FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 64
luglio 2023

Estate

 

MARCO TESTI, RISVEGLI

di Alessio Brandolini



Perdersi nei meandri della vita per poi ritrovarsi o, meglio, “risvegliarsi” e portare avanti i propri giorni con pienezza e in modo più consapevole. Aguzzare lo sguardo per riuscire a vedere al di là delle apparenze, non lasciarsi ingabbiare nelle cose inutili, dal superfluo per riuscire a scorgere l’essenziale, quello che davvero conta, per dialogare con sé stessi e con gli altri in modo autentico e sincero.
Questa la tematica portante di Risvegli, felice esordio in narrativa del critico letterario Marco Testi che tanti saggi letterari ci ha donato, come ad esempio Sentieri nascosti pubblicato nel 2019 da Edizioni Fili d’Aquilone.

Il protagonista di questa storia è un intellettuale, un professore che ha dedicato i migliori anni della sua vita allo studio, alla lettura accanita e appassionata e un giorno, all’improvviso, decide di salire in macchina e partire, di mollare tutto, di lasciare la casa, di andarsene lontano ma senza una meta prestabilita. Si ritrova a parlare con una donna in un luogo un po’ buio ma ampio, probabilmente una chiesa sconsacrata. Qui riposa, si mette al caldo, al sicuro e via via ascolta le storie delle persone che gravitano intorno a questo ambiente, persone a lui del tutto sconosciute. Uomini eccentrici che gli raccontano la propria vita, l’inquietudine che li ha portati (anche loro) via da casa per tentare un nuovo percorso e dare una sterzata alla propria esistenza, per dare una svolta radicale ai propri giorni. Svolgere un lavoro faticoso, meno retribuito eppure più onesto e magari meno stressante, senza attese, né aspettative di “carriera”. Una compagnia teatrale, un coro che se ne va in giro per il mondo e allestisce il proprio spettacolo, monta il palco, le luci, le sedie, si sposta in continuazione di città in città, di piazza in piazza. Portando un po’ di felicita e ricavandone il necessario per vivere, per comprare del cibo e l’essenziale per andare avanti. Per poi smontare tutto e ripartire in cerca di un altro luogo che possa accoglierli. L’importante è fare qualcosa di buono per gli altri e stare insieme in armonia, seguitare a girare, a conoscersi meglio, a non riempirsi la testa di illusioni, ansie, ipocrisie. Fuori dalle abitudini e rituali del lavoro programmato, dei luoghi comuni, senza compromessi né accomodamenti che sminuiscono e poi ci fanno sentire non in armonia con il mondo, con noi stessi e generano paura, confusione, inquietudine.

Una trama semplice, alla base di un romanzo complesso, tendenzialmente filosofico, esistenzialista e che sa immergersi e affrontare temi vasti e urgenti della nostra contemporaneità sempre più persa dietro il virtuale, la tecnologia massmediatica che esalta l’apparenza, lucida la superfice e oscura la profondità.
Una storia che ha in sé qualcosa di onirico, come un viaggio dentro la propria anima e in questo ricorrere spazi ristretti ricorda il Viaggio intorno alla mia camera che Xavier de Maistre pubblicò nel 1795: l’occhio che indaga il piccolo (ogni oggetto) per scovarvi un disegno e un significato universale. Qui la stanza è una chiesa abbandonata e intorno al protagonista gravitano persone, non cose, persone che narrano la propria vita ma tutto si svolge in questo luogo, in un punto preciso che prova ad abbracciare il tutto. Nel romanzo ci sono momenti in cui sembra che il protagonista stia vivendo in un sogno e ce lo stia raccontando. Si stacca da un sé che non lo convince più e vorrebbe essere un altro, vorrebbe essere altrove o tornare a essere ciò che era da giovane quando ancora credeva nel mondo, nella cultura, negli altri ma le persone con le quali parla sono concrete, non sfumano, al contrario sono ricche di dettagli, mandano odori, modulano la voce e il romanzo, pagina dopo pagina, ne mette a fuoco la visione, la concretezza, l’umanità. Voci e storie che si intrecciano e si tessono in un romanzo corale.

I girovaghi vagano per il mondo e recitano i medievali Carmina Burana che in toni goliardici e satirici esprimo il rifiuto della ricchezza e la condanna del potere fine a sé stesso. C’è chi deride la compagnia, eppure questo non li sfiora: sono tutti un po’ strani ma autentici come se conoscessero così bene la vita da poterla affrontare senza paura, a testa alta, anche le distorsioni che contiene, il male che serpeggia nella società. Sono eccentrici ma sinceri, unici e non incasellati in ruoli prestabiliti e/o telecomandati.

I dialoghi sono fitti e coinvolgenti, si parla e si ascolta molto: ricordi, racconti, emozioni, distacchi, dolore, crisi e insoddisfazioni. Un fiume in piena di vita vissuta che sommerge il protagonista (e con lui il lettore), lo tocca in profondità, lo fa riflettere e alla fine lo lascia meno solo: c’è una sintonia di fondo, tra girovaghi e protagonista, una somiglianza che li avvicina, li affraterna. E questo coinvolgere il lettore perché fa riflettere sulle scelte personali, di ciascuno di noi: quelle generali (il lavoro, la carriera, la famiglia) e quelle del giorno dopo giorno: la gestione delle ore, dei pensieri, del tempo libero, la propria (e segreta) vita interiore che troppo spesso mettiamo da parte, la rinneghiamo. Così la fragile sicurezza che ci siamo assicurati, i falsi e fragili valori, le abitudini che recano quiete ma assopiscono la fantasia, i sentimenti, smorzano lo sguardo, gli interessi, la solidarietà, l’altruismo. Si guarda senza vedere. Le radici vengono tagliate e allora si scopre che l’essenziale è altrove e occorre mettersi in viaggio pur restando, magari, nello stesso luogo (una stanza, una chiesa abbandonata) ma liberando i pensieri, i sentimenti, le percezioni profonde di quello che siamo, di tutto ciò che ci circonda. Occorre mettersi in viaggio per “risvegliarsi”.

Lo sguardo sull’umanità abbraccia anche la storia dell’occidente degli ultimi decenni, di un progresso che donandoci una vita più comoda in qualche modo ci ha impoveriti, ci ha resi più deboli, ci ha regalato tanta tecnologia ma ha ampliato il vuoto dentro di noi e il distacco tra gli esseri viventi, tra l’uomo e la natura. Così c’è il rischio di sprofondare nel nulla e nell’abisso. Abbiamo tutto e ci manca tutto, afferma il protagonista del romanzo di Marco Testi e se questo è vero salta l’ordine delle cose, saltano le priorità e allora si sale in macchina e ci si perde, ci si allontana da ciò che siamo. Si cerca un abbraccio, un dialogo sincero, un sorriso che contenga il sole e ci si immerge nello stupore delle cose semplici: un dialogo, un letto dove dormire, un canto, un pasto condiviso. Una parola buona.

Risvegli è un romanzo solido e compatto che scava in profondità grazie a un linguaggio preciso e lucido, un romanzo apparentemente statico, ma occorre seguire le storie dei girovaghi narrate al protagonista per entrare nelle loro vite e nei loro cuori e allora ci sono diramazioni, un’infinità di strade da percorrere, sentieri dove inoltrarsi e occorre farlo con partecipazione, ascoltare le voci e vedere i loro volti (immaginandoli con passione) così da poter entrare in uno spazio più grande che abbraccia l’intera umanità.


UN BRANO DA RISVEGLI


Si rese conto che, anche se gli fosse stato spontaneamente proposto, un civile letto non lo avrebbe mai fatto dormire. Una panca, invece. L’essenziale. Milioni buttati per alcove a baldacchino, riempite di piume e ornate di preziosi tessuti, quando la terra o un banco di legno avrebbero donato sogni più leggeri. E la pace.

Gli sembrò stupido, ma nel dormiveglia capì tutto. Capì persino perché stava scappando. Non era per lei. Né per il lavoro. Era per quello che si era finora nascosto dietro le cose, e che non si vedeva più se non aguzzavi lo sguardo, il vero sguardo, quello che non vede e non si vede. Però continuava il suo lavorìo, sotto, sotto, nelle radici, a informare di sé questo mondo, come il suono dell’inizio, l’eco della grande origine che è celata in ogni cosa. Era il troppo, l’eccesso, era il ridicolmente superfluo. Il perdersi dietro cose non solo inutili, ma in grado di perdere te.

La bestia aveva cambiato aspetto. Non marcava più il territorio per sopravvivere, ma per togliere agli altri. Per mangiare l’altro.

Ebbe per un attimo la visione di quello che gli uomini intendevano per inferno. Intravide un sorriso antico, invitante, quasi fraterno. Troppo. È tutto qui, sentì echeggiare in un recesso al centro profondo di sé. Non c’è altro. Riposa e godi. Non ne avrai per molto.

Un brivido lo passò da parte a parte. E intuì il senso della caduta.

– Se sei stanco puoi dormire qui.

La donna gli indicò un pancone al centro della parte finale della navata. Leggeva nei suoi occhi il combattimento tra la paura e altro, che non era solo cortesia, lui lo capiva. Era qualcosa di più, il non lasciare nelle tenebre, il coraggio di accogliere il solitario e il viaggiatore.

Gli fece luce con la lanterna, che lasciò ai piedi della panca. Andò a prendere una coperta di tessuto grezzo e gliela porse. Un’altra gliene fu offerta come guanciale per appoggiare la testa.

Ubbidì più alla stanchezza che all’invito della donna, senza più rendersi conto della situazione paradossale, del dormire su un letto improvvisato di fronte a un’estranea e in casa di sconosciuti. Una chiesa. Guardò negli ultimi lacerti del confine tra veglia e sonno ancora una volta quel volto.

Si accorse con meraviglia che il viso di lei sembrava non avere quasi espressione, o per lo meno non ne aveva di quelle nervose, esplicite, cangianti di gran parte delle persone che conosceva, abituate a correre dovunque, a chiudere un discorso con te per iniziarne un altro veloce e frettoloso con altri, a pensare cento e cento cose insieme, nessuna delle quali capace di offrire tregua e pace. A mimare ciò che non valeva perder tempo a dire.

Le si intravedevano i capelli scuri di tra le pieghe del mantello che le ricopriva testa e spalle. Lunghe, folte sopracciglia segnavano la sommità del volto in ombra quasi completa e accentuavano la sensazione di taglio orizzontale dell’arcata. Anch’essi occhi senza tono, se non quello dello studio dell’attimo, del pericolo per sé e i suoi, tesi alla scelta del momento, della necessità, che lasciavano tuttavia passare una sorta di luce calma e composta. Ebbe la sensazione di essersi avvicinato a qualcosa di ignoto e insieme familiare, i lampi di già sentito o visto quando riaggallano in noi inquietanti sensazioni se ci tornano alla coscienza profumi o parole o ascoltiamo dentro di noi oscure consonanze con persone mai apparentemente vedute.


Marco Testi, Risvegli, introduzione di Tito Schipa Jr., Robin Edizioni, 2023, pagg. 202, euro 14.




Marco Testi
È nato a Tivoli e ora vive in Sabina. È stato docente a contratto di Letteratura Italiana presso l’università di Cassino e alla facoltà di Scienze della Formazione dell’Aquila. Ora insegna nella facoltà di Scienze religiose A. Trocchi di Nepi-Civita Castellana, collegata con la Pontificia Università Lateranense. Conduce da molti anni ricerche sulla concezione di spazio nella letteratura italiana e sui rapporti tra scrittura e arti figurative tra fine Ottocento e primo Novecento. È critico letterario per l’agenzia SIR, collabora con la rivista “Segno”, l’Osservatore romano, la Civiltà cattolica.
Nel 2007 è uscito il suo volume Altri piani, altre valli, altre montagne - La deformazione dello spazio narrato in «Con gli occhi chiusi» di Federigo Tozzi (Pensa Multimedia), che analizza la scrittura “cubista” e visionaria di Tozzi. Nel 2009 ha pubblicato Tra speranza e paura: i conti con il 1789 (Giorgio Pozzi Editore). Altri suoi volumi: Il romanzo al passato. Medioevo e invenzione in tre autori contemporanei (Bulzoni, 1992), Frammenti d’Occidente. La scrittura tra mito e modernità (La voce del tempo, 2003), sul rapporto tra concetto di tradizione e letteratura moderna, e Il poeta, il suo tempo, la città (Fermenti, 2014), su Camillo Sbarbaro. Nel 2019 è uscito Sentieri nascosti (Edizioni Fili d’Aquilone) con prefazione di Franco Ferrarotti. In Una città come mito (Chicca, 2000) e nei suoi libri su Ettore Roesler Franz e i viaggiatori-artisti del Gran Tour, ha approfondito il rapporto tra simbolismo, scrittura e immagine.
Ha pubblicato, su riviste internazionali, saggi su Michelstaedter, Pirandello, Croce critico letterario, i rapporti Campana-D’Annunzio, Caproni, il simbolismo del castello medievale nella narrativa contemporanea, Landolfi, Garrone e altre figure della letteratura italiana. È suo il capitolo “La voce di Rebora alle porte del silenzio” in La Bibbia nella letteratura italiana (Morcelliana, 2009), collana diretta da Pietro Gibellini. È stato insignito del premio Ettore Roesler Franz 2019 per i suoi volumi e le mostre sul paesaggista romano e i rapporti con la cultura di fine Ottocento.
Nel 2023 il suo esordio nella narrativa con il romanzo Risvegli (Robin Edizioni).

alexbrando@libero.it