Mi contentai di custodirle nel fondo del mio cuore (la polvere della Via Lattea le stelle la estraggono da me) (“Sulla mia vita passa un sentiero di stelle”)
I dubbi prospettici non sono solo quelli scaturiti dalla nuova scienza e dal pensiero antideterministico, né solo Galileo e Bruno, quindi, né unicamente Kant, tantomeno Einstein o Heisenberg. Le riflessioni su cosa si intenda per realtà, e quanto essa viva in noi e solo grazie a noi sono vecchie quanto il pensiero presocratico e sciamanico, e, a sentire Vico, quanto la poesia. Ma i dubbi poetici, tranne eccezioni, non sono sistemici, non hanno la presunzione di diventare qualcosa che nel Novecento sembra indimostrabile (cosa che nell’Ottocento positivistico avrebbe avuto il sapore di una blasfemia arcaica e ignorante, nel senso etimologico del termine). Anticipano conclusioni relativistiche e interrogativi duri da digerire in secoli di riforme e contro, che propongono infinitudini incomprensibili e inimmaginabili, tanto da far accendere roghi, fazioni e controfazioni, che fanno tutto fuorché assecondare i messaggi originari di circolarità e compenetrazione, di sì alla vita e no ai capelli spaccati in quattro per uno strano, sedicente omaggio alla ratio d’occidente. Una ragione diventata nel tempo isolamento in una erudizione fuori dal mondo e dalla vita, semmai organica a salotti di epocali (nel senso ristretto) tendenze, isteria immobilizzante di contro al soffio vitale che va dove vuole e senza aver studiato le direzioni in cui soffiare. Narlan Matos riesce a rimettere in piedi tutte queste contraddizioni apparenti, ma non perché se le trovi solo di fronte nei momenti che il destino sceglie. Li va a recuperare, quei momenti in cui sembravano regnare pòlemos, il confitto, e penìa, la mancanza, come il franco cacciatore di Caproni: non serve che li si attenda nella paura nascosti nelle stanze quotidiane, ma è meglio andarli a scovare nella loro tana, per esorcizzarli e renderli necessari, non farli sparire.
La poesia presente in questa silloge italiana (Matos è nato a Itaquara, Brasile nel 1975), La provincia oscura (Edizioni Fili d’Aquilone, 2016, 15 euro) curata e tradotta da Giorgio Mobili, è il risultato di una scelta di sue liriche da tre raccolte precedenti: Signore e signori, l’alba!, del 1997, Nell’accampamento delle ombre (2001), Elegia al nuovo mondo (2012). Il dolore dell’ostacolo, della unicità urtante con il mondo degli altri, la percezione di una solitudine irrimediabile e nel contempo di una salvezza nel suono dell’enigma, dell’accettare e dell’essere accettati senza porne la meccanica conseguenzialità, il dire sì ai fantasmi dell’esclusione per poterne parlare ed esorcizzare nell’accettazione di una presenza altra, sono alcuni degli elementi portanti di questa poetica. Una poetica che come ha notato Mobili passa attraverso il riconoscimento dell’“oscurità che necessariamente implica il suo opposto luminoso”.
Poesia circolare, composta di reciprocità e interconnessione tra presente e ricordo, futuro e nostalgia, amore e persistenza dell’odio, pace e fantasmi di eserciti ordinatori e nel contempo distruttori. Una poesia fatta di bambini sfruttati, non solo nella storia moderna di un meridione d’America ancora non completamente elaborato nei suoi lutti, ma anche in quella più recente di spettacoli popolari e sanguinolenti in cui la violenza rivendica sempre e comunque la sua parte, dal toro ucciso al torero che affascina la gente in quanto sfida la morte in una dinamica di auto-riconoscimenti e proiezioni, in cui sempre i bambini assistono da piccoli venditori sfruttati e destinati a rimettere in circolo la fame e la violenza. In questo riemergere di un passato prossimo che ancora fa male e che, come si diceva, deve essere tuttavia affrontato affinché i girotondi di un tempo possano ancora girare (“e girano ancora/ e girano ancora/ in qualche luogo di me”) nella costruzione inesauribile di un ponte verso si profila un nuovo senso delle cose che non sono più inerti, ma assumono una loro vita e una loro capacità di ricambiare lo sguardo:
E queste macchine che passano sempre ridendo di me
E queste strade che non capiscono mai dove vado (…)
E questi edifici che non sanno mai dove sto
(“Trasferimento”).
La rivelazione epifanica di una entità nell’oggetto come parte di un tutto vivo non ha certezze metafisiche o religiose, ed è questo che rende interessanti gli sviluppi lirici di Matos: viene dalla struggente nostalgia oltre-individuale di un passato pre-coloniale, in cui l’uomo è tutt’uno con una natura madre e vivente, dalla graduale consapevolezza delle potenzialità taumaturgiche della poesia che non cambia canali a distanza o non consiglia quali derivati sottoscrivere ma che muove l’essere profondo, gli impedisce di soggiacere alle tentazioni meccanicistiche di una strada già stabilita per godere delle infinite capacità di benessere e guarigione delle profondità abissali dello spirito. Il mondo è fuori e dentro, sembra dire questa poesia che l’assenza di punteggiatura rende fluida e nel contempo isola in versi incardinati nella pagina nella loro assertività non suggerita dai segni della nomenclatura letteraria. Tutto entra nel giro dell’esistenza a patto che si sia pagato il biglietto del giro con le lacrime e le gioie, le passeggiate nelle strade cittadine alla ricerca di qualcosa che ci è appartenuto e l’elaborazione delle mancanze e dei colpi di maglio. Un tempo quasi reso sacro dalla sua necessità fino ad esigere una sua ineluttabile entità interiore, da richiedere “una preghiera” che
volteggiava per gli incroci vuoti e timidi
Mentre un vento lievemente preterito inondava le strade
La città fluttuava e un’orazione era intonata in silenzio
(“Preghiera”)
Narlan Matos, La provincia oscura, a cura di Giorgio Mobili, Edizioni Fili d’aquilone, 2016, pagg. 134, euro 15.
SEI POESIE DI NARLAN MATOS da La provincia oscura
PRECE
À tardinha, seis horas da tarde
A névoa rarefeita da serra descia e vinha pairar em nós
E Itaquara respirava frio
Do alto-falante da igreja, no alto da torre
Soava um canto gregoriano desconhecido e rarefeito
O frade era saudoso de Loreto
A mansão vetusta ficava calada e condizente comigo
Pardais órfãos davam razantes alegres na volta para os beirais
Um senhor de sapatos sociais e gravata passava com um embrulho
Uma prece revoava pelas esquinas vazias e tímidas
Enquanto um vento levemente pretérito inundava as ruas
A cidade flutuava e uma oração era entoada em silêncio
PREGHIERA
Al crepuscolo, verso le sei di sera
La nebbia rarefatta della sierra scendeva e veniva ad aleggiare sopra di noi
E Itaquara respirava freddo
Dall’altoparlante della chiesa, in cima alla torre
Suonava un canto gregoriano sconosciuto e rarefatto
Il frate aveva nostalgia di Loreto
La villa vetusta restava in silenzio e mi si confaceva
Le rondini orfane tornavano alle grondaie con allegri voli radenti
Un signore con scarpe formali e cravatta passava reggendo un pacchetto
Una preghiera volteggiava per gli incroci vuoti e timidi
Mentre un vento lievemente preterito inondava le strade
La città fluttuava e un’orazione era intonata in silenzio
ÀS VÉSPERAS DA FELICIDADE
Não que o mundo esteja assim – tresloucado.
Não que o planeta esteja às vésperas do juízo final
– Há gente que ri.
– Tantas são as pessoas que riem...
Não que não haja mais vida, nem esperança.
– Mesmo que não haja, ainda há tantas crianças.
Não que não haja mais solução.
Todos estão tentando, tateando.
Aprendendo essa arte.
Lá fora, o caos está em ordem.
O problema meus amigos,
O problema sou eu.
Unicamente.
Meu Deus, por que me creaste
Se sabias que eu não poderia comigo?
ALLA VIGILIA DELLA FELICITÀ
Non è che il mondo sia così – forsennato.
Non è che il pianeta sia già alla vigilia del giudizio finale
– C’è gente che ride.
– Sono tante le persone che ridono...
Non è che non ci sia più vita, o speranza.
– Anche se non ci fosse, ci sono ancora tanti bambini.
Non è che non ci sia più soluzione.
Stanno tutti tentando, a tentoni.
Imparando quest’arte.
Là fuori, il caos è in ordine.
Il problema, amici miei,
Il problema sono io.
Unicamente.
Mio dio, perché mi hai creato
Se sapevi che non ce l’avrei fatta?
CHUVA
Meia-noite
A vida apagou com a última lumia
Agora ficaste sozinho tu contigo mesmo
Enfim testemunhas teu rosto refletido
Na ausência do mundo no espelho da solidão
Mira-te em tua boca em tua tez
No frio que faz agora
Depois de tudo o que restou ?
Apenas o negror do teu guarda-chuva
E este criado mudo sob um jarro com
Rosas rosas de papel de seda
Notas como a vida rói em silêncio
Como tudo rui em silêncio
A chuva fresca ainda toca teu chão
Um cheiro de vida e de terra úmida
Invadem teu quarto
Mas é tarde, é muito tarde
É meia-noite, a vida acabou
PIOGGIA
Mezzanotte
La vita si è spenta con l’ultima luce
Ora sei rimasto solo con te stesso
Finalmente testimoni il tuo volto riflesso
Nell’assenza del mondo nello specchio della solitudine
Contèmplati nella tua bocca nella tua pelle
Nel freddo che fa adesso
Dopotutto che cosa è rimasto?
Solo il nero del tuo ombrello
E questo domestico muto sotto una giara con
Rose rose di carta velina
Noti come la vita rode in silenzio
Come tutto rovina in silenzio
La pioggia fresca ancora tocca il tuo pavimento
Un profumo di vita e di terra umida
Invadono la tua stanza
Ma è tardi, è molto tardi
È mezzanotte, la vita è finita
EM MINHA RUA PASSA UM CAMINHO DE ESTRELAS
Em minha rua passa um caminho de estrelas
À milhas e milhas distante eu ainda posso vê-las
Alguém derramou um balde de pequenas centelhas
Para que a escuridão de minha noite não fosse plena
Em minha infância passava horas a mirá-las
Em sem fim de vezes saltei, tentei tocá-las – Em vão
Me contentei em guardá-las no fundo do meu coração
(a poeira da Via-Láctea as estrelas tiram de mim)
E minha rua passa um caminho de estrelas
Outras ruas são cheias de caminhos de estrelas
Nesta rua nesta cidade da janela eu posso vê-las
Mas aqui não me reconhecem e eu não posso lê-las
Em minha rua passa um caminho de estrelas
SULLA MIA VITA PASSA UN SENTIERO DI STELLE
Sulla mia via passa un sentiero di stelle
A miglia e miglia di distanza posso ancora vederle
Qualcuno ha rovesciato un secchio di piccole scintille
Perché l’oscurità della mia notte non fosse piena
Nella mia infanzia passavo ore a guardarle
Infinite volte saltai, cercai di toccarle – Invano
Mi accontentai di custodirle nel fondo del mio cuore
(la polvere della Via Lattea le stelle la estraggono da me)
Sulla mia via passa un sentiero di stelle
Altre vie sono piene di sentieri di stelle
In questa via in questa città dalla finestra io le posso vedere
Ma qui non mi riconoscono e io non posso leggerle
Sulla mia via passa un sentiero di stelle
SETENTRIONAL
circulando a aurora setentrional
um estranho sentimento alheio
colore as açucenas e azaleias
penduradas no jardim suspenso
do cenário que se descortina agora
três gnomos me observam
no grande álamo que não existe
o vento nas rosas silvestres é manso
e as acalma e por isso seu perfume
o universo dorme calmo nos ninhos das águias
SETTENTRIONALE
circondando l’aurora settentrionale
un sentimento di estraneità
colora i gigli e le azalee
sospese nel giardino pensile
dello scenario che ora si rivela
tre gnomi mi osservano
sul grande pioppo che non esiste
il vento tra le rose silvestri è docile
e le calma e da qui il loro profumo
l’universo dorme calmo nei nidi delle aquile
A PROVÍNCIA OBSCURA
venho de uma obscura província da Terra
esquecida por detrás do próprio esquecimento
de desaparecidas coordenadas geográficas
nasci de um povo abandonado e aguerrido
conquistando cada aurora como uma batalha
desde menino aprendi a cultivar a vida
da mesma maneira que os campesinos
cultivavam os solos duros e salitrosos
daquelas antigas abandonadas paragens
nasci de uma gente mui simples e solar
que lavrava a alegria em seus incertos sulcos
aprendi com eles a crer na chuva e nos rios
atravessamos mapas e os caminhos obscuros
da sobrevivência dos que não foram eleitos
aprendi a ser com o gado e com leopardos
a fraternidade dos pássaros e dos grãos
a resiliência das árvores e dos ombros comuns
uma branda profunda calma ainda me habita
a calma de quem sabe quem é e de onde veio
venho de uma obscura província da Terra
separada por imensos adeuses e despedidas
todavia foi lá em meio à escuridão e à incerteza
que aprendi a amar e crer nas açucenas e nos homens
trabalhar o impossível como o ferreiro trabalha o ferro
que entendi que a luta pela grande vida e pela poesia
são parte de um mesmo esplendoroso amanhecer
todavia foi lá que me aprendi – sobretudo a jamais escapar
das mãos o insofismável pássaro verde da esperança
LA PROVINCIA OSCURA
vengo da una oscura provincia della Terra
dimenticata da dietro il proprio oblio
di scomparse coordinate geografiche
nacqui da un popolo abbandonato e agguerrito
conquistando ogni aurora come una battaglia
fin da piccolo imparai a coltivare la vita
allo stesso modo che i contadini
coltivavano i suoli duri e saliferi
di quegli antichi abbandonati paraggi
nacqui da gente semplice e solare
che dissodava l’allegria nei suoi solchi incerti
imparai con loro a credere nella pioggia e nei fiumi
attraversammo mappe e i percorsi oscuri
della sopravvivenza di coloro che non furono eletti
imparai ad essere con il bestiame e con i leopardi
la fratellanza degli uccelli e del grano
la flessibilità degli alberi e delle spalle comuni
una molle profonda calma ancora mi abita
la calma di chi sa chi è e da dove è venuto
vengo da una oscura provincia della Terra
separata da immensi congedi e addii
eppure fu là in mezzo al buio e all’incertezza
che imparai ad amare e a credere nei gigli e negli uomini
a lavorare l’impossibile come il fabbro lavora il ferro
che capii che la lotta per la bella vita e per la poesia
sono parte di una stessa alba splendente
eppure fu là che mi imparai – soprattutto a non lasciarmi mai sfuggire
dalle mani l’irrefutabile uccello verde della speranza
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Narlan Matos è nato nel 1975 a Itaquara, Bahia, in Brasile. È considerato uno dei poeti emergenti più importanti dell’America Latina. I critici sui lati opposti dell’Atlantico hanno sottolineato l’importanza della sua opera. A ventun anni esordisce con Signore e signori, l’alba!, vincitore nel 1997 del Prêmio Copene de Literatura (attuale Braskem) e pubblicato dalla Fundação Casa de Jorge Amado. Il suo secondo libro, Nell’accampamento delle ombre, gli ottiene il suo primo premio nazionale, Prêmio XEROX de Literatura Brasileira, nel 2000. Matos è invitato in rappresentanza del Brasile a vari festival internazionali. Nel 2002 è selezionato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per rappresentare il Brasile all’International Writing Program dell’Università dell’Iowa. Sulla sua poesia si pronunciano poeti leggendari come il russo Yevgeny Yevtushenko, lo spagnolo Juan Carlos Mestre, gli americani Robert Creeley, Lawrence Ferlinghetti e Michael Palmer – che diventa il suo traduttore negli USA – lo sloveno Tomaz Salamun. Il suo terzo libro di poesie, Elegia al Nuovo Mondo, pubblicato da 7 Letras, viene segnalato al Prêmio Internacional Portugal Telecom e lo consacra come autore di nuova avanguardia nella poesia latinoamericana contemporanea, meritando un importante articolo di Eleutério Santiago Diaz dell’Università del New Mexico. Diventa interlocutore di Noam Chomsky, che incontra due volte al MIT, e con il quale mantiene una vasta corrispondenza. Partecipa regolarmente a numerosi programmi letterari e festival internazionali negli Stati Uniti e in Europa.
Matos è stato tradotto in molte lingue, tra cui lo sloveno, lo spagnolo, l’italiano, il vietnamita, il cinese, il croato, il lituano, il giapponese, l’inglese, lo svedese e l’indù. La sua poesia è apparsa in rivista in Svezia, Lituania, Slovenia, Giappone e Cina. Nel 2014 la prestigiosa rivista italiana POESIA gli ha dedicato 13 pagine. Recentemente, a commemorazione di un ventennio di attività letteraria, sono state pubblicate, in Slovenia e Giappone, due antologie poetiche della sua opera, e la Radio Popolare di Croazia ha mandato in onda un programma di mezz’ora sulla sua vita e opera. Ha ottenuto un master dall’Università del New Mexico e un dottorato dall’Università di Urbana-Champaign. Attualmente Matos è professore al Montgomery College a Washington, D.C.
testi.marco@alice.it
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