FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 61
luglio 2022

Partenze

 

L’ARTE E IL CAMMINO DI PLACIDO SCANDURRA
In un recente libro di Carla Guidi

di Marco Testi



Placido Scandurra è uno degli artisti più rilevanti nel nostro panorama culturale: lontano dal chiasso mediatico, in assoluta comunione con la natura dell’appennino laziale, alla ricerca continua delle radici dell’essere. La sua ricerca, non solo artistica, come è normale che sia in un creatore nel qui e nell’ora, è un sentiero attraverso l’essere non contrassegnato, come capita a molti, da proclami assertivi e mediatici, ma dalla contemplazione e dalla preghiera.
Il suo passaggio attraverso le inevitabili increspature del tempo, le correnti, gli ismi, le tendenze, è stato sempre contrassegnato, e questo è uno dei punti di maggior interesse della sua produzione, da una poetica autonoma rispetto al Crònos, e da tecniche non debitrici unicamente di quelle tendenze.

E oggi questo cammino autonomo è riconosciuto unanimemente non solo dalla critica di settore, ma anche dalla narrativa, come accade con questo Lo sguardo della Sibilla. Dal Daimon all’Anima Mundi: la poetica di Placido Scandurra di Carla Guidi, anche lei artista, ma anche saggista, oltre che autrice di racconti in cui l’elemento biografico, non solo quello auto, disvela il cammino della cultura italiana dagli anni Sessanta in poi.
Qui l’elemento che colpisce subito è il ricorso all’estraniamento brechtiano, con una prima persona, quella di Scandurra, che dirige il corso degli eventi narrati, in una sorta di biopic in cui voce narrante e second self si rincorrono creando talvolta interrogativi su quale sia il reale punto di vista della narrazione.

Narrazione che attraversa, come si diceva, la biografia di Scandurra fin dalle origini siciliane. Qui emerge il primo motivo significativo della narrazione, quello della mediterraneità. Se infatti un termine – elemento da non abusare perché limita e circoscrive le poetiche artistiche autoriali – può essere adatto a comprendere in pieno la weltanschauung di Scandurra, esso è mediterraneità: intesa non come limite e adesione correntizia, ma come vera e propria creazione personale. In tutte le opere dell’artista, infatti, da quelle realiste a quelle simboliche e archetipiche, è evidente un substrato “materno” in cui tellus, mare, campagna, clima, segni somatici (che non vuol dire razza o limiti fisiognomici), immaginario mitico archetipo rendono un’opera di Scandurra riconoscibile tra mille.

È questo anche il racconto di un viaggio verso l’arte attraverso il sacrificio rituale del vecchio sé, in questo caso fatto di indigenza, ricerca di un luogo dove posare il capo, perché, come ci hanno insegnato le riprese romantiche e poi novecentesche, il viaggio è attraversamento del limen in cui possesso, benessere materiale, consuetudini borghesi debbono essere consegnati alla dimensione del prima per poter attraversare la soglia e penetrare nella dimensione non più solo passiva, ma anche creativa, parte attiva dell’universo in fieri.

Il libro di Guidi non è solo riflessione o biografia, ma anche passaggio attraverso un crònos fatto di letteratura, di musica, tutto ciò che ha contribuito a creare allora il percorso di chi cercava una ragione nella vita, e quindi Andy Warhol, e i Velvet Underground, ma anche il rock-blues degli Animals e di Brian Auger con i suoi sconfinamenti nel nuovo jazz fuso con le sollecitazioni contemporanee, da quelle folklorico-popolari a quelle atonali.

E soprattutto un cammino attraverso la Storia, fatto di guerra fredda, colpi di stato, come quello cileno, di contestazione e di terrorismo. E poi il contatto con l’India, divenuto un elemento dominante nella cultura alternativa e nell’immaginario collettivo, con il coinvolgimento degli stessi Beatles e la profonda immersione di Scandurra in una dimensione spirituale che lo porterà molto lontano e paradossalmente vicino, e all’incontro, la cui arte, dicevano, e cantavano De Moraes, il poeta Ungaretti e Sergio Endrigo, è quella stessa della vita, con l’altro, e con chi vi scrive ora.

La Sibilla è l’immagine dominante fin dalla copertina e dal titolo di questo libro, ma è anche il simbolo di quell’incontro, perché essa è non solo oggetto-soggetto di alcune opere scandurriane, ma uno degli archetipi di una città di quegli incontri, Tivoli, l’antica Tibur sabino-latina, in cui le componenti arcaiche e poi classiche si sono fuse con una natura che favoriva il culto della grande madre, dell’antro in cui ogni cosa sembra tornare, come direbbe Nietzsche, e in cui la profezia è ammissione di quel ritorno.

La sibilla, la cui memoria è – o forse sarebbe meglio usare il condizionale, vista la non concordanza degli archeologi e degli storici – consegnata a uno dei templi dell’acropoli, e qui torniamo al viaggio e all’arte, che sono una medesima cosa, se a viaggio diamo la valenza di ricerca interiore segno del ritorno dell’uguale, per alcuni, o dell’infinita varietà dell’arte, come quella di Scandurra, che nella transitorietà del segno iscrive l’eternità, antropica e divina, della ricerca di Senso nello sguardo.


Carla Guidi, Lo sguardo della Sibilla. Dal Daimon all’Anima Mundi: la poetica di Placido Scandurra, Robin Edizioni, 2022, 248 pagine con tavole a colori – foto di Sonja Peter – in appendice, 18 euro.

testimarco14@gmail.com