FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 50
settembre/dicembre 2018

Aurora

 

GIALLO AURORA 0,5

di Rossana Carturan



Doveva sostituire le lenti, Agnese. Illudendosi che la sua presbiopia non le avrebbe inflitto ancora umiliazioni, continuava ad inumidire il filo da far entrare in quel maledettissimo ago. Non era quella misera cordicella di cotone ad averne la colpa, ora ridotta ad un vermicello insalivato, ma la sua testardaggine di cinquantacinquenne con occhiali troppo deboli, per vezzo.

La colpa era dell’appuntamento, in verità. Il primo dopo mesi di astinenza relazionale.

Ed il filo non entrava.

La sua macchina da cucire non l’aveva mai delusa e non doveva iniziare ora, ora che doveva perfezionare l’abito a grappoli d’uva violacei con pallini neri che aveva disegnato lei stessa per l’incontro della sua vita. Già, questo si ripeteva da giorni. Non era un appuntamento, ma l’Appuntamento.

Pensò che fosse solo da pulire, l’ago. Aveva letto che stendendo un velo di bicarbonato tra due pezzi di stoffa e facendo passare ripetutamente gli aghi azionando la macchina, il miracolo sarebbe avvenuto. Inutile, il filo rifiutava di strangolarsi nella cruna. La pazienza era la sua virtù, se lo riconobbe. Non c’era altro da fare: sostituirlo. Uno più grande le avrebbe evitato di continuare a spillarsi il pollice e deturpare le mani affusolate e lisce prive di quella vitiligine ereditaria che aveva macchiato le sue sorelle. Già, ma le sue sorelle erano sposate e lei no, lei no.

Spinse via i pensieri, doveva sostituire l’ago certo e poi il cotone. La lampada a stelo che cadeva esattamente su quell’esile metallo cominciò a singhiozzare fino a spegnersi.

La pazienza se ne andò. Cambiare una lampadina è semplice, se la si ha in casa.

Agnese ne aveva. 25watt, attaccatura grande, servivano per il lampadario a gocce di ferro battuto della sua camera da letto. 100watt, per il lampadario della sala. Quelle da 50watt per la lampada crudele, no. Comprarla era impensabile, mancavano due ore all’Appuntamento. Chiederla alla Signora Rosa neanche. Le avrebbe chiesto il perché dell’urgenza e lei sarebbe stata costretta a mentire per schivare il pettegolezzo obbligato del Condominio. Proprio per evitare questo aveva chiesto a Giovanni di aspettarla dietro l’isolato.

Giovanni: si erano conosciuti alla sala del Bingo. Avevano vinto una cartella in due. Un caffè, due chicchi d’uva galeotti, una risata maliziosa, qualche reticenza e l’appuntamento.

Il telefono trillò scuotendo la memoria e il silenzio dei 40 metri quadri, rivestiti con carta da parati finto marmo e due piccole foto di nipoti in abito da carnevale che spezzavano le striature grigie appesi alla parete del corridoio.

Giovanni avrebbe tardato 10 minuti. Il sollievo di avere una frazione di tempo in più la ricaricò.

Ricacciò lo sconforto e spostò la macchina verso la finestra per godere degli ultimi raggi. Si mise all’opera concentrata e alzando mai la testa. Dopo qualche minuto, definito l’orlo, decise la consistenza del cotone ed il colore per le rifiniture. Frugò tra le matassine che conservava in una scatola di plastica trasparente, con l’etichetta di un gelato alla fragola.

Lo spessore del filo è importante se il tessuto è in maglina elastica o seta, lo sapeva bene. Zia Assunta, sarta di professione, fin da bambina l’aveva istruita su tutte le difficoltà che si annidano dietro una stoffa anziché un’altra.

Era in viscosa, ci sarebbe voluta una matassina 0,10 ma non avendo la merceria il colore appropriato si era accontentata di acquistarne una 0,5 tinta giallo aurora, rischioso forse ma l’appuntamento valeva qualche piccolo azzardo. Sistemò l’abito, abbassò il piedino e spinse sul pedale. Il tessuto scivolava che era una meraviglia, il punto componeva la cucitura con il ritmo preciso di un soldatino che batte i piedi sul posto a simulare una marcia: l’ago magicamente si concedeva senza più capricci. Nessuna arricciatura. Con maestria girò la stoffa per rinforzare gli angoli ed i punti critici. Tagliò le asole e le ribatté con un piccolo ricamo. Girava e rigirava il vestito ad ogni passaggio per eliminare qualsiasi possibile imperfezione: era buio ormai, ma sull’ultimo chiarore del cielo e con una pila trovata in un cassetto, e posizionata alla bene meglio sul piano di lavoro, lo terminò.

Sfilò il vestito dalla macchina e cominciò a sistemare i bottoni mantenendo il giusto intervallo. Erano in plastica, rivestiti di stoffa perché spiccassero in quel vitigno bizzarro che l’abito combinava in triangoli. Legò tutti i fili lasciati sospesi e con una sforbiciata decisa eliminò i superflui. Si alzò finalmente dalla sedia, sentì la schiena dolersi ma non se ne preoccupò. Prese in mano quel capolavoro appena creato, lo scosse per esser certa che residui non fossero rimasti appiccicati. Restava la stiratura e sperare che non facesse alcun difetto. L’appuntamento non doveva avere sbavature.

Terminata anche questa operazione lo lasciò sulla stampella, timorosa di indossarlo, anche se soddisfatta.

Si fece una doccia di corsa. Trattò i capelli cinerei con una fiala consigliata dalla Signora Rosa per evitare l’ingiallimento. Detestava le tinture. Ne aveva viste tante al Bingo: Rosse fiammanti, Bionde albine e rade. La sua semplicità aveva conquistato Giovanni, quindi perché cambiare. E poi alla loro età, non erano proprio creature, tutt’altro, le sembrava davvero sciocco e un po’ patetico sembrare ciò che non si è.

Un trucco leggero risaltava l’occhio castano contornato da rughe minuscole e fitte. Tinse le labbra con un rossetto carminio come a proteggerle da un improvviso assalto. Prese dal cassetto del comò un profumo acquistato un po’ vergognosamente in un discount, poche gocce sul collo ed un paio di orecchini di perle di fiume, a clip, a nascondere il lobo allungato da pesanti pendenti. Calze, scarpe ed infine l’abito. Era perfetto. Si compiacque per l’opera d’arte. Il drappeggio sui fianchi era perfetto, camuffava le rotondità.

Guardò l’orologio, era in anticipo. Fumò due sigarette in attesa febbrile poi decise che era arrivata l’ora di raggiungere l’isolato dove Giovanni l’avrebbe di sicuro accolta con un mazzo di fiori.

Forse era solo follia, la ricerca continua di quel perduto, il sogno fanciullesco che ammorbidisce momenti di solitudine aberranti, ma che importava, Giovanni le sorrideva e Il tempo non le avrebbe più rubato vita.

Lui si presentò in abito scuro con una cravatta a tartarughine gialle, capello riportato e baffi artisticamente rifiniti sopra le labbra carnose. Niente fiori.

Saliti in macchina sciolsero l’imbarazzo, commentando le loro ultime serate al Bingo e di come Elvira fosse così spocchiosa con tutti.

Le fece apprezzamenti sull’abito e Agnese capitolò in un sorriso inebetito. La cena passò in una complimentosi reciproca. Usciti dal ristorante ripresero l’auto per un giro panoramico sul lungomare. Si fermarono in una piazzola. Giovanni le declamò una poesia partenopea che aveva composto lui stesso in età giovanile. Poetizzando fece scivolare la mano sul ginocchio scoperto di Agnese. Lei, avrebbe voluto reagire, sottolineare l’impertinenza, ma un brivido le percorse il collo, e questo diede il permesso a Giovanni di passare dal ginocchio al seno con rapidità ed infilarle la lingua nella bocca.

Agnese seguiva il movimento del bacio con occhi sbarrati. Un orecchino sparì tra le labbra di Giovanni. Non le piacque più di tanto ma ora aveva un uomo e questo bastava a superare l’ardire un po’ troppo chiasso per i suoi gusti. Quando le mani la frugarono sotto l’abito tentò di mostrare disapprovazione, implorando in cuor suo che non smettesse. Nella vertigine la coscia premette sul cambio mentre la cintura di sicurezza incastrava un braccio. Godettero dell’idea l’uno dell’altro, quando uno strappo alla vita del vestito gelò Agnese: la 0,5 giallo aurora aveva ceduto.

Uscì dalla bocca un acuto: maledetta alba!

Giovanni, preso dal vortice non se ne rese conto, si guardò intorno era ancora buio, non comprese quella strana imprecazione però l’urlo incitò la sua libido, mentre la donna inviava maledizioni a stessa per non essersi premunita per tempo con lo 0,10 o per non aver insistito con il suo commerciante per un tiepido giallo tramonto anziché un caldo giallo aurora.

Raggiunto il piacere nei pantaloni serrati come un adolescente dagli ormoni incontrollati, l’uomo osservava con tenerezza Agnese che, spazientita, cercava nella borsa una spilla per porre rimedio. La trovò, si guardarono. Il sollievo portò un sorriso affettuoso in entrambi. Rimasero abbracciati a lungo.

Al sorgere del sole Agnese tornò a casa, senza trucco, con una perla di fiume tra le dita sorreggendo sui fianchi l’abito dell’appuntamento giallo aurora 0,5.


rossana.carturan66@gmail.com