Stefano è un bambino come ce ne sono tanti; ha molti giocattoli con i quali trascorre gran parte della giornata nella propria cameretta: automobiline, costruzioni, pupazzi, videogiochi, soldatini. Non è un bambino cattivo, ma ha il brutto vizio di maltrattare i giocattoli e spesso cerca di aprirli per vedere come sono fatti dentro o che cosa li faccia funzionare. Seduto sul tappeto della sua camera, quel pomeriggio stava cercando di aprire la Ferrari radiocomandata, ma all’improvviso ebbe la sgradevole sensazione di essere osservato. Già, ma da chi, visto che in camera non c’era nessuno?
Facendo finta di niente Stefano guardò dappertutto finché i suoi occhi incontrarono quelli dell’orso di pezza seduto in fondo al letto. Era impossibile, gli animali di pezza non guardano i bambini, eppure, se Stefano si spostava, lo sguardo dell’orsacchiotto lo seguiva, non c’era dubbio.
Con aria indifferente Stefano si alzò e si avvicinò alla porta, ma questa si chiuse da sola con gran strepito, impedendogli di uscire dalla stanza. Adesso c’era davvero di che preoccuparsi.
- Dove credevi di andare? – gli domandò una vocina ironica.
- Chi parla? – gridò Stefano con aria minacciosa, brandendo la spada laser.
- Non fare tutte queste scene inutili, sai bene che sono io…e non dirmi che non ti eri accorto che ti stavo osservando.
- No, davvero - mentì Stefano, sempre più preoccupato.
- E allora perché hai tentato di scappare? – lo canzonò l’orsacchiotto, agitandosi sul letto.
- Non stavo scappando, volevo scendere in cucina a bere un bicchiere d’acqua…e poi io non ho paura di nessuno!
- Bravo! Chi ha la coscienza pulita non deve temere niente…dico bene, porta?
- Parole sacrosante, orso! – replicò una vocetta secca.
- Devi sapere che noi giocattoli andiamo molto d’accordo e ci aiutiamo a vicenda. Ci vogliamo molto bene e i mobili ci aiutano e ci proteggono come possono.
- Anche io voglio molto bene ai miei giocattoli e mi prendo cura dei mobili della mia stanza… - provò a dire Stefano, con un po’ di esitazione, ma le sue parole scatenarono un putiferio.
- Tu ci vuoi bene e ti prendi cura di noi? Hai dimenticato tutti i dispetti e le malefatte che hai combinato? Ma adesso ci pensiamo noi a rinfrescarti la memoria, vero, amici? - tuonò l’orso, che sembrava occupare una posizione di gran rispetto tra i giocattoli.
- Sì… sì… rinfreschiamogli la memoria! – strillarono vocine, vocette e vocione da ogni parte della cameretta.
Stefano non poté fare altro che salire sulla cassapanca e tentare di sottrarsi così all’avanzata dei giocattoli che sbucavano dappertutto e formavano un minaccioso corteo guidato dall’orso di pezza.
- Propongo che ciascuno di noi gli rammenti i dispetti e gli sgarbi dei quali è stato vittima, poi tutti insieme decideremo come castigarlo!
- Un momento, che castigo e castigo! – provò a protestare Stefano, al quale quella parola dava sempre molto fastidio, ma nessuno gli badò.
-Lasciate che cominci io…Stefano mi usa per fare la lotta e io sono tutto pieno di ammaccature e di rammendi – cominciò l’orso in tono cupo – e poi quando sua sorella gli chiede di lasciarla giocare con me, risponde sempre che non può perché lei mi rovinerebbe! Che faccia tosta, eh?
- Io sono un nobile strumento – intervenne il pianoforte – e quando Stefano fa gli esercizi di musica controvoglia, pesta sui miei poveri tasti come se fosse colpa mia!
- Ed io sono stanca di essere sbattuta con forza - si lagnò la porta – e non ne posso più di tutte le figurine adesive che mi appiccica addosso e che poi cerca di strappare quando non gli piacciono più, facendomi soffrire il solletico!
-Io era abituato a essere trattato con grande delicatezza e rispetto – esclamò il libro di favole – ma da quando sono caduto nelle mani di Stefano per me non c’è più pace. Mi ha mezzo staccato la copertina, spiegazza le pagine e ne piega un angolo per tenere il segno, ha persino cominciato a scarabocchiare le mie belle illustrazioni!
- Noi siamo sfiniti, lui non fa altro che montarci e smontarci – piagnucolarono i mattoncini delle costruzioni – ci mette insieme e poi si diverte a lasciarci cadere dall’alto per vederci andare in mille pezzi in ogni angolo della stanza.
- Noi siamo nate per correre e gareggiare, ma lui ci lancia a gran velocità sul tavolo per farci precipitare nel vuoto e le nostre belle carrozzerie sono tutte piene di ammaccature! - gridarono in coro le automobiline.
- Io sono un gioco tecnologico, molto delicato, e ho bisogno di essere trattato con cura, ma Stefano mi sbatacchia senza nessun riguardo, mi accende e spegne continuamente e mi fa impazzire! – strillò la Playstation, agitando minacciosa i cavi.
- A questo punto mi sembra che possiamo decidere quale sia il giusto castigo per tante malefatte! – strepitò l’orso, saltando sul letto. – Io propongo di prenderlo a sculacciate!
- Sì, facciamogli capire come ci si senta ad essere pestati! - concordò il pianoforte.
- Copriamolo di adesivi! – propose la porta, sbattendo allegramente.
- Riempiamolo di scarabocchi! – urlò il libro, facendo frusciare tutte le pagine.
- Rinchiudiamolo! – esclamarono i mattoncini.
- Facciamolo cadere dalla cassapanca! – strillarono le automobiline, avanzando in formazione compatta.
- Imprigioniamolo in un videogioco dal quale non possa fuggire! – sbraitò la Playstation.
Il caos e il baccano erano incontrollabili, ma improvvisamente si alzò un grido - Attenzione, il prigioniero tenta di fuggire!
- Arcieri del castello, colpitelo!
Stefano cercò rifugio sul tappeto, coprendosi il viso con le braccia per difenderlo dalle punture delle minuscole frecce che gli piovevano addosso dagli spalti del castello, costruito con sua sorella Benedetta il giorno prima. Improvvisamente quella confusione incredibile si placò e Stefano si accorse che le punture sulle mani e sulle braccia erano provocate dai baffi del gatto, che era entrato in camera e gli strofinava addosso il musetto, cercando di attirare la sua attenzione. Si guardò attorno, tutto era tranquillo e silenzioso. Che si fosse trattato solo di un brutto sogno? Prese in braccio il micio e decise di scendere in cucina per stare un po’ in compagnia della mamma e di Benedetta, ma, mentre chiudeva la porta della camera, ebbe l’impressione che l’orsacchiotto, seduto sul letto, gli facesse l’occhiolino.
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