Pubblicato in Messico dall’Universidad Autónoma de Nuevo León [Contra] dicción è l’ultima raccolta poetica del messicano Luis Armenta Malpica (Città del Messico, 1961) di cui in Italia è uscito (a mia cura) Chiamatemi Ismaele (Finalista nel 2019 al Premio Internazionale Camaiore), libro nel quale, con maestria, l’autore fa dialogare la balena Moby Dick con diverse opere letterarie caricando i naufraghi dell’io poetico in una dimensione acquorea e avventurosa.
[Contra] Dicción è stato pubblicato nel 2022 dopo aver vinto, come inedito, il “Premio Iberoamericano de Poesía Minerva Margarita Villareal”. Un libro denso e nettamente differente dal libro precedente Enola Gay pubblicato in Spagna nel 2019 da Vaso Roto Ediciones e di cui avevo parlato (e tradotto diversi testi) sul numero 55 della rivista Fili d’aquilone. In questo nuovo lavoro c’è una significativa virata linguistica e poetica, tanto che a tratti sembra quasi di leggere un romanzo filosofico in versi che espone tesi, discute con autori, analizza, c’è persino un processo, riflette su definizioni… come se il poeta avesse avvertito il bisogno e l’urgenza, passati i sessant’anni, di fare il punto della situazione (non solo personale), ovvero di riassumere la sua vita di poeta, editore, artista e sciogliere alcuni nodi in “contraddizione” con i luoghi comuni o con quelle che un tempo erano le proprie personali certezze.
Un libro meno poetico di quello precedente ma molto forte, coinvolgente che sfiora la confessione o la sfida totale della confessione. Come affermava Dino Campana, un “grande poeta” non vale nulla se non è “puro”, ovvero se non rivela con totale sincerità poetica (e passione) quello che sente, vede e ascolta nelle sperdute profondità della propria mente: i lati oscuri, sepolti, persino la follia o il dolore più acuto, indicibile, quello che ci pone difronte alla morte come se fosse una gelida amica. In fin dei conti, scrive il poeta, le ombre sono il tempo che ricoprono la gioia “senza intaccarla”.
Luis Armenta Malpica qui si rivela poeticamente con una voce diversa, più sommessa ma sempre ironica e affilata: l’unica che può davvero ricavare qualcosa andando al di sotto dello strato di ghiaccio per poi aggallare nuove peculiarità sulla vita, le sue sfumature e storture e sempre stando nel versante di chi vuole percepire le cose nella loro interezza o dalla parte del miope che fatica a mettere a fuoco ogni particolare ma questo impegno, costante e umile, rende poi più lucida la visione, come nel testo “Claridad del miope”.
La poesia come specchio e “campo minato” ci svela uno sguardo obliquo sulla vita e anche sulla morte. Questo già accadeva nel libro precedente (come nel testo “Caballos desbocados”), ma qui c’è un approccio diverso che rasenta, per tornare all’inizio di questo scritto, un dialogo filosofico, percussivo, un distacco quasi scientifico allo scopo di non distorcere le carte e allora ogni parola risulta come raschiata del superfluo, resa inevitabile, essenziale. Così da scavare nel proprio malessere, nel passato e nel presente, per andare ancora più a fondo nella poesia, nel linguaggio e nelle vaste contraddizioni sociali di questo nostro tempo post-pandemico che non trova un suo equilibrio e sembra volerci far tornare indietro per paura di affrontare il presente, le diversità, i rapidi cambiamenti, le nuove problematiche sociali ed economiche. Un po’ come accade nel romanzo (qui citato in una epigrafe) di J. M. Coetzee Aspettando i barbari: il dolore è la verità, tutto il resto è soggetto al dubbio. Coetzee, che intitola il suo romanzo come una stupenda poesia di Kavafis (tutto è circolare, come gli ellepì, i vecchi long playing), anche lui (il grande poeta greco) a sua volta qui più volte citato, anzi c’è una poesia che si intitola proprio “Aspettando i barbari”, che alla fine non arrivano e forse non ci sono più o si sono trasformati in migranti, ma resta – ben saldo – l’oceano oscuro dentro di noi, con le sue contraddizioni, le guerre, la violenza, lo smarrimento, le paure e il desiderio inappagabile di chiarezza.
POESIE DI LUIS ARMENTA MALPICA da [Contra] dicción Messico, 2022
DECLARACIÓN DE PRINCIPIOS
Este juicio comienza
una serie de ensayos
con la felicidad
como una luz
insuficiente
para cubrir las sombras
pero dispone del don
de reducir
en su recogimiento
los desvelos del hijo.
No me importa si la poesía
resulta transparente
o es oscura
mientras sirva de espejo.
A fin de cuentas
las sombras son el tiempo
que recubren mi gozo
sin mellarlo.
Al fin y al cabo
no son estas palabras
las que observo
sino lo que tú escribes
en el fondo del libro.
DICHIARAZIONE DI PRINCIPI
Questo processo inizia
una serie di prove
con la felicità
come una luce
insufficiente
per rivestire le ombre
ma dispone del dono
di limitare
nel suo raccoglimento
le preoccupazioni del figlio.
Non mi interessa se la poesia
risulta trasparente
oppure oscura
purché faccia da specchio.
Dopotutto
le ombre sono il tempo
che ricoprono la mia gioia
senza intaccarla.
In fin dei conti
non sono queste parole
ciò che osservo
ma quello che tu scrivi
alla fine del libro.
[DOS]
El hombre: esa otra
cárcel, la condición que lo limita a estar
entre dos
líneas. Sin traspasarse. Sin trasvasar
su sed. Péndulo
de la saliva al semen
de la voz que conquista al relámpago ciego
en su sola existencia. Esa otra
sensación de no estar detenido y sin
embargo, sin
el deseo que lo embarga y rea
firma en su cuerpo uniforme, esa
piel es nada
más la rueda en la que gira
el golpe
que lo im
pulsa
en su virilidad hasta encontrarse
a escasos once pasos del otro
hombre: esa otra
condición, sin límites
que llamamos
amor
si se está
quieto.
Pero al moverse
agita sus nenúfares
y da la espalda
al hombre
en un disparo.
Se escucha ese raspar del fósforo
en el césped.
Estalla con fuerza vocinglera ese mar de nenúfares.
Festeja de la saliva al semen al contrario
lo que no queda
libre. El amor
tan redondo
como dios a los pies
y que ahora mismo calla
porque voy
a patearlo.
[DUE]
L’uomo: quell’altra
prigione, l’attributo che lo limita ad essere
tra due
linee. Senza oltrepassarsi. Senza travasare
la sua sete. Pendolo
dalla saliva allo sperma
della voce che conquista al fulmine cieco
nella sua sola esistenza. Quell’altra
sensazione di non essere fermo e pur
tuttavia, senza
il desiderio che lo invade e ri
conferma sul suo corpo uniforme, quella
pelle è niente
altro che la ruota su cui gira
il colpo
che lo sti
mola
nella sua virilità fino a ritrovarsi
a meno di undici passi dall’altro
uomo: quell’altra
condizione, senza limiti
che chiamiamo
amore
se si resta
fermi.
Ma quando si muove
agita le sue ninfee
e volta le spalle
all’uomo
in una frecciata.
Si sente il grattare del fosforo
nel prato.
Esplode con forza quel mare di ninfee.
Festeggia dalla saliva allo sperma il contrario
di ciò che non resta
libero. L’amore
così rotondo
come un dio ai piedi
e che ora se ne sta zitto
perché sto andando
a prenderlo a calci.
[OCHO]
Yo, jugador, a orillas de tus ojos
miro nacer la libertad. Lo digo
como si en el principio se conociera el mundo, la muerte
lo que nace con uno y dejamos
a ciegas en la página en blanco. Un punto
que tiene diez hermanos para leer distinto
lo que acaso apuntamos por la prisa de comenzar el juego.
Habría bastante por decir si en lugar del poema rodara
una cabeza, un alfiler, el ojo de la aguja. Cabría lo suficiente
para meter el pie y sacar una historia
contraria a cada paso. El reloj
que distingue si avanzas en el tiempo o lo retrasas
mientras piensas qué harás
cuando termine el día
y quedemos los ocho de familia. Cada uno
la muesca de una bala
disparos a la sien
–ruleta rusa–
de quien nos mira a solas.
Yo tan huérfano
de madre desde que murió papá. Nenúfar
y deseo. Yo espectador
a orillas de una gota
que salta hacia el vacío
y rebota en el césped
miro correr
en ese mar de glóbulos
la vieja apelación a mi sentencia.
[OTTO]
Io, giocatore, sulla sponda dei tuoi occhi
guardo nascere la libertà. Lo dico
come se all’inizio si conoscesse il mondo, la morte
ciò che nasce con uno e lasciamo
alla cieca sulla pagina bianca. Un punto
che ha dieci fratelli per leggere diversamente
ciò di cui forse prendiamo nota per la fretta di iniziare il gioco.
Ci sarebbe molto da dire se invece della poesia rotolasse
una testa, uno spillo, la cruna dell’ago. Ci starebbe spazio
per infilare il piede e tirar fuori una storia
contraria a ogni passo. L'orologio
che riconosce se avanzi nel tempo o lo blocchi
mentre pensi a cosa farai
quando la giornata sarà finita
e rimaniamo gli otto di famiglia. Ognuno
la tacca di un proiettile
spari sulla tempia
– roulette russa –
di chi, stando solo, ci osserva.
Io così orfano
di madre da quando è morto mio padre. Ninfea
e desiderio. Io spettatore
sulle rive di una goccia
che salta nel vuoto
e rimbalza sul prato
guardo correre
in quel mare di globuli
il vecchio appello alla mia sentenza.
LO QUE DEJA LA MUERTE
Perdemos al morir
esa tilde de la palabra más
y estamos en el pero de una voz misteriosa
inacabada
inacabable
como la música que nos acompañó
mientras dormíamos. Sueño
de más
convertido en un adversativo
adversario
diverso
a cuya sombra recogemos el llanto
que tardara en salir del propio
oscuro que en el significante de otros
significa que ya
no hay marcha atrás
pues impajaritable
esa tilde voló
a otros cielos más húmedos
pero cielos
al fin
sin fin
como nosotros. Un
acento que dejará su huella
palpitando
en el aún que se nos niegue incluso
en el silencio seco de la arcilla.
Y arderá si recuerdas
(me) recuerdas
o simplemente dejas
caer un fruto del árbol
que hay en ti
multiplicado en esta
sorda tarde inacentuada
inadecuada
para que nos muramos.
Porque entonces quién
canta
si en unas pocas horas
quedamos sin aliento
sin acento
ni luz.
QUEL CHE LASCIA LA MORTE
Al morire si perde
quell’accento della parola più
e siamo nel però di una voce misteriosa
incompiuta
interminabile
come la musica che ci ha accompagnato
dormendo. Sogno
extra
diventato un avversativo
avversario
diverso
alla cui ombra raccogliamo il pianto
ritardato nell’uscire dal proprio
buio che nel significante degli altri
vuol dire che ormai
non vi è retromarcia
perché inevitabile
quell’accento volò
verso altri cieli più umidi
ma cieli
finalmente
senza fine
come lo siamo noi. Un
accento che lascerà la sua impronta
palpitando
nell’ancora che ci verrà negato perfino
nell’asciutto silenzio dell’argilla.
E brucerà se ricordi
(mi) ricordi
o semplicemente lasci
cadere un frutto dall’albero
che c’è in te
moltiplicato in questa
sorda sera non accentata
inadeguata
per condurci alla morte.
Perché allora chi
canta
se in poche ore
restiamo senza fiato
senza accento
né luce.
CLARIDAD DEL MIOPE
Nos vemos como nos comportamos
antes de abrir los ojos. Sin que melle la esquiva
caridad de la luz en esas cosas que toman su lugar
al secarse un suspiro. Ese océano que nace con nosotros
y demuestra su poderío abreviado, su potencia de sal
desde el comienzo.
Y no digo la luz
sino su pensamiento, la idea
que ilumina la gota y transparenta
ese humilde lugar en que permanecemos
para beber un sueño, dura tierra que aparece
a los pies y reivindica nuestro deseo de andar. De ser
el paso que se prende del polvo
y se apaga de sol.
En este desconcierto
me distingo feliz bajo mi sombra. Ni los mejores
hombres cargan su propia antorcha
ni renuevan la caza
entre la nieve.
En el espejo
de Dios solo se ve el demonio. Donde las cosas
quedan, las huellas, sí, las gotas permanentes
de una luz vuelta piedra, relieve
cicatriz en el blanco
en ese humor acuoso del camino
que muestra un laberinto circular y perpetuo
como los discos de antes. Una canción que empieza
y no termina de escucharse, aunque se haga el silencio
y cerremos los ojos a la muerte del día que es nuestra
indeterminación. La manera más sabia
la más feliz, acaso, de comportarnos
al levantar la vista al alud
de lo vivo.
CHIAREZZA DEL MIOPE
Ci vediamo secondo come ci comportiamo
prima di aprire gli occhi. Senza che la sfuggente carità
della luce possa intaccare le cose che prendono il loro posto
al seccarsi di un sospiro. Quell’oceano che nasce con noi
e dimostra il suo ristretto potere, la sua potenza salina
fin dall’inizio.
E non dico la luce
ma il suo pensiero, l’idea
che illumina la goccia e traspare
quell’umile luogo in cui indugiamo
per berci un sogno, dura terra che appare
ai piedi e rivendica il nostro desiderio di proseguire. Di essere
il passaggio che si accende di polvere
e si spegne di sole.
In questo smarrimento
mi riconosco felice sotto la mia ombra. Nemmeno i migliori
uomini portano la propria torcia
né rinnovano la caccia
tra la neve.
Nello specchio
di Dio si scorge solo il demonio. Dove restano
le cose, le impronte, sì, le gocce permanenti
di una luce divenuta pietra, rilievo
cicatrice sul bianco
in questo umore acquoso della strada
che mostra un labirinto circolare e perenne
come i vecchi ellepì. Una canzone che inizia
e non finisce di ascoltarsi, anche se si fa silenzio
e chiudiamo gli occhi alla morte del giorno che è la nostra
indeterminazione. Il modo più saggio
il più felice, forse, di comportarci
nel sollevare lo sguardo al flusso
di ciò ch’è vivo.
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Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini
Luis Armenta Malpica è nato a Città del Messico nel 1961 ed è poeta, saggista e direttore di Mantis Editores. Dal 1974 vive a Guadalajara. Ha vinto diversi premi per la poesia, in patria e all’estero, tra i quali si distaccano: “Poesía Aguascalientes” (1996); “Nacional de Poesía Ramón López Velarde” (1999); “Nacional de Poesía Efraín Huerta” (1999); “Jalisco en Letras (2008); “Nacional de Poesía José Emilio Pacheco” (2011); “Internacional de Literatura Sor Juana Inés de la Cruz” (2013); “Encuentro de Poetas Enrique González León (2016); “Jaime Sabines-Gatien Lapointe” (Canada-Messico, 2017); Premio Internacional de Literatura “Ileana Espinel Cedeño” (Ecuador, 2019); Premio Iberoamericano Bellas Artes de Poesía “Carlos Pellicer” para Obra Publicada (Messico, 2020), Premio Iberoamericano de Poesía “Minerva Margarita Villarreal” (Messico, 2021). Ha ricevuto diversi premi anche come editore.
Ha pubblicato più di venti libri di poesia, i più recenti sono: El agua recobrada (antologia, Spagna, 2011), Envés del agua (Messico, 2012), Papiro de Derveni (Messico, 2013), Llámenme Ismael (Messico, 2014), The Drunkenness of God (Usa, 2015), Götterdämmerung. Antologie minime (Canada-Messico, 2015), Götterdämmerung. Antología personal (Ecuador, 2015; Messico, 2017), Greetings to the Family (Messico, 2016), Voinţa Luminii (Romania, 2017), Enola Gay (Spagna, 2019), [Contra] dicción (Messico, 2022) e l’antologia Esto no es un bestiario (2023).
Suoi testi poetici sono stati tradotti in diverse lingue e inseriti in antologie messicane e straniere; si veda quella italiana Dalla parola antica alla parola nuova. Ventidue poeti messicani d’oggi (Raffaelli, 2012, a cura di Emilio Coco). In Italia inoltre sono apparse le raccolte poetiche, in edizioni bilingue, Volontà della luce (Sentieri Meridiani, 2011, a cura di Emilio Coco) e Chiamatemi Ismaele (Edizioni Fili d’Aquilone, 2019, a cura di Alessio Brandolini - Finalista Premio Internazionale Camaiore).
alexbrando@libero.it
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