FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 57
gennaio-aprile 2021

Oasi

 

LAWRENCE FERLINGHETTI: UNA VOCE IRRIDUCIBILE DELLA CONTRO-CULTURA AMERICANA
Scompare all’età di 101 anni uno degli
ultimi intellettuali della Beat Generation

di Marco Fazzini




Fin dall’inizio della sua carriera, Lawrence Ferlinghetti (1919-2021) non si era mai tirato indietro quando sentiva la necessità di denunciare corrotti e millantatori, reticenti e guerrafondai, lecchini e arrampicatori sociali, e lo faceva senza ricorrere alle urla degli invasati, o alla supponenza dei presuntuosi, ma neanche ricercando il plauso di politici, intellettuali e finanzieri. Lo faceva con la tenacia del gran lavoratore, con il gusto garbato e lungimirante dell’editore, con la semplicità linguistica che solo i grandi poeti raggiungono nella maturità, e con la visionaria sperimentazione dell’artista e del designer, ruoli che non escludono come soluzione all’ingiustizia l’uso della forza poetica e della provocazione.

Lo sguardo della sua poesia, come quello della sua arte pittorica, era capace di leggere attentamente la realtà che lo circondava, interessandosi di più a comunicare le problematiche della società piuttosto che le inquietudini personali. Infatti, proprio l’essere umano e le sue libertà individuali costituivano il cuore della sua scrittura: l’uomo deve essere scevro dai vincoli imposti dall’etica, dalla religione e dall’educazione per aspirare alla libertà, abbandonando le leggi tradizionali e lasciando che le immagini (poetiche e pittoriche) vagassero sospese in uno spazio surreale, spesse volte visionario. Achille Bonito Oliva così ha sintetizzato le sue osservazioni in merito, riferendosi non solo all’arte pittorica di Ferlinghetti: “L’invenzione di Lawrence Ferlinghetti scatta attraverso la continuità e l’accostamento imprevedibile di differenze linguistiche e di assonanze contrastanti, che non suscitano dissonanze o lacerazioni, non determinano campi di perturbazione visiva, ma fondano la possibilità di un’emergenza inattesa, attraversata e movimentata da una sensibilità leggera. L’opera di Lawrence Ferlinghetti è un microevento, che parte sempre più dall’interno dell’immagine, centro di irradiazione della sensibilità”.

Nato il 24 marzo del 1919, a Yonkers (New York), Lawrence Ferlinghetti, nel 1945 frequentò l’Università della Carolina del Nord, a Chapel Hill, dove si laureò in giornalismo, e prestò quindi servizio nella Marina Militare degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Più tardi, nel corso del conflitto, venne assegnato all’attacco trasporto USS Selinur nel Pacifico, e assistette in prima persona alle orribili rovine di Nagasaki azzerata dalla bruciante crudeltà della bomba atomica. Questa esperienza fu all’origine della sua opposizione permanente alla guerra. Nel 1947 conseguì un Master in Letteratura inglese presso la Columbia University e un dottorato all’Université de Paris Sorbonne. Quando nel 1950 dipinse la sua prima opera, non sapeva ancora se avrebbe fatto il pittore, il critico, l’insegnante, o lo scrittore. Eppure, non si può qui evitare di ripetere l’ovvia banalità che nell’appena sbocciato pittore si riusciva già a scorgere un famoso poeta, artefice del suo primo quadro ad olio, buttato giù di getto: “Deux”. Sarebbe rischioso, d’altro canto, considerare l’arte e la poesia - i due principali linguaggi espressivi di Lawrence Ferlinghetti - operando arbitrarie separazioni, e sembra che il nostro autore sia stato ben conscio che forse la combinazione di entrambe avrebbe potuto ovviare i rispettivi limiti, come già Leonardo da Vinci ironizzava: “Se tu dimanderai la pittura muta poesia, ancora il pittore potrà dire del poeta orba pittura”. In Ferlinghetti la poesia fu sempre la chiave di lettura dei suoi dipinti, quando le sue immagini rappresentarono la metamorfosi della parola scritta. Se la sua arte fu motore d’impegno sociale, di consapevolezza e di rottura contro la staticità delle istituzioni e l’esclusività della cultura, lo fu anche la poesia, attraverso convergenze spesso parallele.

Aprì la libreria City Lights nel giugno del 1953, in collaborazione con Peter Martin, figlio d’un anarchico italiano, Carlo Tresca, assassinato nel 1943. Al piano terra c’era la libreria, mentre al piano superiore la redazione della rivista di cinema e cultura popolare di Martin, “City Lights”, nome scelto in omaggio al film di Chaplin, Luci della città. Fu la decisione che gli cambiò la vita: non decise di vendere solo libri ma anche di pubblicare i primi lavori letterari d’una nuova generazione d’intellettuali e scrittori che vide sbocciare nelle strade della sua città: Kenneth Rexroth, Kenneth Patchen e Allen Ginsberg, lanciando una collana di poesia, la Pocket Poets Series, che di lì a breve divenne storica.
Nel 1955 riprese il cognome completo di Ferlinghetti, dopo che negli anni Trenta suo padre, di origini bresciane, lo aveva abbreviato in Ferling, morendo sei mesi prima della nascita di Lawrence.

Quando Ferlinghetti pubblicò la sua prima raccolta di poesia, Pictures of the Gone World, nella stessa serie poetica da lui ideata, il suo destino era già segnato. Non sappiamo la data esatta nella quale lo stesso Ferlinghetti incontrò l’amico Allen Ginsberg - forse nel 1954 o all’inizio del 1955 - nonostante entrambi tenessero al tempo diari e voluminosi taccuini; eppure, sembra che Lawrence fosse già impressionato da ciò che Allen gli mostrò, e lo stesso Allen, il 30 agosto, scrivendo a Jack Kerouac, accennò al fatto che la libreria City Lights stava pubblicando dei libretti di sole 50 pagine di poeti locali, e che forse avrebbe fatto uscire Howl l’anno successivo. La data è strategica, perché al tempo Ginsberg aveva completato solo la prima sezione dell’intera opera, e questo avvenne almeno un mese prima della famosa lettura alla Six Gallery. Il resto è poi storia, veloce e duratura: la performance di Allen Ginsberg alla Six Gallery, con la quale diede voce alla sua opera ormai completa, impressionando amici e curiosi; le acide recensioni contro quel libro appena uscito, testimonianza che l’America conservatrice stava già additando Howl, rantolando nella bile del suo stesso perbenismo; la denuncia e il bando del libro, che poi aprirà uno scenario comunicativo e di marketing inaspettato; il processo e la vittoria che porterà notorietà non solo al poeta ma anche al suo editore, entrambi poi protagonisti della vampata che accese la miccia della Beat Generation.

Ferlinghetti non rinunciò mai, anche nei suoi dipinti, al pacifismo radicale e alla critica della politica, come non si sottrasse alla denuncia in poesia, soprattutto dopo aver vissuto in prima persona la spettrale visione d’una Nagasaki in ginocchio. Sapeva di certo che era innamorato della sua donna, Selden Kirby-Smith, che poi sposò nella contea di Duval, in California, nel 1951. Poi, colse l’occasione, tra il 1951 e il 1953, di insegnare francese e lavorare come critico letterario e pittore. Eppure, New York al tempo non rappresentava, e non inscenava per lui alcuna avanguardia, tranne quella jazz; così, decise di stabilirsi a San Francisco, dove ebbe l’idea di fondare la prima libreria e casa editrice americana di soli libri tascabili, la City Lights.

Uno dei testi più belli e commoventi di Lawrence Ferlinghetti, il recente Time of Useful Consciousness (2012), usava un “phrasal verb” inglese del tutto incendiario: SPEAK OUT = “alzare o levare la voce, parlare contro”. Si tratta d’un verbo spesso usato da Ferlinghetti all’imperativo, e con questo dava spesso uno scossone alla reticenza della piccola borghesia o dei perbenisti bigotti, o al qualunquismo causato dal banale nazionalismo quando questo si fa populismo, o alle piccinerie che rendono uomini e donne (scrittori, giornalisti, politici, elettori, ecc.) esseri asserviti alle logiche dei potentati. Ferlinghetti usò quel verbo anche nel titolo d’una sua poesia più che provocatoria, “Speak Out” appunto, per prima pubblicata come cartolina in tiratura limitata (e firmata) nel 2003, un vero e proprio sfogo contro il silenzio di tanti intellettuali inermi dopo la strage delle Torri Gemelle.

Solo due anni prima, nel 2001, leggendo un suo testo (“To the Oracle at Delphi”) scritto per la Giornata Mondiale della Poesia a Delfi, in Grecia - poi incluso nel volume San Francisco Poems (2001) e, in Italia, in Scoppi urla risate (2014/2019) - il poeta rifletté sull’era oscura d’una Europa in ginocchio, cosciente di provenire egli stesso dal Nuovo Impero mondiale - un impero molto più vasto d’ogni altro del passato, con le sue autostrade elettroniche, le sue monoculture, il suo monopolio linguistico operato grazie all’inglese della mondializzazione e del commercio -, indirizzandosi così all’oracolo di Delfi:

      O Sibilla da lungo tempo silente,
      Tu dai sogni alati,
      Pronunciati dal tuo tempio di luce
      mentre le costellazioni accigliate
      dal nome greco
      continuano a guardarci fisso dall’alto
      mentre un faro fa scorrere il suo megafono
      sul mare
      Pronunciati e fai risplendere su di noi
      La luce marina di Grecia
      La luce adamantina di Grecia

      (Ferlinghetti 2014/2019).

Nel corso del nuovo millennio, la sua disponibilità alla denuncia e alla provocazione non ha avuto reticenze, anche contro la stessa America che l’aveva accolto quale figlio d’emigrati: “Noi siamo i conquistadores/ Siamo i nuovi imperatori romani/ Stiamo conquistando il mondo/ È l’impero invisibile/del sorridente capitalismo rapace [...]” (“Blind Poet”); “Una cultura casinò fuori controllo/ Un buco nella sua anima di ozono/ Una lotteria Chi Vince Pigliatutto/ Un tiro a segno per i padroni della guerra” (“A Casino Culture”); “In un sogno dentro un sogno ho sognato un sogno/ in cui tutta la terra si seccava/ riducendosi a un tizzone bruciato/ per il celebre Effetto Serra/ sotto una volta di anidride carbonica/ soffiata fuori da un miliardo/ di infernali motori a scoppio [...]” (“Cries of Animals Dying”, in Ferlinghetti 2014).

Ferlinghetti è lapidario anche nel curioso libro Cos’è la poesia (2000/2002), una summa di riflessioni epigrammatiche sulla scrittura, sul mestiere del poeta, sulla coscienza che dovremmo osservare nella vita sociale e artistica. Eccone un frammento:

      Poesia è un’incursione sovversiva
      sull’obliata lingua
      dell’inconscio collettivo
Quel verbo, “speak out”, gli è sempre stato caro: Ferlinghetti l’ha usato lungo tutto il percorso della sua lunghissima carriera, e ne ha incarnato tutte le gradazioni emanate dall’alone di sinonimi e traduzioni che “speak out” può contenere. Si è trattato di alzare la voce non solo su eventi e situazioni apparentemente recenti ma su ogni vigliacco rifiuto di dire le cose come stanno, e sulla reticenza passiva nei confronti delle ingiustizie e degli stereotipi populisti.

Andando a ritroso, Larry Smith, nel commentare sul primo libro di Ferlinghetti Pictures of the Gone World (1955), osservava che l’autore, negli anni Cinquanta, già scriveva “come l’uomo contemporaneo della strada che alza la voce (‘speak out’) per profferire verità sull’esperienza comune, spesso al ritmo riflessivo del musicista jazz. Come ogni poeta d’oggi, cerca di far sì che la poesia sia un’arte orale e impegnata”. Un decennio più tardi, in “Bickford’s Buddha”, la voce poetica del testo descriveva le ore che precedono una lettura poetica a Boston, mappando tutti i luoghi comuni dell’America dei caffè e delle librerie circostanti l’Università di Harvard, a Cambridge, e passando in rassegna alcuni noti perbenismi che sembrano resistere quali bastioni ostinati contro ogni cambiamento dello status quo.

Nella prima poesia di Populist Manifestos, la cui prima versione era stata mandata in onda da KPFA/FM a Berkeley, e quindi recitata di fronte alla platea della Rutgers University-Camden, il 23 aprile 1975, Ferlinghetti se la prendeva ancora con la classe intellettuale, ed esortava i poeti a scendere dalle loro Torri d’Avorio e a recitare per la gente: “Smettete di mormorare e levate la vostra voce/ con una nuova poesia spalancata...” (“Stop mumbling and speak out...”), quindi invocando i suoi modelli-poeti-antenati che seppero praticare lo “speak out”: “Dove sono i figli selvaggi di Walt Whitman/ dove sono le grandi voci che urlano/ con un senso di dolce & sublime...” (“Where are Whitman’s wild children/ where the great voices speaking out/ with a sense of sweetness and sublimity...”); infine, scrive nello stesso testo: “La poesia non è una società segreta,/e nemmeno un tempio... È tempo di guardare avanti/ nella vera posizione del loto/ con gli occhi bene aperti./ Tempo ora di aprire le vostre bocche/ con un nuovo discorso aperto...”).

Sempre ironico, sardonico, contestatore, elegantemente sfrontato e coraggioso, Ferlinghetti è anche stato ladro palesemente dichiarato di citazioni da tanta poesia del passato distante e meno distante, abile rifacitore quando rielabora ad arte Cecco Angiolieri e Dino Campana, Walt Whitman e T. S. Eliot, Ezra Pound e Pier Paolo Pasolini, Dylan Thomas e William Burroughs, Woody Guthrie e W.B. Yeats. La sua è una tecnica a innesto, tanto meno seriosa di quanto l’alto modernismo di Eliot e Pound aveva proposto negli anni Venti del secolo scorso, comunque riepilogativa, e ante litteram rispetto alla smargiassa auto-ironia del postmoderno, sempre in sospeso tra citazionismo, collage, e ‘spoonerism’ (“gioco basato sulla sostituzione di poche lettere in una o due parole”).

Se Allen Ginsberg fu da subito, dopo la pubblicazione di Howl (1956), il leader e la star della nuova avanguardia americana, il 1958 decretò il successo poetico anche di Ferlinghetti. Dopo essere uscito indenne dal processo per Howl, il suo A Coney Island of the Mind fu considerato la sua opera più celebre nonché, a detta di alcuni critici, una delle raccolte poetiche più significative del Novecento, tradotta in seguito in tutto il mondo e venduta in oltre un milione di copie. Eppure, almeno fino agli anni Novanta, la sua poesia, più che negli Stati Uniti, diventò famosa in Europa, e in maniera più specifica in Italia e in Francia (dove la sua alleanza con George Whitman, il fondatore della Shakespeare & Co. a Parigi, è ormai mito storicizzato).

In Italia, nel 1968, s’interessarono a Ferlinghetti due personalità di spicco dell’anglistica e della traduzione italiane: Romano Giachetti (Coney Island della mente, Guanda, 1968) e Alfredo Rizzardi (Tremila formiche rosse, Guanda, 1968). Furono loro a dare inizio a una serie di traduzioni che negli anni Settanta presentarono al pubblico italiano sia il romanzo Her (Lei, traduzione di Floriana Bossi, Einaudi, 1970) sia una scelta di poesie, corredate da una bella introduzione curata dal poeta Roberto Sanesi (Poesie, Guanda, 1976), sia le sue poesie politiche (a cura di Nat Scamacca, Celebes, 1977), ben prima che Fernanda Pivano arrivasse a introdurre volumi importanti dell’americano (nel 1981 e nel 1995).

Come è ormai palese, in tutti i suoi libri la maggior parte dei testi sono spesso denuncia, sia quando largamente argomentativi sia quando telegraficamente epigrammatici; ma anche grido, scandalo additato, monito necessario per un’umanità ormai intrisa di qualunquismo, assoggettata ai grandi poteri del capitale e del consumismo, e ormai sull’orlo d’annegare nel pantano spietato nel quale il poeta (spesso un pescatore, o un cantastorie, o un cronista) lancia un’ultima lenza di speranza, interrogandosi sugli usi della poesia, come dice nel testo “Uses of Poetry”:

      E io sono il cronista di un giornale
      di un altro pianeta
      arrivato a riportare una storia terra terra
      sul Cosa Quando Dove Come e Perché
      di questa sorprendente vita quaggiù
      e degli strani clown che la controllano
      con le mani sui davanzali
      di tremende officine indemoniate
      che gettano le loro ombre oscure
      sulla grande ombra della terra
      alla fine di un tempo sconosciuto
      nel supremo hashish dei nostri sogni

      (Ferlinghetti 1993/1996).

In 70 anni di carriera, Ferlinghetti non è mai riuscito a essere superficiale, o linguisticamente fine a se stesso, come è risultato per più d’un poeta del gruppo Black Mountain, o del gruppo dei “L-A-N-G-U-A-G-E Poets”: la sua poesia è sempre arrivata diritto alla sensibilità del lettore, sia per il dettato argomentativo e musicale dei suoi versi sia per l’attualità delle sue tematiche. Non s’accontentò mai di risultare solamente divulgativo o jazzisticamente ritmico, o di cadere nella categoria della riscrittura contemporanea del “flusso di coscienza” - tecnica significativamente ripresa nella sua ultima opera in prosa, Little Boy; il suo gioco, altamente dotto e spesso ironico, conciso e icastico, ha fatto coincidere quasi ad ogni salto di verso una nuova congerie d’immagini e citazioni, tanto che la sua sovrapposizione di accumulazioni gli ha consentito più volte d’essere associato almeno a due noti esempi contemporanei: Bob Dylan e John Ashbery. In un’intervista con Rosanna Guerrini, pubblicata sul “Tempo” (18 gennaio 1969), rispondendo alla domanda su cosa pensa della poesia, Ferlinghetti dichiara ancora una volta il suo irrinunciabile impegno, la sua idea utopica che qualsiasi letterato o amante della poesia non può non condividere: “Penso che non si debba più usare il termine ‘poesia’ ma ‘messaggio orale destinato al pubblico’. Penso che le poesie bisogna gridarle, magari accompagnarle con complessi jazz e di musica indiana, insomma fare tutto il possibile perché questi messaggi orali riescano a cambiare un po’ la coscienza e il cuore dell’uomo”.



BIBLIOGRAFIA SCELTA

  • Bevilacqua, Emanuele. 1994. Guida alla Beat Generation. Roma: Theoria.

  • Faas, Ekbert. 1978. Towards a New American Poetics. Santa Barbara: Black Sparrow Press.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1955. Pictures of the Gone World. San Francisco: City Lights.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1958. A Coney Island of the Mind. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1961. Starting from San Francisco. New York: New Directions.

  • [Ferlinghetti, Lawrence]. 1963. Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg. London: Penguin Books.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1968. An Eye on the World. Selected Poems. London: McGibbon & Kee.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1969. The Secret Meaning of Things. New York: New Directions (trad. italiana : Il senso segreto delle cose. Roma: minimum fax, 2000).

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1971. Back Roads to Far Places. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1973. Open Eye, Open Heart. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1976. Who Are We Now? New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1978. Northwest Ecolog. San Francisco: City Lights.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1979. Landscapes of Living and Dying. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1980. A Trip to Italy and France. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1981. Endless Life: Selected Poems. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1981. The Populist Manifestos. Grey Fox Press.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1984. Over All the Obscene Boundaries. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1993. These Are My Rivers: New & Selected Poems. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1996. The Poet as Painter. Dipinti dal 1959 al 1996. A cura di Sandra Giannattasio. Roma: Progetti Museali Editore.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1996. Poesie. Questi sono i miei fiumi. Massimo Bacigalupo (a cura di). Roma: Newton Compton.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 1997. A Far Rockaway of the Heart. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2000. What Is Poetry? New York: New Directions (trad. italiana: Cos’è la poesia. Milano: Mondadori, 2002).

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2001. How to Paint Sunlight. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2001. San Francisco Poems. San Francisco: City Lights.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2003. Speak Out. San Francisco. Postcard (Limited Edition).

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2004. Americus. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2009. 60 anni di pittura / 60 Years of Painting. Giada Diano e Elisa Polimeni (a cura di). Milano: Silvana Editoriale.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2012. Time of Useful Consciousness. New York: New Directions.

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2014. Blasts Cries Laughter. New York: New Directions (trad. italiana: Scoppi urla risate. Roma: Edizioni SUR, 2019).

  • Ferlinghetti, Lawrence. 2019.b Little Boy. London: Faber & Faber.

  • Hoffman, Tyler. 2011. American Poetry in Performance. From Walt Whitman to Hip Hop. Ann Arbor: University of Michigan Press.

  • Jones, Peter. 1979. 50 American Poets. London: Pan Books.

  • Leonardo, da Vinci. 2006. Scritti scelti. Frammenti letterari e filosofici. E. Solmi (a cura di). Firenze: Giunti.

  • Morgan, Bill ed. 2005. I Greet You at the Beginning of a Great Career. The Selected Correspondence of Lawrence Ferlinghetti and Allen Ginsberg. San Francisco: City Lights Books.

  • Morgan, Bill. 2011. Beat Atlas. A State by State Guide to the Beat Generation in America. San Francisco: City Lights Books.

  • Perkins, David. 1987. A History of Modern Poetry. Cambridge (MA): The Belknap Press of Harvard University Press.

  • Pivano, Fernanda. 1976. C’era una volta un beat. Roma: Arcana.

  • Smith, Larry. 1983. “Lawrence Ferlinghetti”. Dictionary of Literary Biography, vol. 16, The Beats: Literary Bohemians in Postwar America, Ann Charters ed. Detroit: Cengage Gale, 199-214.

  • Waldman, Anne (a cura di), 2015. The Beat Book. Milano: Il Saggiatore.

  •  

    marcofazzini@hotmail.com