FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 47
luglio/dicembre 2017

Mezzanotte

 

MEZZANOTTE IN VIA TOLEDO

di Andrea Ventura



*

Vorrei credere all’occhio paziente
del disperato, affidare singulti
di aria smessa a preghiera; alla
pietra esterrefatta dall’onda,
a quel flutto significare una
tregua, inosservata,
come il suo inghiottimento;
come indovinare alla notte
il peso di questo sereno.


*

Perdona, adesso, lo snello miracolo
dei coriandoli, monelli per tre sole
spinte di meraviglia, bizzarro
sacrilegio alle stelle sparpagliate
di tanto. L’allineamento è ormai
imprendibile: ma io sono quello,
e con tutto lo spazio in mezzo.


DA VIA CORALLI

Via di qui, avevi ragione
anche sui confini ultimi delle
figure: lo zampillo della luna,
poco più che un girotondo di cielo,
il diventare atono dello stupore
intorno, se mai affiora
paesaggio da questa piazza.

I barlumi, mi viene in mente,
non esistono. L’unico accento
rifinito sono i contrari.


*

Perché mi svegli con un sogno?
Eccoci, siamo alla fine o fin dove
dura lo spazio delle parole: nella
carezza circospetta dei boulevard
abbandonati, nostra posa
per la gente del mondo,
la polvere della scorciatoia
non basterà a imbrogliare
lo schema ribelle dell’ultimo passo
che imbruna. Nell’ora lontana ci siamo
tutti dimenticati qualcosa.


*

Nessuno esce sconfitto dalle nostre
città. Ho cercato il soffio della fessura
per spiegare una ricerca così fragile;
passi la storia, nelle mura
che imbrigliano i destini a catene
di imperatori e comandanti
assaliti dall’ombra nera dell’oblio.

La città contraffatta prelude se stessa:
la proprietà invariantiva delle
nostre esistenze non ha messo in bilico
che un giornalaio o un ristoratore
inquieto per l’acqua liscia (perdere poi
la traccia nell’acquerello del suburbe,
sull’arena depositata con le maree).

La barriera del sonno forse un orecchio
invulnerabile nello schiamazzo
disinvolto di terrazze fra tetto
e tetto, dall’alto degli embrici corrosi.

Nessuno esce dai rimbalzi
di guglie e pinnacoli: sui gradini,
con gli amanti, abbracci la sera.
Capire mancanze o aggiunte
lastrica la strada corta del bosco.
Chi rimane fermo attende la giostra
che gira: un pianeta che per contare
gli anni strizza l’occhio alla sua luna.


NOTABENE

Il tuo scrupolo maggiore vantava
di spiegarmi da che parte girasse
il mappamondo. Il diluvio, nella
fragranza del mattino, usurpava
il neologismo quando cercavo di te.
Al di là dei pioppi, pionieri della rivolta
primaverile in atto, s’annidava
l’eccezione, capace di filigrane
d’argilla nel ripercuotersi
a stornelli del calendario.

La traiettoria della pennasfera
ti ispirava, inevitabilmente, qualche
appunto sullo sciroppo - per tuo padre.
Io, se arrivavo, scodellavo la mia
teologia, torbida e frettolosa
di guadagnare un notabene.

Il toccasana non ha mai funzionato,
sepolto nell’equilibrio del rientro.
Un’occhiata alla diramazione
sovrastata dal rantolo eccitato,
per addoppiare – fronteretro – il vademecum
rissoso del mio vagabondare.
Ma è sempre stato un ormeggio, quando
rifugiavo in te la scintilla che perdona
alla notte tutto l’affanno del buio.


*

Ho segnato il passo da qui al cuore
e non ho avuto il sospetto che fosse
un cammino, né traccia di sentiero:
così l’impronta del silenzio,
se non custodiva un tuo suono.

Lo spasmo solare dilata per poca
propaggine il margine
tenace dell’ultima sera.
S’annega nell’urlo cieco un sorriso,
mai aperto per paura
che non fosse tuo.

Ma ho sempre saputo di una luce:
e che, in qualche maniera, ne eri coinvolta.


I MIEI OCCHI

La liason che non facevi
tra tes e yeux… eppure non c’era,
dicevi; e il sistema impersonale
delle mie rime, improbabile
contegno di cera nella inevitabile
pena della genuflessione. Dalla
balaustrata del condominio potevamo
sbirciare l’inganno della pausa
preserale dopo le litanie. Le fiamme
più alte parevano irresponsabili;
piegarsi non un compromesso
ma una conseguenza. Tra un nome
e il suo aggettivo si contraddice
un sospiro trasandato,
per la sensazione di avere
un destino comune. Le costruzioni
grammaticali non perdonano
e chi sbagliava fingeva
di non sapere, perché l’altro
si accorgesse di averlo sempre saputo.


MEZZANOTTE IN VIA TOLEDO

Mi sento sconfitto, quando vivo il tuo
sogno quale naufrago arrendevole
i giorni, nella finzione di una terra
che non parla la lingua dei vivi.
Io esisto, invece, nella tua voce
che stanotte declino sulle rive
di un’altra vita, apparsa
ad un uomo che neppure conosco.

Oggi il tempo del mare si è fermato,
e tu decidi questa immagine, folle,
indecifrabile del tuo senso, incredibile
e diverso. Non so che di queste pause,
come sia mai possibile incostanti,
alla ricerca di te, diffranta
nel labirinto di un’ora, la linea
imperdibile del giorno che sperde
l’ombra: fosse un’anima sarebbe questa.


FÊTE DE LA MUSIQUE

Bene ho compreso quale assegnazione
si è imposta: un diniego razionale
comprende molte ragioni, fra le quali
i frequenti spazi irraggiati dove
ti sorprese l’estate, effimera
visione residua (armonia d’essai
nelle grandi vacanze alle porte,
menzione inaccettabile del ritorno)
della soverchia e irrecuperabile
distanza del tuo sogno: buone
nuove, dunque, esenti da un carteggio
tardivo, anche se notte, lontana
come una vela apparsa felice
all’infanzia del mondo o il nome
esile che do ai tuoi occhi.




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