte di traduzione, offre a chi legge uno strumento in più per riuscire a intravedere nel testo d'arrivo, il testo originale.

In Húmeda llama (Umida fiamma), poesia che apre la raccolta con un'ardente atmosfera erotica, l'ossimoro presente nel titolo si sviluppa nelle strofe seguenti fino a svelarsi e, insieme, a riprodursi ancora più intensamente: Llama que moja y quema, / llama que llama: / tu lengua. Fiamma che bagna e brucia: la lingua, appuntita e rossa come una fiamma, passa sulla pelle dell'amante inumidendola di saliva e incendiandola di passione. L'ossimoro è chiaro ed evidente anche nella traduzione. Ma la lingua è anche l'organo che ci permette di articolare le parole e in particolare in questo contesto, di articolare il nome dell'amante, divenendo così una "fiamma che chiama", traduzione corretta che però perde completamente il gioco fra il sostantivo llama (fiamma) e la terza persona singolare del presente indicativo del verbo llamar (chiamare). Dell'identità llama / llama dell'originale, nella traduzione resta, ahimè, soltanto un'assonanza ...amma / ...ama.
In Líneas de otoño/Versi d'autunno, uno dei più intensi componimenti della raccolta (che non a caso porta lo stesso titolo), dove all'osservazione della stagione autunnale si intreccia la riflessione filosofica, la prima strofa si apre con una sinestesia, Luz líquida de otoño (Luce liquida d'autunno), su cui si fonda il gioco verbale e la nuova sinestesia dei due versi successivi en la copa de los árboles / beben los ojos (nella chioma degli alberi / bevono gli occhi).
Luce liquida e occhi che bevono non sono sinestesie rare: l'associazione della luce alla liquidità la si ricava anche da espressioni come "la luce scorre sulle cose" o "si allarga sul pavimento", per esempio. Mangiare con gli occhi o bere con gli occhi sono modi di dire che appartengono anche alla lingua corrente.
Eppure in questa strofa l'immagine degli occhi che bevono, assorbono, la luce autunnale affondando lo sguardo nel fogliame policromo degli alberi si sfuma e al tempo stesso si concreta nella polisemia del sostantivo copa che sta a indicare indifferentemente sia la coppa, recipiente in cui si beve, sia la chioma degli alberi, che, in effetti, soprattutto nelle latifoglie, richiama la forma semisferica della coppa-contenitore. Ovverosia, in spagnolo, la luce liquida d'autunno trova nella copa degli alberi il recipiente che può contenerla e in cui gli occhi potranno abbeverarsi, dando all'immagine una freschezza e una vivacità inedite.
Nella traduzione, la sinestesia iniziale, perdendo il tramite della copa del secondo verso va a riflettersi tale e quale nella sinestesia finale "bevono gli occhi" e dà vita a un'immagine suggestiva, ma non altrettanto efficace.


OTTO POESIE
 

Da Versi d'autunno

HÚMEDA LLAMA

Tu desnudez expuesta,
entera
como el pan en la mesa.

Beso a beso,
caricia a caricia, se dora
al sol del deseo.

Llama que moja y quema,
llama que llama:
tu lengua.

Arqueros enardecidos
disparan sus flechas
los cinco sentidos

Entre tus piernas el blanco:
carbón de sangre,
corazón de la hoguera.

Doble latido y un solo ritmo
como la vida y la muerte
al principio.

Caracol el oído: el oleaje
de los suspiros
y la marea de los ayes
y los suspiros.

La mirada se pierde.
Salivan las sílabas.
Las pupilas ascienden
en alta caída.

Memoria del vértigo:
hacia dentro el quejido
y tus ojos abiertos
enceguecidos.

Zumbido de abeja:
el silencio
de vuelta
sin haberse ido.

Te descubro a mi lado
todavía temblando
como recién rescatada
de un naufragio
o de un incendio.

Y tienen de nuevo sed
de nombrar los labios:
la almohada, tu cabellera,
una pared de ladrillos,
un trozo de cielo: tribus
con rumbo desconocido.

Cruzan el aire ya quieto
tu nombre y el mío.
A recordarnos han vuelto,
a recrearnos los mismos.

Sobre el tiempo intacto
nuestros cuerpos tendidos,
expuestos al vacío,
melancólicamente plenos.

*****

DESDE UN PUERTO

Ese barco era un árbol
y ahora el mar piadoso
en cada ola le borra
el recuerdo de un pájaro.

Así, en cada amante,
al indefenso ausente
- sin rumor ni sangre -
el tiempo borra.

El tiempo, y el mismo amor
que, ávido de ser,
hunde su memoria en otra piel
y a un cuerpo en otro inmola.

Olvidar es morir
y renacer otra persona.

*****

PRÓLOGO AL PRESENTE

Abre los ojos. Despierta:
el Paraíso está aquí
en la luz pasajera.

Es (no hay otro) esta tierra:
mesa de encuentros,
cuna de ausencias.

El Paraíso está aquí.
Abre los ojos
que abran sus puertas.

Despierta. Está aquí.
No es la dicha.
Es la presencia.

*****

EL ÁRBOL

Hoy derribaron al árbol
que nos acompañó tantos años.
Sin más venda que una nube
la herida azul del espacio.

Palabra a palabra,
hoja por hoja,
vuelvo a plantarlo
en el huerto de la memoria.

Pero en vano.

No pasa el viento por su follaje
o pasa sin tocarlo.
No dora la luz sus hojas
ni en sus ramas
se posan los pájaros.

Ya pura imagen el árbol
sin fruto ni canto.

Como la realidad rugosa
hambre de sueños,
sed de su sombra
padece mi cuerpo.

Alzo los ojos y sólo veo
un incendio de alas.
Y al fondo:
        el sol sediento
errando sin raíz en su desierto.

*****

EL ALTIPIANO

Aquí donde la piedra
es retrato del tiempo

y el espacio
el único árbol

y su follaje: nubes
y sus frutos: astros.

Y el viento:
sólo viento.

*****

LAS ACENDOSAS

Frente a las mismas cosas
juntas madrugan
la luz y la memoria.
Mientras una las alumbra,
la otra las nombra.

*****

EL SILENCIO

Pradera donde pastan las palabras.
Fuente en que la música
se baña
                           toda desnuda.

*****

LÍNEAS DE OTOÑO

Luz líquida de otoño:
en la copa de los árboles
beben los ojos.

No pasa el verano, no.
Arde, eso sí, y en mil ascuas:
el otoño es su húmeda llama.
Del verde
              al amarillo
                            al rojo
arde como el alcohol,
como la vida de Rimbaud,
como el cuerpo cambiante
de la pasión.

Pasa el viento
como siempre pasa en el otoño:
haciendo caer las hojas.
Y en cada rama brota
la transparencia del invierno.

Me observan curiosos
desde la misma rama:
la ardilla y el tordo.

El cuarto de hotel.
En la ventana: el jilguero
también de paso.

Lección del otoño:
¿asirse a la tierra
o desprenderse de todo?

Árboles desnudos:
hojas las alas
y los pájaros frutos.

Los versos de Wang Wei,
desgajo uno,
lo injerto y prende bien:
Otoño corto: el crepúsculo.

Hormiguero de astros.
Sola
         la luna
con fulgor prestado.
Pero no importa.
Ya lo dijo
Antonio Porchia:
Nadie - ni aún el sol -
es la luz de sí mismo.

El invierno a la puerta.
El vino. La amistad
de los amigos
distantes o muertos.
Digo sus nombres:
oigo sus voces.

Los niños de Somalia:
muda se quedará la página
y a oscuras mi casa
si no salto a otra línea.

El fresno:
silencio
de pie.

Sea agita - barca su cuerpo -
mi mujer dormida.
¿El viento en su sueño?

La luz de la lámpara.
El poema:
árbol de palabras.
Contigo hablarán del otoño
si tu voz las despierta,
si las palpan tus ojos.

UMIDA FIAMMA

La tua nudità esposta,
intera
come pane sul tavolo.

Bacio dopo bacio,
carezza dopo carezza, si dora
al sole del desiderio.

Fiamma che bagna e brucia,
fiamma che chiama:
la tua lingua.

Arcieri incandescenti
scoccano frecce
i cinque sensi

Tra le tue gambe il centro:
brace di sangue,
cuore del falò.

Battito doppio e un ritmo solo
Come la vita e la morte
al principio.

Conchiglia l'orecchio: il fluttuare
dei sospiri
e la marea degli ah!
e i sospiri.

Lo sguardo si perde.
Le sillabe salivano.
Le pupille si alzano
in un'alta caduta.

Memoria di vertigine:
in dentro il gemito
e i tuoi occhi aperti
ottenebrati.

Ronzio d'ape:
il silenzio
ritorna
senza essersene andato.

Ti scopro al mio fianco
ancora tremante
come appena scampata
a un naufragio
o a un incendio.

E hanno di nuovo sete
di nominare le labbra:
il cuscino, i tuoi capelli,
un muro di mattoni,
un pezzo di cielo: tribù
dalla rotta sconosciuta.

Attraversano l'aria ora quieta
il tuo nome e il mio.
Di nuovo si ricordano di noi,
ci ricreano tali e quali.

Sul tempo intatto
i nostri corpi distesi,
esposti al vuoto,
malinconicamente pieni.

*****

DA UN PORTO

Quella nave era un albero
e ora il mare pietoso
in ogni onda le cancella
il ricordo di un uccello.

Così, in ogni amante,
il tempo cancella
-senza rumore né sangue-
l'indifeso assente.

Il tempo e l'amore stesso
che, avido di essere,
immerge la memoria in una pelle nuova
e un corpo a un altro corpo immola.

Dimenticare è morire
e rinascere altra persona.

*****

PROLOGO AL PRESENTE

Apri gli occhi. Svegliati:
il Paradiso sta qui
nella luce effimera.

È (altro non c'è) questa terra:
punto d'incontri,
culla d'assenze.

Il Paradiso sta qui.
Apri gli occhi
che aprano le sue porte.

Svegliati. Sta qui.
Non è la felicità.
È la presenza.

*****

L'ALBERO

Oggi hanno abbattuto l'albero
che ci aveva accompagnato tanti anni.
Senz'altra benda che una nube
la ferita azzurra dello spazio.

Parola per parola,
foglia a foglia,
lo pianto di nuovo
nell'orto della memoria.

Ma invano.

Non passa il vento fra le sue fronde
o passa senza toccarle.
Non dora la luce le sue foglie
né sui suoi rami
si posano gli uccelli.

Ormai pura immagine, l'albero
senza frutto né canto.

Come la realtà rugosa ha
fame di sogni,
sete della sua ombra
patisce il mio corpo.

Alzo agli occhi e vedo solo
un incendio di ali.
E in fondo.
        il sole assetato
che vaga senza radici

*****

L'ALTIPIANO

Qui dove la pietra
è ritratto del tempo

e lo spazio
è l'unico albero

e il suo fogliame: nubi
e i suoi frutti: astri.

E il vento:
solo vento.

*****

LE MASSAIE

Davanti alle stesse cose
s'alzano insieme, presto,
la luce e la memoria.
Mentre una le illumina,
l'altra le nomina.

*****

IL SILENZIO

Prateria in cui brucano le parole.
Fonte in cui la musica
fa il bagno
                           tutta nuda.

*****

VERSI D'AUTUNNO

Luce liquida d'autunno:
nella chioma degli alberi
bevono gli occhi.

Non passa l'estate, no.
Arde, piuttosto, in mille braci:
l'autunno è la sua umida fiamma.
Dal verde
              al giallo
                            al rosso
arde come l'alcool
come la vita di Rimbaud,
come il corpo cangiante
della passione.

Passa il vento
come sempre passa d'autunno:
facendo cadere le foglie.
E su ogni ramo sboccia
la trasparenza dell'inverno.

Mi osservano curiosi
dallo stesso ramo
lo scoiattolo e il tordo.

Stanza d'albergo.
Alla finestra: il cardellino,
anche lui di passaggio.

Lezione dell'autunno:
barbicarsi alla terra
o staccarsi da tutto?

Alberi nudi:
foglie le ali
e gli uccelli frutti.

I versi di Wang Wei,
ne stacco uno,
lo innesto e prende bene.
Autunno breve: il crepuscolo.

Brulichio di stelle.
Sola
         la luna
con fulgore prestato.
Ma non importa.
L'ha già detto
Antonio Porchia:
Nessuno - neanche il sole -
è la luce di se stesso.

L'inverno alle porte.
Il vino. L'amicizia
degli amici
lontani o morti.
Dico i loro nomi:
sento le loro voci.

I bambini somali:
muta resterà la pagina
e al buio la mia casa
se non salto a un altro rigo.

Il frassino:
silenzio
in piedi.

Si agita - barca il suo corpo -
nel sonno la mia donna.
C'è vento nel suo sogno?

La luce della lampada.
Una poesia:
albero di parole.
Con te parleranno dell'autunno,
se la tua voce le sveglia,
se le toccano i tuoi occhi.

Eduardo Mitre, Versi d'autunno (Venezia, Sinopia, 2005, pagg. 156, s.i.p., a cura di Antonella Ciabatti, con testo originale a fronte e una postfazione di Luis H. Antezana)



Eduardo Mitre EDUARDO MITRE

Eduardo Mitre (Oruro, Bolivia, 1943) ha studiato Giurisprudenza a Cochabamba e successivamente letteratura in Francia e negli Stati Uniti (dove attualmente risiede e insegna). La sua vasta produzione poetica, tradotta in diverse lingue, comprende, tra l'altro, le raccolte Morada (1975), Ferviente Humo: 1966-1968 (1979), Mirabilia (1979), Desde tu cuerpo (1984), El peregrino y la ausencia (1988), La luz del regreso (1990), Lineas de otoño (1993), Camino de cualquier parte (1998), El paraguas de Manhattan (2004). Tra le opere di critica letteraria si devono ricordare: Huidobro: hambre de espacio y sed de cielo (1981) e l'imprescindibile trilogia dedicata alla poesia boliviana moderna e contemporanea: El árbol y la piedra. Poetas contemporáneos de Bolivia (1988); De cuatro constelaciones. Ensayo y antología (1994); El aliento en las hojas. Otras voces de la poesía boliviana (1999). Dal 1999 è membro della Academia Boliviana de Lengua.

 

antonellaciabatti@hotmail.com