FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 58
luglio 2021

Amici & Avversari

 

JORDI DOCE, NOI NON C’ERAVAMO

di Stefano Pradel



Ho il piacere di presentare una piccola selezione, un puñado, di testi poetici tratti dal libro No estábamos allí del poeta spagnolo Jordi Doce. Anticipazione, questa, di un lavoro di traduzione paziente e diluito nel corso dei ultimi tre anni, e che, nell’autunno del 2021, troverà finalmente dimora presso Passigli con il titolo Noi non c’eravamo.

Il libro, che conta già una traduzione in inglese e una in rumeno, ha ricevuto in Spagna un’accoglienza a dir poco favorevole, inserendosi, sin dall’uscita nel 2016, nella lista dei libri di poesia in lingua spagnola più importanti dell’ultimo lustro. Si tratta, senza dubbio, di un’opera che esula, in parte, dalla produzione a cui Jordi Doce aveva abituato i propri lettori, ma totalmente coerente con il suo affermato lavoro di critico e, soprattutto, di traduttore di poesia angloamericana. L’anteriore ricerca di un verso sintetico, quasi lapidario (non a caso lo stesso Doce è prolifico autore di aforismi), lascia spazio a una contemplazione del reale più rilassata, più prossima a quel ritmo “prosastico” tipico degli autori statunitensi a cui Doce fa riferimento.

Rimane comunque un testo denso di tutte le preoccupazioni tipiche della scrittura di Doce, costantemente interrogata sulla natura finzionale dell’io lirico e delle maschere che lo costringono e, allo stesso tempo, lo liberano, permettendogli di esplorare, attraverso il linguaggio, angoli inaccessibili del reale. In questo senso, Noi non c’eravamo rappresenta un punto importante di arrivo e partenza nella traiettoria di Doce, e un punto di entrata privilegiato per il lettore che ancora non lo conosca.




POESIE DI JORDI DOCE
da No estábamos allí
Pre-Textos, Spagna, 2016


SUCESO

No estábamos allí cuando ocurrió.
Íbamos de camino a otra ciudad,
otra vida,
bajo un cielo cambiante que se movía con nosotros.
Cruzamos campos verdes, amarillos,
pueblos de gente suspicaz y cuervos impasibles,
y ni una vez echamos en falta nuestra casa
o sentimos nostalgia del pasado.
Así era el viaje:
por la noche silencio,
a la mañana niebla.
Una vez encontré un botón de hojalata en el bolsillo
y jugué a sostenerlo bajo el sol,
arrojando destellos a las altas espigas.
Luego fue una moneda usada
y tuvimos el paso franco en todos los controles.
Las llanuras de Europa son testigo.
Ellas saben también que algo ocurrió,
aunque nunca lo viéramos.
Íbamos de camino a otro país,
otra vida,
sin bultos estridentes,
sin lugar para el recuerdo.
Todo salía a nuestro paso,
ahora silencio y luego niebla.


ACCADIMENTO

Quando successe, noi non c’eravamo.
Eravamo in cammino verso un’altra città,
un’altra vita,
sotto un cielo volubile che ci seguiva il passo.
Attraversammo campi verdi, gialli,
borghi guardinghi e corvi indifferenti,
e nemmeno una volta ci mancò casa nostra
o avemmo nostalgia del passato.
Il viaggio era così:
la notte era il silenzio,
l’indomani la nebbia.
Un giorno trovai nel taschino un bottone di latta
e giocavo a tenerlo sotto il sole,
lanciando balenii alle spighe mature.
Poi fu moneta usata
come salvacondotto a ogni posto di blocco.
Le pianure d’Europa ne sono testimoni.
Sanno che qualcosa successe,
anche se non lo abbiamo mai visto.
Eravamo in cammino verso un’altra città,
un’altra vita,
senza bagagli in vista,
senza spazio per il ricordo.
Ogni cosa ci si apriva dinanzi,
ora silenzio e dopo nebbia.


CON LOS OJOS ABIERTOS A LA ORILLA DEL MUNDO

Wide awake on the edge of the world…
STEVE HOGARTH

Fueron los tiempos de la nueva austeridad.
Lunas rotas en los escaparates
y el viento atravesando los relojes;
rostros que los espejos no apresaban
y palabras manchadas por el hambre.

Los perros iban y venían por el barrio
imitando las formas grotescas de los árboles.
En sus paseos dibujaban una selva de aromas
y al fondo de la selva un templo reluciente,
lleno de pájaros que nunca oiríamos.

Todo el mundo salía con maletas,
estábamos en tránsito sin ganas de viajar.
Lejos de la sospecha de los patios
el cielo planteaba ecuaciones incomprensibles
como el habla de los amantes.

Muchas veces el sol brilló por su ausencia,
muchas veces lo hicimos brillar en sueños.
Cada día durante un año
llegaron cartas de lugares por descubrir,
cartas en blanco para mi padre muerto.

Y el cartero, con las primeras luces,
descansaba en un banco de la esquina
para calmar su sed
en la niebla insistente
que mordía sus pasos.


CON GLI OCCHI SPALANCATI AI LIMITI DEL MONDO

Wide awake on the edge of the world…
STEVE HOGARTH

Erano i tempi della nuova austerità.
Lune infrante nelle vetrine
e il vento che attraversa le lancette;
volti che negli specchi non si afferrano
e parole macchiate dalla fame.

I cani avanti e indietro per le strade
imitano i profili stravaganti degli alberi.
In quel viavai si figura una selva d’aromi
nel cui profondo splende un tempio
pieno d’uccelli che mai udiremmo.

Tutti quanti portavano un bagaglio,
di passaggio, senza voglia d’andare.
Lontano dal sospetto dei cortili
il cielo proponeva equazioni cifrate
come la lingua degli amanti.

Spesso il sole splendé per la sua assenza,
spesso lo facemmo splendere in sogno.
Per un anno, ogni giorno,
arrivavano lettere da posti inesplorati,
lettere vuote al mio defunto padre.

E all’alba riposava, su una panca
all’angolo, il postino,
per placare la sete
nella nebbia insistente
che mordeva i suoi passi.


PIEDRA

A Edmundo Garrido

Vine para estar cerca de la piedra

—la piedra que aguarda en cualquier camino,
anónima y fiel,
que vio durar soles, planetas, prodigios
remotos,
que sufrió el castigo de vientos volubles
y fue deshojándose, menguando sencillamente,
descuidando sus confines
por los siglos de los siglos,
balbuciendo en sueños con la boca llena

—la piedra que estaba dentro de sí misma,
luchando por aflorar

—la piedra que poco a poco se convirtió en grumo,
en grano,
en polvo de escoria que el aire se lleva lejos
y desciende aquí, donde no hay camino,
vistiendo mis ropas y hablando en mi nombre.


PIETRA

A Edmundo Garrido

Venni per stare vicino alla pietra

– la pietra che attende su tutte le strade
anonima e fedele,
testimone della durata
di soli, pianeti, prodigi
remoti,
che patì il castigo di venti incostanti
e si fu consumando, restringendosi semplicemente
senza badare ai suoi confini
nei secoli dei secoli,
balbettando in sogno con la bocca piena

– la pietra che stava dentro se stessa,
in tumulto per affiorare

– la pietra che poco a poco divenne grumo,
granello,
polvere di scoria che l’aria solleva lontano
e ricade qui, dove non c’è strada,
indossando i miei stracci e parlando a mio nome.


PRIMER ACTO

–Aquí estás, con las ruinas.
–Es mi sitio.
–¿Llegaste por tu cuenta,
o alguien movió los hilos sin querer?
–Brillaban como nieve.
Eran copos que el viento
mecía en breves remolinos.
–Es triste el espectáculo
de la repetición, el agua
desnutrida.
–Nadie me dijo nada.
–Nadi era la contraseña.
–Hablas como si fuera irremediable.
–Hablamos por hablar, o así parece.
–Pero el niño que hablaba con el cuervo
no decía lo mismo.
–El niño se perdió en el bosque.
–Huellas
y más huellas en círculo,
como una diana…
–Lo recuerdo.
Era una tarde de septiembre
y el calor arreciaba:
polen sucio, álamos orgullosos
como lenguas de fuego.
–Lo recuerdo. Había tres caballos
en lo alto de una colina.
–Lo recuerdo:
el mundo estaba en calma y la casa en silencio.
–Pero el niño que dibujaba cuervos
vivía en esa casa.
–Era una mella en el mirar,
una mota de polvo en el ojo indefenso.
–La vi más tarde,
posada sobre nuestros nombres
en el libro de entradas de la clínica.
–Allí, junto a los árboles nevados,
fuimos felices.
–Pero el niño que alimentaba al cuervo
era el dueño y señor de los pasillos.
–Lo sabes.
–Más allá de los árboles no hay nada.
–No. Sí. Quiero decir que has vuelto.
–Aquí estoy, con las ruinas.
–Nunca te fuiste.
–Siempre lejos, siempre volviendo a casa.


ATTO PRIMO

– Eccoti qua, tra le rovine.
– È il mio posto.
– Ci sei arrivato con le tue forze
o hanno tirato i fili senza volerlo?
– Luccicavano come neve.
Erano fiocchi che la brezza
cullava con fugaci turbinii.
– È triste lo spettacolo
della ripetizione, l’acqua
denutrita.
– Nulla mi è stato detto da nessuno.
– Nessuno è la parola d’ordine.
– Parli come non ci fosse rimedio.
– Parliamo per parlare, o così pare.
– Il bimbo che parlava con il corvo
non la pensava uguale.
– Il bimbo si perse nel bosco.
– Impronte
e ancora impronte in circolo,
come un bersaglio…
– Me lo ricordo.
Era una sera di settembre
e il caldo diventava più forte:
polline sudicio, pioppi orgogliosi
come lingue di fuoco.
– Me lo ricordo. Tre cavalli stavano
in cima alla collina.
– Me lo ricordo:
il mondo era tranquillo e la casa in silenzio.
– Eppure il bimbo che disegnava i corvi
viveva in quella casa.
– Era un’incrinatura nello sguardo,
del pulviscolo nell’occhio indifeso.
– Lo notai solo dopo,
una volta posato sui nostri nomi
nel registro d’entrata della clinica.
– Laggiù, vicino agli alberi innevati
fummo felici.
– Ma il bimbo che nutriva i corvi
era signore e padrone
di tutti i corridoi.
– Lo sai.
– Al di là degli alberi non c’è nulla.
– No. Sì. Intendo dire che sei tornato.
– Eccomi qua, tra le rovine.
– Non te ne sei mai andato.
– Sempre lontano, sempre sulla via del ritorno.


Traduzione dallo spagnolo di Stefano Pradel




Jordi Doce (Gijón, 1967)
è poeta, critico e traduttore. Dottore di ricerca presso l’Università di Sheffield, è autore di numerosi articoli, saggi e monografie. Riceve il Premio de ensayo Casa de America con il libro Imán y desafío, del 2005, a cui seguiranno La ciudad cosciente (saggio dedicato a Eliot e Auden) del 2010 e il più recente sforzo, La puerta verde. Lecturas de poesía angloamericana contemporánea (2019), tra gli altri. Al suo impegno come critico si accompagna un intenso lavoro come traduttore dalla lingua inglese (Blake, Auden, Carson, Simic tra gli altri).
Come poeta si distingue sin da subito con la silloge La anatomía del miedo (Premio Antonio González de Lama nel 1993), a cui seguono Diálogo en la sombra (1997), Lección de permanencia (2000), Otras lunas (2002), Gran angular (2005), Poética y poesía (2008) e l’antologia Nada se pierde (2015).
Per finire, vanno segnalate anche due raccolte di aforismi (Hormigas blancas e Perros en la playa, del 2005 e del 2011 rispettivamente), genere che coltiva in maniera assidua. Al momento risiede a Madrid, dove dirige la collana di poesia della casa editrice barcellonese Galaxia Gutenberg.
Ha un blog personale, che si trova all’indirizzo jordidoce.blogspot.com


stefano.pradel@hotmail.com