FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 53
settembre/dicembre 2019

Immersioni

 

UN LIRISMO TERRIBILE E MERAVIGLIOSO
Jorge Galán, Mezzanotte del mondo

di Marisa Martínez Pérsico



Jorge Galán (El Salvador, 1973) è un autore prolifico il cui lavoro si muove agevolmente nel territorio del romanzo, della poesia, del teatro, della sceneggiatura televisiva o della letteratura per bambini. Ha vinto il Premio Ibero-americano 2011 Jaime Sabines, il Premio internazionale Antonio Machado 2009, il Premio Adonais 2006 e per tre volte il Premio Nazionale di El Salvador per la poesia, per il romanzo e per i racconti per bambini.

In una conversazione tenutasi all’Università degli Studi Guglielmo Marconi a Roma nel febbraio 2017 abbiamo parlato di Mezzanotte del mondo [Medianoche del mundo], un libro che ha vinto la XVI edizione del prestigioso concorso Casa de América (Visor, 2016) con il titolo Sotto la notte infinita di novembre che ha dato poi il nome alla prima sezione di questo libro bipartito e che è stato recentemente pubblicato in Italia da Edizioni Fili d’Aquilone, a cura di Alessio Brandolini. Lo scrittore nel corso della conversazione ha parlato dell’ambivalenza che prova per un paese “allo stesso tempo terribile e meraviglioso”, dell’esilio, dell’importanza dell’oralità familiare nell’architettura di suoi romanzi soprattutto in riferimento a La stanza in fondo alla casa (pubblicato da Mondadori 2016).

“La solitudine è una strada piena di viaggiatori”, “L’oblio è simile alla salvezza”, le code delle volpi “sono sciarpe che pendono dai rami”, lo zoccolo del bisonte “non può mai spezzare il rosso dei fiori”. Le metafore di Mezzanotte del mondo, anche le più impensabili, si riferiscono alla realtà politica del suo paese e si collegano alla sua condizione di esiliato. Durante la sua visita romana gli chiedo di spiegarmi alcune insolite metafore del mondo animale e i personaggi ricorrenti che abitano le sue poesie, come per esempio “Fortuna”, dove le persone vanno avanti con la loro vita quotidiana nonostante le minacce che si nascondono dietro i cespugli:

Ahora que mencionaste lo del bisonte, siempre me sorprende una cosa de El Salvador: es el país más peligroso del mundo, hasta hace poco teníamos veinticinco asesinatos al día y somos un país de poco más de seis millones de habitantes, es decir, uno de los más pequeños de América. Si vivís en El Salvador vivís en constante tensión. Sin embargo, pese a ello la gente continúa yendo a trabajar, continúa queriendo criar a sus hijos, continúa queriendo a sus hijos y haciendo cosas esencialmente buenas. Muchas personas, a pesar de la violencia, siguen conservando bondad en su corazón. Esa metáfora explica que a pesar de esa “bestia terrible” de la violencia hay una humanidad y una esencia que permanece, una bondad en las personas que no se quiebra. Eso me conmueve y me impresiona (Galán, 2017).
Una costante della poesia di Galán è la forza delle piccole cose. Le radici delle piante sono in grado di corrodere la pietra. Lo zoccolo del bisonte non riesce a strappare i petali di un fiore. C’è potere e resilienza nella presunta piccolezza. Se Carlos Fuentes, nel Nuovo romanzo latinoamericano, parlava del romanzo degli anni ’20 come un tipo di narrativa tellurica e folcloristica, in cui l’uomo veniva inghiottito dal paesaggio – la pampa, la giungla, la miniera, il fiume – e dove la natura esuberante e ostile ha finito per minacciare l’integrità dell’uomo, nel lavoro di Galán la natura è, al contrario, lo spazio di conforto. Il territorio del male è umano e urbano: le città sono piene di ombre, sagome minacciose e sicari. Quindi gli esseri viventi delicati come lucertole, albatri, cotusas, cervi, allodole, marmotte, orsi, pesci, colonie di insetti, palme, ninfee che abbondano nei suoi testi non dovrebbero essere interpretati come una semplice decorazione: sono il rifugio di un io spinto verso una realtà di violenza.

Mezzanotte del mondo è stata scritta pochi mesi dopo il suo romanzo Novembre (Tusquets, 2016), un’opera che combina narrativa e cronaca storica che tratta dell’omicidio di sei gesuiti – cinque dei quali spagnoli – e di due donne all’interno delle strutture dell’Università Cattolica, una mattina di novembre nel 1989. Minacciato e perseguitato, Jorge Galán ha dovuto lasciare il suo paese. A proposito del processo di scrittura, l’autore ci dice che:

Medianoche del mundo es un libro muy mío y muy de mi país. Sí tiene que ver con la novela: es un libro sombrío que escribí muy cerca de Noviembre, lo escribí pronto. Me tuve que ir a un país extranjero demasiado rápido y todo lo que veía me recordaba algo mío. Lo escribí completamente enfrascado en mis pensamientos, yo sentía que estaba con el alma y la cabeza en mi país y no podía alejarme de eso. Necesité expresarlo de alguna forma (Galán, 2017).
Come sottolinea Alessio Brandolini sul numero 47 della rivista Fili d’aquilone, “Galán torna spesso sui propri passi, la fa in tutta la sua opera: nella sua prosa, e viceversa”. La prima parte del libro, La notte senza fine di novembre, si concentra sulla fuga e sull’evocazione del pericolo che lo ha motivato. Nella seconda parte, Geografia, si incontrano personaggi che riflettono un dramma collettivo, per esempio: un padre al quale viene chiesto di concedere sua figlia di dodici anni; una donna sofferente; un bambino morto. Sono personaggi archetipici, cioè simboleggiano una frazione della società. Come sottolinea Luis García Montero nelle pagine del quotidiano infoLibre, di fronte a una realtà avversa il poeta ha solo la lingua per difendersi e ricostruire la propria identità.

Mezzanotte del mondo è un libro accuratamente elaborato in cui il potere delle immagini rafforza la crisi e l’angoscia: “Il tono tragico del libro usa il ricordo biblico per accentuare il senso di fatalità, perché il ragazzo della Croce Verde ucciso da sette spari non avrà tempo di perdonare e le trombe che chiamano la risurrezione dei morti incontreranno il nulla” (García Montero, 2017).

Brandolini ricostruisce accuratamente il tessuto storico e sociale salvadoregno che funge da cornice per il romanzo e le poesie di Galán:

El Salvador, tra i paesi più pericolosi del mondo, devastato da una guerra civile iniziata nel 1980, anno dell’uccisione dell’arcivescovo Óscar Romero, e terminata dodici anni più tardi dopo aver provocato oltre 80.000 vittime, per non parlare dei feriti, degli orfani, delle devastazioni. Un impressionante muro di marmo nero elenca, in un parco della capitale, tutti i nomi di questa mattanza. Ma la violenza non ha fine con questa data, così come è antecedente al 1980. L’amnistia del 1993 ha lasciato in liberta torturatori, mandanti e assassini, anche quelli che la notte del 16 novembre 1989 ammazzarono, all’interno dell’Università cattolica, sei frati gesuiti (di cui cinque di nazionalità spagnola) e due loro collaboratrici. Il governo in carica di Alfredo Cristiani incolpò dell’eccidio la guerriglia del FMLN (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional), ma fin da subito si sapeva che militari bene addestrati avevano compiuto il massacro. Di questo parla Jorge Galán nel romanzo Noviembre, pubblicato nel 2015 in Spagna, e fa i nomi degli assassini dopo una sua indagine personale e la confessione dell’ex presidente Cristiani. Da qui le minacce e il trasferimento a Madrid. Anche nella raccolta poetica Medianoche del mundo torna il clima di terrore presente nel romanzo Noviembre (Brandolini, 2017).{1}
A Roma, Galán mi racconta che l’omicidio di un giovane salvadoregno di quattordici anni lo aveva fortemente colpito. Si era arruolato nella Croce Verde, che è l’agenzia nazionale che svolge lo stesso lavoro umanitario della Croce Rossa nei comandi di salvataggio, proprio per sfuggire alla violenza “ma non è riuscito a fuggire e alcuni membri di una banda lo hanno ucciso. È terribile: non c’è modo di sfuggire alla violenza. E ho dovuto scrivere una poesia su questo ragazzo la cui storia mi ha impressionato” (Galán, 2017).

Per comporre Novembre sono stati necessari diversi anni di ricerca e di indagine documentaria, con registrazioni e interviste. È stato dopo aver visitato il Museo dei martiri gesuiti quando Galán decide di scriverlo. Ecco come descrive i suoi scopi:

Quise contar una historia humana, auténtica, de los jesuitas que se quedaron en un país en guerra. Quise traer a estos hombres al presente y contar la historia de un sacrificio real. Ellacuría y los demás podían estar en cualquier universidad, en cualquier país, pero decidieron quedarse en un país en guerra que asesinaba a sus sacerdotes, en un país del tercer mundo que no ofrecía nada. Fue una locura llena de amor y de ingenuidad a la vez. Ellacuría estaba en Barcelona cuando hubo una ofensiva militar en El Salvador, y aunque le advirtieron que no volviera, él lo hizo y lo mataron. Su idealismo y su amor por mi país es conmovedor. Es uno de los grandes pensadores del siglo XX. En El Salvador quedó un vacío grande: si con Monseñor Romero había quedado un vacío espiritual, con el asesinato de los jesuitas quedó un vacío también intelectual. Mi novela no es religiosa sino humana. Aunque se siguieron haciendo conmemoraciones en la UCA todos los noviembres yo notaba que los niños habían empezado a olvidar quiénes eran los jesuitas. Estábamos olvidándolos muy pronto. Quise traerlos. Quise mostrar todo lo valioso que habían hecho (Galán, 2017)
Un altro aspetto notevole di Mezzanotte del mondo è la ricostruzione del mondo dell’oralità. Troviamo poesie dialogiche davvero molto belle. È nella storia orale dove le cose terribili hanno origine e poi si fondono con la meraviglia, lo stupore che sono aspetti che caratterizzano la scrittura poliedrica di Jorge Galán. Ho avuto l’opportunità di chiedere allo scrittore l’influenza della trasmissione orale nella costruzione delle sue storie, un elemento che è chiaramente percepito nelle sue poesie ma anche in personaggi come Magdalena nel romanzo La stanza in fondo alla casa.
Yo fui un niño durante la guerra civil de mi país. Y aunque parezca paradójico, aunque presencié, viví cosas terribles durante la guerra, tengo muchos buenos recuerdos de esa época. Tengo recuerdos de tardes lluviosas y de mi abuelo contándome historias. Recuerdo que un día me contó que durante los años ’30 estaba trabajando en el Canal de Panamá y al final de la tarde vio que algo estaba emergiendo del agua: era un submarino alemán. Otro día me contó que estaba en un caballo y que al acercarse a un arroyo vio a una mujer que le pidió si podía acercarla a un pueblo, que era justo el pueblo adonde iba mi abuelo. Y cuando le dijo que sí la mujer subió a la grupa del caballo. Empezaron a andar y de golpe sintió unas uñas largas que empezaron a arañarlo y luego tuvieron una pelea porque la mujer se había transformado en monstruo. Esas eran muchas historias en las que él se situaba en primera persona, en situaciones completamente mágicas. Así que cuando yo empecé a escribir novela, lo que yo quería era contar las cosas del modo en que a mí me las habían contando cuando niño. Esa imitación me condujo a un tipo de narración que luego han dicho que es realismo mágico. O un acercamiento. O una renovación. Para mí es nomás eso. Nosotros como nación somos una nación a la vez terrible y maravillosa, donde puede pasar absolutamente todo, donde todo es posible, por extraño que parezca. Sí tiene mucho que vez con una veta mágica que tenemos y que permanece, de mucha imaginación, transmitida a través de la oralidad (Galán, 2017).
Limpide sono le tradizioni letterarie di cui si nutre il giovane Galán, lettore di William Faulkner e Gabriel García Márquez, nel suo ruolo di narratore per bambini, riconosce che la sua intenzione non è tanto quella di scrivere letteratura per bambini quanto di scrivere su argomenti fantastici e che quando aveva tra i 18 ei 20 anni con un gruppo di amici leggevano Philip Dick, Isaac Asimov, Tolkien, Ursula Le Guin, Lovecraft.

Ammiratore di William Carlos William, Derek Walcott e la Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, la sua voce è integrata generazionalmente nel gruppo “Poesia davanti all’incertezza” nata con il manifesto Difesa della poesia (2011) e consolidata con Poesia davanti all’incertezza. Un viaggio verso l’essenza (2012). I suoi membri, poeti di lingua spagnola, intendono scrivere una poesia chiara che si muove attraverso le emozioni, senza eccessi letterari che sfidano il lettore, in modo che lo spazio letterario e sociale vadano di pari passo. L’affermazione di Remedios Sánchez García secondo cui “l’attuale poesia spagnola e latinoamericana va quasi di pari passo nel processo evolutivo degli ultimi anni” è ben dentro l’itinerario poetico di Jorge Galán.

Per concludere, Mezzanotte del mondo, presentato a Roma il 18 ottobre 2019, è una raccolta poetica che fonde il dramma intimo con quello collettivo salvadoregno senza trascurare la cura della parola e del verso, da qui la sua grande bellezza lirica. La lettura di questo libro non lascia il lettore immune: lo spinge a riflettere sull’ingiustizia, sulla stessa scia dell’impegno civico e sociale del suo connazionale Roque Dalton (1935-1975). Quando il lettore ritorna a se stesso dopo la “coscienza presa in prestito” che questo libro gli dona, si sente cambiato, espanso.



{1}Poi ripreso dall’autore, con modifiche, nell’introduzione a Mezzanotte del mondo (Edizioni Fili d’Aquilone, 2019).



Roma, 18 ottobre 2019: presentazione di Mezzanotte del mondo
Francesco Tarquini, Jorge Galán, Marisa Martínez Pérsico, Alessio Brandolini


Jorge Galán, Mezzanotte del mondo, a cura di Alessio Brandolini, 2019, Edizioni Fili d’Aquilone, pagg. 132, euro 15.




POESIE DI JORGE GALÁN
da Mezzanotte del mondo


MATTINO DI NOVEMBRE

Novembre pende dalle finestre,
si stira e si congela. Le nuvole grigie di neve
si schiantano sui tetti.
La neve è bianca come la pelle dei conigli spellati.
I conigli appena nati non possono illuminare
una tana. Radici
trasparenti, resti d’ombra e di legumi,
e un odore amaro e selvaggio e così antico
come l’istinto di sopravvivenza.
Novembre affonda come il piede di una ballerina
nel centro dell’aria, s’impenna, gira,
ulula, è un anziano, una barba piena di api,
un agnellino che pascola per levigate colline.
Novembre è una veglia bianca
inclinata come una ragazza prima di lanciarsi
da un trampolino sul bordo del mare.
Quasi dirupo, quasi gru e quasi ombra di gru
sui bambini che scivolano sull’erba.
Il mondo è freddo e non ho figli né moglie né parenti.
Sopravvivo possedendo il nulla.
La mia casa è il desiderio.


LA MADRE

Riportami un souvenir, disse
E io gli risposi, Sì.

Non potevo dirle ciò che accadeva,
non potevo mentire un’altra volta,
dirle: tornerò in tre settimane,
un mese o tra pochi giorni.
E tutto va bene.
E tutto è incredibilmente luminoso.

Portami qualcosa dal mare, disse
E io le risposi Sempre.

Non potevo raccontarle
che non stavo sulla costa
che non c’era niente per me
tra gli splendidi bagnanti,
che ero circondato
da montagne innevate
ma che nulla era immenso,

che la macchia gialla
che sulle colline
avanzava all’alba
era solo una traccia di cervi
assassinati dal freddo,
che i fiumi potevano solo allontanarsi,
che la bellezza si era estinta
da tutti noi,
persino da lei,

e che era dicembre
ma nei bicchieri ormai non restava nulla
da poter bere,
nulla che non fosse simile
alla consistenza del fango
dove i pesci
muoiono per via dell’aria.

Portami mio figlio, disse.
Portami mio figlio, disse di nuovo.
E tornò a ripeterlo.
E un’altra volta, fin quando il mondo fu la sua voce
e il passato divenne il suo profilo
e centinaia di temporali di neve
mi tapparono la bocca.


SOSPETTO BIANCO

Ogni notte passeggio dodici ore. Piedi bollenti
che sciolgono la brina.

Non mi volto per vedere tutte quelle persone
che non mi interessano.
Tutte quelle belle persone
illuminate da una luce invernale.

Mezzogiorno. Coltello bianco,
mollusco d’acqua, vertice
sull’inaudita città che è il mio rifugio.

I monti che non riesco a guardare,
sospetto bianco.

La palude mi sembra un angolo gentile,
bambù si elevano dall’acqua, giunchi di ferro
sui quali vorrei camminare
come un equilibrista
a dieci centimetri dagli alligatori.

Camminare mentre davanti a me
e dietro e intorno, mi osservano alcuni
che non conosco né voglio conoscere,
smisurati volti che non amo,
denti dove sbatte il mio nome,
prima ombra di sangue poi parola o suono.

Benedizione del silenzio.


LA REALTÀ PIÙ ASSOLUTA

È primavera sotto gli alberi,
un alito invisibile e vigoroso attraversa le radici ombrose,
fa dell’oscurità un linguaggio,
incoraggia il petalo a delinearsi nel nulla,
benedice la sagoma del seme, gli procura
una vibrazione, lo spezza, e dalla polpa sorge l’istante,
un presentimento di immensità,
e mi rendo conto che non riconosco più nulla,
che queste strane stagioni non sono le mie,
che il mare non ha l’odore di sempre,
e che di notte nulla temo,
che nessuno m’insegue, che non c’è una sagoma
sempre presente alle mie spalle,
e che non riconosco le foglie, il tremore
delle colonie di insetti la cui esistenza è un suono.
Qui la mia famiglia è tutto ciò che non arriva con la sera.
Veglia d’inverno, il suono di ogni camera da letto.


IL RUMORE DELL’AUTUNNO

Penso al rumore dell’autunno, a quel suono
di uragani che abbandonano le ombreggiate colline
e si arrampicano su scogliere come scalatori arrabbiati.

Penso al rumore di passi veloci, dozzine di bambini
che non osano guardare la casa invecchiata,
la finestra senza cornice e la sagoma che volta la testa. E volta
la testa. E volta la testa che è soltanto zigomi e bocca.

Penso al rumore che sprofonda nella polvere centenaria.
La polvere dove un piede può conoscere l’intimità
e ciò che affonda non è un’orma ma un uomo intero.

Penso al gracchio del corvo dietro la fuga della lepre,
al rumore di parole senza vita che cadono nel prato,
al suono dei passi che le frantumano senza notarle,

al sibilo delle delicate betulle che si asciugano,
e a quella respirazione che è un nome,
un nome di donna, un nome sacro,
con campane che raddoppiano al posto delle sillabe.

Penso all’impronta di un piede immenso, al rumore
della città che accende le stufe, al passaggio
del fumo attraverso gli interminabili camini,

penso a tutto quello che non dovrebbe essere ricordato
e ripeto la preghiera già ripetuta una volta e una volta ancora,
e una volta e un’altra volta ancora stendo la rigida mano,
l’inevitabile mano per toccare il centro del silenzio del mondo.





Jorge Galán
è nato a San Salvador (El Salvador) nel 1973. Narratore e poeta.
Ha pubblicato i libri di poesia: El día interminable (2004, El Salvador), Breve historia del alba (2007, Spagna, Premio Adonáis), La habitación (2007, El Salvador), El estanque colmado (2010, Spagna), La ciudad (2011, Spagna), El círculo (2014, Spagna), Medianoche del mundo (2016, Spagna) con la quale ha vinto, come inedito, il XVI Premio Casa de América de Poesía Americana e Ruido (2019, Spagna).
Per la poesia in Spagna ha ricevuto il Premio Antonio Machado (2009) e in Messico il Premio Sabines (2012).
Per il romanzo Noviembre (Spagna, 2015; Inghilterra, 2019) ha ricevuto il Premio della Real Academia Española. Il romanzo La habitación al fondo de la Casa (Spagna, 2013) è stato pubblicato anche in Italia da Mondadori con il titolo La stanza in fondo alla casa (2016, con introduzione di Almudena Grandes). Ha pubblicato anche libri per ragazzi.


marisamarp@gmail.com