FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 50
settembre/dicembre 2018

Aurora

 

IN ATTESA DI UN’ALBA
La poesia di Andrés Morales

di Lucia Cupertino



La scrittura del poeta cileno Andrés Morales salpa dai mari del Sud e intraprende un gran periplo, sostando lungo le coste della poesia spagnola – classica e contemporanea – e toccando le coste di molte altre terre, tra cui la Croazia, luogo della lingua materna e serbatoio di memorie senza tempo.
Il bottino con cui ritorna in Cile e alla sua lingua letteraria, lo spagnolo, è ricco: ben ventuno libri di poesia, una prolificità sempre accompagnata dalla cura del verso, del ritmo e dalla volontà di sondare i meandri più oscuri dell’essere umano.

Nelle culture preispaniche, in particolare in quella mesoamericana, gli specchi erano composti di pirite, un minerale metallico giallastro e con forme geometriche perfette, e non riflettevano la mera realtà, bensì il risvolto ignoto delle cose. Per tale motivo erano considerati oggetti magici ed erano appannaggio delle classi sacerdotali e colte. Nei versi di Morales ritroviamo questa dimensione rapportata alla cultura greco-romana con l’apparizione della Sibilla, dea che nei suoi versi si fa tormentata e premonitrice, si specchia in un cielo che sembra coincidere coi suoi stessi occhi o, meglio ancora, con la visione interna e il presagio del dolore.

Un dolore che nella tessitura poetica dello scrittore cileno è l’oracolo di un male individuale sfociante in un male collettivo e che trova la sua radice nel disequilibrio sociale di cui il corpo si infesta. La solitudine e lo smarrimento nel fondo di una bottiglia dove pescare un naufrago o i resti riportati dalle onde del mare sono alcuni degli scenari che popolano la selezione poetica qui presentata e a cui fanno eco i versi di un’altra poesia in cui l’io poetico è agitato e riverso su un lettino di una clinica e sente la realtà manifestarsi in un ordine che vede ma non comprende. Questo delirio personale si riversa sul tempo storico del poeta fino a sfiorare l’attualità e il dramma dei desaparecidos di cui gli studenti di Ayotzinapa sono le vittime più conosciute di territori che oggi sono fosse a cielo aperto. Stessa desolazione, stessa notte senza fondo, ossa scosse da un sibilo di morte.

La premonizione getta luce rispetto all’oscurità della malattia, del bieco giro della storia ufficiale, dell’identità come normalizzazione sociale. L’aurora è dunque nella poesia di Andrés Morales uno spiraglio di luce di cui restare in attesa, a volte animati di speranza, a volte con la sensazione che più di un’alba a schiudersi vi sia un tramonto.




POESIE DI ANDRÉS MORALES


1968

      (Un solo recuerdo)

Y envejecimos todos y nada nos dijeron
del terrible crepúsculo y la falta
del seguir sentados en la puerta de la carnicería
del abuelo, de la abuela, de la madre
que no pudo, jamás, volver a ser feliz.

Y nada nos dijeron, nadie advirtió de la catástrofe
y aún sentados esperamos algún amanecer.


1968

      (Un solo ricordo)

E siamo invecchiati tutti e nulla ci hanno detto
del terribile crepuscolo e l’assenza
del restare seduti sulla porta della macelleria
del nonno, della nonna, della madre
che mai è potuta essere daccapo felice.

E nulla ci hanno detto, nessuno ci ha avvertiti della catastrofe
e siamo ancora seduti in attesa di un’alba.


ESCENA NOCTURNA

Esta botella que abro
cuando la casa está sola,
cuando recorro pasillos
y cierro las puertas
y callo.

Esta botella vacía
con años de tierra y de mundo,
casi parece la historia
esta botella cerrada.

Adentro cipreses caídos
y un piano que suena
a lo lejos.

Adentro, la noche:
olas altas y estrechas.

      (a Miguel Arteche)


SCENA NOTTURNA

Questa bottiglia che apro
quando la casa è deserta,
quando mi aggiro per i corridoi
e chiudo le porte
e sto zitto.

Questa bottiglia vuota
con anni di terra e di mondo,
sembra quasi la storia
questa bottiglia chiusa.

Dentro cipressi caduti
e un piano che suona
in lontananza.

Dentro, la notte:
onde alte e strette.

      (a Miguel Arteche)


SALA DE TORTURAS
(Habitación N. 1, Clínica XXX)

Aquí yace Andrés el bienquerido.
Andrés el malquerido.

Aquí yacen muchos sueños, la nostalgia,
la hermosa vida que no se presentó.

En esta sala de torturas mis muñones,
mi pleura, mis ojos encendidos.

Todo en pocos metros cúbicos, cuadrados.

Todo en ese orden que no entiendo

O no me entiende.


SALA DI TORTURE
(Stanza n.1, Clinica XXX)

Qui giace Andrés il benamato.
Andrés il detestato.

Qui giacciono molti sogni, la nostalgia,
la vita bella che non si è fatta viva.

In questa sala di torture i miei monconi,
la mia pleura, i miei occhi ardenti.

Tutto in metri cubi, quadrati.

Tutto in un ordine che non comprendo

O non mi comprende.


DOMICILIO

Números de piedra, malditos números de piedra:

Mi casa no tiene calle, no tiene techo, no rezuma a caldo.

Mi casa está asentada en el silencio
de un terreno yermo donde nunca florecen los niños,
donde la esperanza es sólo una palabra.


DOMICILIO

Numeri di pietra, maledetti numeri di pietra:

La mia casa non ha via, non ha tetto, non è impregnata di brodo.

La mia casa si regge sul silenzio
di un terreno incolto dove mai fioriscono i bambini,
dove la speranza è solo una parola.


EL CANTO DE LA SIBILA

La lengua en que respiro
y en la que nunca hablo.
La dulce lengua madre,
anémona olvidada,
en donde yo adivino
y sueño a medianoche.

Aquella en la que escribo
(enmascarada siempre),
aquella que no entiendo
trepando sus acentos.

Aquella siempreviva
como una golondrina
o cien gaviotas blancas,
como este prodigioso
decir marino, ahora,
donde es mejor callar
soñando con sus piedras
de un mar y de una isla,
que no adivinarán
la dicha de estas letras
que habitan en el aire
aún quieto o caprichoso
en el lejano exilio.

      (A mi madre)


IL CANTO DELLA SIBILLA

La lingua con cui respiro
e con cui non parlo mai.
La dolce lingua madre,
anemone dimenticata,
in cui io presagisco
e sogno a mezzanotte.

Quella in cui scrivo
(sempre mascherata),
quella che non comprendo
inerpicandomi sui suoi accenti.

Quella sempreviva
come una rondine
o cento gabbiani bianchi,
come questo prodigioso
detto marinaio, adesso,
in cui è meglio tacere
sognando le pietre
di un mare e di un’isola,
che non indovineranno
la gioia di queste parole
che abitano nell’aria
ancora quieta o mutevole
nel lontano esilio.

      (A mia madre)


SIBILA SE CONFIESA ANTE SU ESPEJO

Sufro, sufro entera en los jazmines,
en el huerto y el espacio y en el trueno,
en la lluvia, a la intemperie, desolada
sufro porque creo que estoy loca
(con este yo terrible, descreído
en el espejo azul del cielo roto
y en esa luna llena de mis ojos).

Habito en el desierto del desgarro:

Mis señas son ocultas, despiadadas.


SIBILLA SI CONFESSA DAVANTI AL SUO SPECCHIO

Soffro, soffro io tutta tra i gelsomini,
nell’orto e nello spazio e nel tuono,
nella pioggia, alle intemperie, desolata
soffro perché credo di essere pazza
(con quest’io terribile, incredulo
nello specchio azzurro del cielo rotto
e in quella luna piena dei miei occhi).

Abito nel deserto della lacerazione:

I miei gesti sono occulti, spietati.


1989

Tal vez la decadencia da sus frutos
o el áspero danzar de las desdichas
es algo que nos cruza solamente;
quizás en los anuncios, los secretos
que rompen, rechinando, los cristales:
Muro de la China que circunda
muro de nosotros nunca abierto.
(Vuelan helicópteros, aviones,
truenan las campanas con su aliento).
Aquella libertad de cielo raso
-me dicen que han caído un par de muros-
recuerda un sinsabor a pan reseco.
Todo es esperanza y en el árbol
parece que la rama está quebrada:
Túmulos, olvido, mil perdones.
Seguro no tendremos compasión.


1989

Forse la decadenza dei suoi frutti
o l’aspero danzare delle disgrazie
è qualcosa che ci attraversa soltanto;
forse negli annunci, i segreti
che rompono, riluttanti, i vetri:
Muro della Cina che circonda
muro di noi mai aperto.
(Volano elicotteri, aerei,
tuonano le campane col loro fiato).
Quella libertà del cielo raso
– mi dicono che sono caduti un paio di muri –
mi rammenta un insipido pane rinsecchito.
Tutto è speranza e all’albero
pare che il ramo sia spezzato:
tumoli, oblio, mille perdoni.
Sicuramente non avremo compassione.


IGUALA

(Estado de Guerrero, México, 2014)

Ocho mil novecientos cuarenta y cuatro huesos,
ingenuos, inseguros, nuevos, esquivos, insomnes,
ahumados y mudos en una larga sombra,
ocho mil novecientos cuarenta y cuatro huesos
que no están en la faz de la tierra,
sin ley de gravedad, ya sin deseo;
sin sueños, ciegos de romperse solos
en el pantano de los verdugos sin madre
sin cielo, sin un poco de mar entre las cejas.

Y cuento los fragmentos y recuento las heridas:
ocho mil por tres, por cinco, por cuarenta y tres,
por un desierto gélido, por mil millones de noches
que caerán, seguro, encima de todos nosotros.


IGUALA

(Stato di Guerrero, Messico, 2014)

Ottomilanovecentoquarantaquattro ossa,
ingenue, incerte, nuove, schive, insonni,
affumicate e mute in una lunga ombra,
ottomilanovecentoquarantaquattro ossa
che non sono più sulla faccia della terra,
senza legge di gravità, già prive di desiderio;
senza sogni, cieche dal rompersi da sole
nel pantano dei germogli senza madre
senza cielo, senza un po’ di mare tra le sopracciglia.

E conto i frammenti e riconto le ferite:
ottomila per tre, per cinque, per quarantatré,
per un deserto gelido, per miliardi di notti
che cadranno, di certo, su tutti noi.


Traduzione dallo spagnolo di Lucia Cupertino




Andrés Morales
è nato a Santiago del Cile nel 1962. È laureato in Letteratura (Universidad de Chile) e dottore in Filologia e Lettere con menzione in Filologia ispanoamericana (Universidad Autónoma, Barcelona). La selezione presentata ripercorre la sua produzione poetica che è di 21 libri: Por ínsulas extrañas (1982); Soliloquio de fuego (1984); Lázaro siempre llora (1985); No el azar/Hors du hasard (1987); Ejercicio del decir (1989); Verbo (1991); Vicio de belleza (1992); Visión del oráculo (1993); Romper los ojos (1995); El arte de la guerra (1995); Escenas del derrumbe de Occidente (1998); Réquiem (2001); Antología Personal (2001); Izabrane Pjesme/ Poesía Reunida (2002); Memoria Muerta (2003); Demonio de la nada (2005); Los Cantos de la Sibila (2008); Ejercicio de escribir (2010); Poemas/Pjesme (2011); Antología breve (2011); Escrito (2013 e 2014); Escenas del derrumbe de Occidente (2014, edizione corretta e ampliata) e Poemas Escogidos/Poezii Alese (2014).
La sua opera poetica è stata parzialmente tradotta in tredici lingue (inglese, francese, croato, portoghese, cinese, coreano, svedese, catalano, mapudungun, rumeno, turco, norvegese e italiano) ed è stata inclusa in più di sessanta antologie cilene e straniere e in un gran numero di riviste letterarie nazionali e straniere (più di ottantacinque), ha ricevuto inoltre diversi riconoscimenti nazionali e internazionali tra i quali spiccano: Premio Manantial dell’Universidad de Chile (1980), Premio Miguel Hernández (Buenos Aires, Argentina, 1983), Beca Pablo Neruda (1988), Beca de Hispanista extranjero (Madrid, 1995), FONDART 1992 e 1996, Premio Ciudad de San Felipe 1997, Beca de Creación Literaria 2001 della Fundación Andes, Beca de Creación Literaria para escritores del Fondo del Libro del Consejo Nacional de la Cultura y las Artes de Chile negli anni 2001, 2004 e 2008, Premio Nacional de Poesía “Pablo Neruda” 2001, Premio XII Concurso Internacional de Poesía “La Porte des Poètes” (Francia, 2007), Premio Hispanoamericano “Andrés Bello” 2014 e il Premio de Ensayo “Centro Cultural de España” nel 2002 e 2003.
Dal 2007 è membro dell’Academia Chilena de la Lengua e dal 2014 dell’Academia Hispanoamericana de Buenas Letras di Madrid. Nell’ambito saggistico sono da segnalare i suoi lavori riguardanti la poesia cilena contemporanea così come quella latinoamericana, spagnola ed europea. Attualmente scrive ed è docente del Laboratorio di Poesia, Letteratura spagnola classica e contemporanea, Poesia cilena dell’Universidad de Chile.

Foto del poeta tratta dalla sua pagina web

luciacupertino@email.it