Contro la Spagna e altre poesie non d’amore, rientra di diritto, all’interno della vastissima opera di Leopoldo María Panero, in quella decina di libri che formano le architravi della personale parabola poetica dell’autore iberico. Pubblicata per la prima volta nel 1990, questa raccolta è un esempio che ben esplica la poetica “nichilista” e “decadente” dell’autore, però in questo caso quel “maledettismo” che ha sempre incarnato, anche contro la sua stessa volontà, la violenta e instabile figura del poeta madrileno, si fa qui congiura, intima rappresaglia, abracadabra poetico, perciò amuleto e sigillo rituale, invettiva spirituale e infine giuramento a morte contro il potere vigente. Dunque contro il suo stesso paese, quella Spagna che ha, per una sorta di destino irreversibile e beffardo, da sempre amato ma poi sempre rigettato, nel fango della solitudine, uno tra i suoi più grandi interpreti poetici. Leopoldo María Panero (Madrid, 1948 - Las Palmas di Gran Canaria, 2014), è considerato, per l’appunto, uno dei più grandi e originali poeti del secondo novecento spagnolo, e non solo; Leopoldo María Panero rappresenta sicuramente un’oscura e sfavillante meteora, nel panorama poetico internazionale, che manterrà per sempre una sua precisa e singolare collocazione. C’è da dire che la sua poesia è stata strettamente connessa alla sua vita; ed è imprescindibile, ad esempio, sapere che Panero ha passato quasi tutta la sua esistenza tra ricoveri presso istituti psichiatrici e carceri, e tra eccessi di droghe e di alcol e sfrenati impeti omo ed etero sessuali. Di contro, la sua famiglia è stata una famiglia di artisti per eccellenza: famoso poeta era suo padre, Leopoldo Panero, come anche poeti erano i suoi fratelli: Michi, morto suicida nei primi anni del Duemila e al quale Leopoldo María era molto legato, e Juan Luis; anche la madre, Felicidad Blanc, era un’artista riconosciuta.
In Spagna la famiglia Panero è al centro dell’attenzione mediatica fin dai suoi primordi, grazie ai documentari, oramai divenuti di culto, girati sulla stessa (El desencanto, del 1976, diretto da Jaime Chávarri e il sequel Después de tantos años, del 1994, diretto da Ricardo Franco) che hanno contribuito a creare il mito presso il grande pubblico del “loco”, ma soprattutto del poeta Leopoldo María. Se poi si aggiunge l’interesse dell’autore all’occultismo e ai culti esoterici, si fa ben presto a dedurre la nera trama che avvolge questa poetica, così intrisa di oscurità e d’amore folle, ossessivo, intransigente per la distruzione e per la vita stessa; una poetica pregna anche di rimandi storici, letterari e fantastici ben precisi, che trasformano così questo magma poetico in una sorta di immondezzaio, dove urine e feci fanno da contraltare a Nerone o al Re di Spagna; un incestuoso prato dove “orinare” la santità, la santissima pace, e dove le citazioni stesse diventano automaticamente non reliquie del pensiero, ma vero e proprio testamento in vita del poeta, sempre in bilico dentro quel parallelismo bipolare, dentro quella dualità perversa tra ciò che è vero (il bene) e ciò che è reale (il male).
E così, l’opera viene sempre meno, in quanto la vita stessa di Panero è la sua opera più grande e lacerata, e ciò che resta sul foglio sono le pustole ancestrali di un volto che non è più umano, di un uomo che più non è, e che forse è più simile a un Dio, in quanto invisibile ai suoi stessi occhi. Ma, nonostante l’incivilissima e dissacratoria vena, tipica del poeta, in queste poesie si potrà riscontrare una sorta di rivendicazione, se non proletaria, quantomeno popolare, o ancora meglio, quasi radicata alla terra, certamente evocata dal profondo onirico dell’universo allucinato del poeta, con una sorta di umile affezione. È dunque pervaso da un’oscurità civile, questo libro, oltre che da quell’oscurità meta/classica, che in Panero trova un baluardo incessante e decisivo.
Perché la poesia di Panero ha sempre come riferimento il passato, che ritorna spesso in vita tramite qualche personaggio, leggendario, divino o reale che sia, o tramite qualche luogo mitico; e la sua è una forma di preghiera, di sottomissione al reale e ai miti e ai maestri del classicismo (tuttavia rimanendo attualissimo, per questa sorta di specchio di Narciso balbuziente riflesso anche su ciò che è del moderno e del fantomatico e underground substrato urbano, dove l’autore ha insozzato la sua vita come un veggente impiccato alle pareti del nulla, presagendo la barbarie e l’eterna umana sconfitta), ma (come ci suggerisce in un suo intervento Ianus Pravo, amico e co-autore di Panero, nonché suo primo traduttore) un po’ come ha fatto Bacon in pittura, Panero scava nella sua opera, non per dire ma per essere detto, cancellando ciò che già c’era nella propria testa, come da un quadro si dovrebbe sottrarre, e non aggiungere. Difatti, per quanto riguarda il poeta contemporaneo, Panero scrive: “La letteratura altro non è che un’immensa bozza di stampa e noi, gli scrittori ultimi o postumi, siamo solo correttori di bozze” (da Due racconti e una perversione, 1984).
Da qui il continuo citazionismo e l’espressionismo sistematico del poeta, connotato da una forte radice simbolica ed investito perennemente dall’eco della grande letteratura mondiale, riscritta e rinominata fino alla perdita d’identità del soggetto. Con questa affermazione non si intende, ripeto, svalutare il lavoro poetico, ma collocarlo lucidamente rispetto al già detto, alla tradizione, al progetto d’innovazione. Panero chiama alla memoria il già detto per deformarlo come, e citiamo ancora il grande pittore irlandese, fa Bacon con i corpi delle sue s-figurazioni. Come in Bacon, in Panero si distrugge la figura, l’io poetico: “Cos’è il nulla /domandi, / uscendo dalla stanza. / E cos’è un uomo / uscendo dal nulla /e tornando solo alla stanza” (da Ars Magna) perché, ricordando Túa Blesa, suo maggiore studioso, che a sua volta cita Mallarmé, poeta amatissimo da Leopoldo María, si potrebbe usare come epitaffio per Panero “la distruzione fu la mia Beatrice”. Oppure, quasi riprendendo Raimbaut d’Aurenga, altro autore molto influente nella poesia di Panero, configurare l’esistenza quale fiore invertito del vuoto, quale rosa strappata a se stessa. Panero disfa così la comunicazione, ma soprattutto la vita tramite l’invocazione perpetua e l’evocazione mortale. Una cosa è certa: questo libro, a dispetto del titolo, è un vero e proprio atto estremo di amore, e di morte; un atto di morte e di amore finché crepi la Spagna – che si intenda, come la vita – e che sia, infine, una sola la risposta: “il fiore / che si cercava nel poema / voleva dire la tomba” (da Segreti del poema).
Alcuni brevi estratti di questa introduzione sono presenti anche in: Leopoldo María Panero: un folletto contro il potere, a cura di Antonio Bux, Rivista Poesia, Crocetti Editore, Milano, Maggio 2014.
POESIE DI LEOPOLDO MARÍA PANERO
da Contro la Spagna e altre poesie non d’amore
INÉDITO DE EL ÚLTIMO HOMBRE
Valvidia tiene más hombres, más caballos
y árboles que escupen fango y sangre:
ante la bestia de Valvidia el indio
tiene sangre de hembra.
Valvidia tiene dioses para los que no cuenta
nada la sangre del hombre,
dioses como árboles sin savia
que llevan colgando su cuello:
pero era la noche de Lautaro.
Y en la noche de Lautaro tras del árbol hay perros
y la luna ilumina el camino a los lobos.
Entra el hombre barbado, el español a saco
en nuestras casas y muestra su verga a las mujeres:
pero en la selva se pierde, en el laberinto
oscuro de Eldorado.
Hacen pues un camino con la sangre
entre lo más oscuros árboles:
y que el hombre ahí se pierda;
porque era la noche de Lautaro.
En la noche de Lautaro el dios castellano
es menos que una víbora, y su cuerpo
es un pálido dibujo en la nieve.
Allá donde te dije que estaba Eldorado
está un artífice para labrar tu muerte.
En el tobillo desnudo están
las joyas que preguntas:
búscalas en la noche de Lautaro.
INEDITO DA L’ULTIMO UOMO
Valvidia ha più uomini, più cavalli
e alberi che sputano fuoco e sangue:
di fronte alla bestia di Valvidia l’indio
ha sangue di femmina.
Valvidia possiede dèi per coloro cui non conta
niente il sangue dell’uomo,
degli dèi come alberi senza linfa
che stanno appesi al suo collo:
ma era la notte di Lautaro.
E nella notte di Lautaro dietro gli alberi ci sono cani
e la luna illumina il sentiero ai lupi.
Viene l’uomo barbuto, lo spagnolo con forza
nelle nostre case e mostra la sua verga alle donne:
ma nella foresta si perde, nell’oscuro
labirinto di Eldorado.
Allora tracciate un sentiero con il sangue
tra gli alberi più oscuri:
e che l’uomo lì si perda;
perché era la notte di Lautaro.
Nella notte di Lautaro il Dio castigliano
è più piccolo di una vipera, e il suo corpo
è un pallido disegno sulla neve.
Lì dove ti ho detto che era Eldorado
vi è un maestro che coltiva la tua morte.
Nella caviglia nuda vi sono
i gioielli che tu chiedi:
cercali nella notte di Lautaro.
HIMNO A LA CORONA DE ESPAÑA
(Por su majestad el Rey Don Juan Carlos)
Sólo un payaso soy de una cuerda pendiente
ante aquel que la luz vino a traer a España
e hizo que el sol ardiera en la mano más pura.
En la padrera los ciervos arden como recuerdos
y acuden los pastores a olvidar sus deseos
y el Rey, nívea la frente, deja caer su mano
y una perla me ofrece, que el aire la disuelva
porque blanca y perfecta, mucho mejor que el viento
es la Corona de España, perseguida tán sólo
por el ladrar del viento en la llanura insomne
donde Don Juan solloza por su perdida figura.
INNO ALLA CORONA DI SPAGNA
(Per sua maestà il Re Don Juan Carlos)
Sono solo un pagliaccio che pende da una corda
dinanzi a quello che portò luce alla Spagna
e fece ardere il sole nella mano più pura.
Nella prateria i cervi bruciano come ricordi
e i pastori vanno dimenticando i propri sogni
e il Re, candida la fronte, lascia cadere la sua mano
e mi offre una perla, che l’aria la dissolva
perché bianca e perfetta, migliore più del vento
è la Corona di Spagna, perseguitata solamente
dal latrare del vento nella pianura insonne
dove Don Juan singhiozza la sua figura perduta.
RÉQUIEM POR UN POETA
(Deaths´s door. Sugerido por un dibujo de Blake)
Qué es mi alma, preguntas
a una imagen atado.
Es un dios en la sombra
rezándole a la sombra.
Es quizás un esclavo
lamiendo con su lengua las sobras de la vida.
La soga que en el cuello
llevábamos atada fácil es desatarla,
por cuanto es ilusión sólo, lo mismo que la vida,
que el dolor y la muerte y el sueño del dinero.
La vejez dicen sólo responde a tu pregunta.
Una piel arrugada y un hombre al que avergüenza
mirarse al sediento espejo.
Un día moriré. Un día estaré solo,
un alce cabalgando en la calle, y en el aire
será para mis ojos la señal de la huida.
Ya no serán manos mis manos,
ni un solo buen recuerdo
a la vida me ligará ya entonces.
Veré pasar un niño por la acera de espanto
y le preguntaré mi nombre si mañana renazco.
REQUIEM PER UN POETA
(Death’s door. Suggerito da un disegno di Blake)
Cos’è la mia anima, domandi
legato ad un’immagine.
È un dio nell’ombra
che prega l’ombra.
Forse uno schiavo
che legge con la sua lingua gli avanzi della vita.
La corda che nel collo
portavamo tesa è facile slegarla,
nonostante sia illusione, come la vita,
e il dolore e la morte e il sogno del denaro.
Dicono la vecchiaia risponda solo alla tua domanda.
Una pelle rugosa e un uomo che si vergogna
guardandosi allo specchio assetato.
Un giorno morirò. Un giorno sarò solo,
un alce che cavalca per strada, e l’aria
sarà per i miei occhi il segnale di fuga.
Non saranno più mani le mie mani,
e nemmeno un bel ricordo
mi legherà più alla vita.
Vedrò passare un bambino sul marciapiede della paura
e se domani rinasco gli domanderò il mio nome.
EDGAR ALLAN POE, O EL ROSTRO DEL FASCISMO
Leí en un solo día bajo una luz oscura
en páginas de Poe sobre un enano oscuro
que de muchos sorbía el rostro y el recuerdo
y era de generales esclavo y la peonza.
En un baile de muertos conocí al verdadero
y gran golpe de Estado. Caían como moscas
a mis pies generales,
y unos al despedirse la mano alzaban
como para decir adiós, y se reían
de ellos las vírgenes y efebos
y en los bares caía la sangre, única gloria
de aquel por el alcohol llamando
a luchar por un país más puro.
Caída hoy está también mi mano,
y muerta la farándula
quedan dos huesos de pollo en la mano.
No sé quién soy, ni quién los militares,
y en mi cabeza un huevo
ha puesto una gallina
blanca como Jesús y limpia como el miedo,
como el sudor de espanto que denunciarles fuera
entre aroma de alcohol y viento de cerveza,
símbolo y prez de lo que mi vida fuera
antes de que llegaran los militares,
para limpiar España y barrer mi existencia
que para los camareros un peligro fuera.
Hoy día no me encuentro y soy como perdido
y temo sobre todo a la bandera.
Que un día de mi mano comerán ya las moscas
y seré sólo espectro en la acera humillado
clamando día y noche contra el golpe de Estado.
Bajarán las palomas y entrarán en las casas
si un día como el viento llegan esos soldados.
Y estaremos desnudos como un blanco disparo
para saber que España no quiere más que vivir si puede
y si no llorar o beber en la barra
sediento de la frente en la blanca marea.
Y quedó sólo hoy, de aquel 23 F.,
la espuma de la boca y de la noche.
EDGAR ALLA POE, O IL VOLTO DEL FASCISMO
Lessi in un solo giorno sotto una luce oscura
tra le pagine di Poe su di un nano oscuro
che di molti succhiò il volto e il ricordo
e fu schiavo dei generali e della trottola.
Ad un ballo di morti conobbi il vero
e gran colpo di Stato. Cadevano come mosche
ai miei piedi i generali,
e al ritirarsi alzavano le mani
come dicendo addio, e ridevano
di loro le vergini e gli efebi
e nei bar cadeva il sangue, unica gloria
di quelli chiamati dall’alcol
a lottare per un paese più puro.
Oggi anche la mia mano è caduta,
e il teatrino è morto
restano tra le mani due ossa di pollo.
Non so chi sono, né chi siano i militari,
e nella mia testa una gallina
ha deposto un uovo
una gallina bianca come Gesù e pulita come la paura,
come il sudore dello spavento che fu denunciarli
tra una brezza di alcol e un vento di birra,
simbolo e prezzo di ciò che fu la mia vita
prima che arrivassero i militari,
per pulire la Spagna e spazzare via la mia esistenza
che fu un pericolo per i camerieri.
Oggi non mi trovo e sono perduto
e temo soprattutto la bandiera.
Un giorno dalla mia mano mangeranno le mosche
e sarò solo uno spettro umiliato sul marciapiede
gridando notte e giorno contro il colpo di Stato.
Scenderanno le colombe ed entreranno nelle case
se un giorno arriveranno quei soldati come il vento.
E staremo nudi come uno sparo bianco
per sapere che la Spagna vuole soltanto vivere se può
oppure piangere o bere al bancone
assetata fino alla fronte nella marea bianca.
E oggi rimane soltanto, di quel 23 F.,
la schiuma della bocca e della notte.
EL DÌA EN QUE MURIERON LOS MASONES, O PARA TERMINAR CON EL MAL DE ESPAÑA
Lebreles de mi frente, perros a los que el viento
sollozar haga en una noche oscura,
canes de los mis labios, despojos en la noche,
ladrones que al balcón asomáis el rostro
en busca del oro de la noche
y señales en el oscuro, burla del gran Rey Mago,
un mendigo os espera al fin de la cazada
aún llevando en sus manos una lámpara oscura
que ladrar también sabe, y distinguir las joyas
del oro más temible, el de la mente
que aquí agoniza a veces, y otras muerde
como el labio del sol, o la llanura.
IL GIORNO IN CUI MORIRONO I MASSONI, O PER FARLA FINITA CON IL MAL DI SPAGNA
Levrieri della mia fronte, cani che il vento
fa singhiozzare in una notte oscura,
cani delle mie labbra, spoglie nella notte,
ladri che dai balconi sporgete il volto
in cerca dell’oro della notte
e di segnali nell’oscuro, burla del gran Re Magio,
un mendicante vi aspetta alla fine della corsia
portando ancora tra le sue mani una lampada oscura
che sa anche abbaiare, e distinguere i gioielli
dell’oro più temibile, quello della mente
che a volte qui agonizza, e altre volte morde
come il labbro del sole, o la pianura.
ETA MILITARRA
Tengo la costumbre de matar en la mano
en la mano y en los pies que se mueven
lentamente bajo la cúpula del cuerpo.
Hábil como un espectro recorro la ciudad
borracho como un vivo, sereno como un muerto,
y me asombro ante aquellos que viven.
Y me excitan sus labios sonrosados
cuando dicen “ven”
“ven a matarme ya que soy un espíritu”.
ETA MILITARRA (ETA MILITARE)
Ho l’abitudine di uccidere nella mano
nella mano e nei piedi che si muovono
lentamente sotto la cupola del corpo.
Agile come uno spettro attraverso la città
ubriaco come un vivo, sereno come un morto,
e mi avvicino verso quelli che vivono.
E mi eccitano le loro labbra rosee
quando dicono “vieni”
“vieni ad uccidermi giacché sono spirito”.
APARICIÓN
Nuncio que entras abriendo las paredes de mi cuarto
¿eres del hombre o eres de la nada?
Yo sólo puedo el evangelio decirte
de la vida, decirte
si has caído no te levantes más
y besa el sacro suelo
y si eres hombre, escucha los lamentos del esclavo
que piden vivir y que reclaman
con dulces sones la limosna de la vida
en la habitación en donde mi alma
se retuerce feroz como una serpiente
y pide a los durmientes que la vean
despierta para siempre y aterida
con pájaros que vuelan sobre ella
y el ladrido de una can que la despierta
y dice: mira, hombre caído, mira a la mañana
que otra vez se levanta para continuar la tortura
por mucho que tu alma exhale excrementos
que la rosa simulan y la vida
entre las paredes feroces de este cuarto
que son como la celda del condenado a muerte
con días que reviven la sentencia
y di: ¿eres del hombre o eres de la nada?
yo sólo puedo mi evangelio decirte
si has caído nadie te levantará ahora
eres sombra y nada
y boca que pisotean los hombres
y una hez en las manos
ofrecida a los hombres y a los lobos
cuyos dientes asoman, cercenando el poema
cuando alguien entra en la habitación a oscuras.
APPARIZIONE
Nunzio che entri aprendo le pareti della mia stanza
sei dell’uomo o sei del nulla?
Io posso solo dirti il vangelo
della vita, dirti
se sei caduto non alzarti più
e bacia il suolo sacro
e se sei uomo, ascolta i lamenti degli schiavi
che vogliono vivere e reclamano
con suoni dolci l’elemosina
della vita nella stanza dove la mia anima
si contorce feroce come un serpente
e chiede agli addormentati di vederla
sveglia per sempre e intorpidita
con i passeri che volano su di essa
e il latrato di un cane che la risveglia
e dice: guarda, uomo caduto, guarda il giorno
che si alza un’altra volta per continuare la tortura
per quanto la tua anima esali escrementi
che simulano la rosa e la vita
tra le pareti feroci di questa stanza
che sono come la cella di un condannato a morte
coi giorni che rivivono la sentenza
dici: sei dell’uomo o sei del nulla?
io posso solo dirti il mio vangelo
se sei caduto nessuno ti solleverà ora
tu sei ombra e sei nulla
e sei bocca che calpesta gli uomini
una feccia tra le mani
offerta agli uomini e ai lupi
che sporgono i denti, mozzando il poema
quando qualcuno entra nella stanza buia.
TÁNGER
(Café Bar Tingis, Zocco Chicco)
Morir en un wáter de Tánger
con mi cuerpo besando el suelo
fin del poema y verdad de mi existencia
donde las águilas entran a través de las ventanas del sol
y los ángeles hacen llamear sus espadas en la puerta del retrete
donde la mierda habló de Dios
deshaciéndose
poco a poco entre las manos
en el acto de la lectura
y una paloma
sobre cuerpos nudos de árabes
caminando, bárbaros, sobre la lluvia
y sobre la tumba del poema implantando sus espadas
y la muerte.
Y un niño harapiento lamió mis manos
y mi cuello, y me dijo “Muere,
es hermosa ciudad para morir”
verás cómo los pájaros se arrastran y escupen agua por las narices
cuando mueras
y cómo Filis me abraza y la ciudad se rinde
ante el asedio de los condenados
prefiero vivir al asedio de nadie
con una marca de mierda en la frente.
TANGERI
(Bar Caffè Tingis, Zocco Chicco)
Morire in un water di Tangeri
col mio corpo baciando il suolo
fine del poema e verità della mia esistenza
dove le aquile entrano attraverso le finestre del sole
e gli angeli fanno fiammeggiare le loro spade sulla porta della toilette
dove la merda parlò di Dio
liquefacendosi
poco a poco tra le mani
nell’atto di una lettura
e una colomba
sui corpi nudi di arabi
camminando, barbari, sulla pioggia
e sulla tomba del poema conficcando le loro spade
e la morte.
E un povero bambino sfiorò le mie mani
e il mio collo, e mi disse: “Muori,
è una splendida città dove morire”
vedrai come gli uccelli si trascinano e sputano acqua dalle narici
quando muori
e come Filide mi abbraccia e la città si arrende
dinanzi l’assedio dei condannati
preferisco vivere l’assedio di nessuno
con un segno di merda sulla fronte.
LA MONJA ATEA
Las monjas adoran a su Dios que no existe
mientras el Papa aprieta el gatillo
y dice Dios no existe
es una imaginación de la Iglesia
que está muriendo poco a poco
los ateos lloran al pie de una estatua.
Y el mundo dice Dios no existe
es una imaginación del Papa
mientras los ateos
lloran y lloran por su belleza perdida
y Dios ya no existe
está llorando en el Infierno.
Ésta es la estatua entera de la nada.
LA MONACA ATEA
Le monache adorano il loro Dio che non esiste
mentre il Papa preme il grilletto
e dice Dio non esiste
è un’immaginazione della Chiesa
che sta morendo poco a poco
gli atei piangono ai piedi di una statua.
E il mondo dice Dio non esiste
è un’immaginazione del Papa
mentre gli atei
piangono e piangono la sua bellezza perduta
e Dio non esiste più
sta piangendo all’inferno.
Questa è la statua intera del nulla.
PETER PUNK
Peter Punk es el amor y Campanilla su princesa
en el cielo están buscando el secreto de la nada
todos los Niños Extraviados.
Peter Punk es el amor y Campanilla su princesa
Garfio busca en vano el secreto de su mano
y Campanilla llora al pie del Árbol Extraviado
adónde las sirenas y adónde los enanos
Peter Punk intenta en vano su amor explicar,
en una playa desierta Campanilla lo dejó.
PETER PUNK
Peter Punk è l’amore e Campanellino la sua principessa
nel cielo vanno in cerca del segreto del nulla
tutti i Bambini Perduti.
Peter Punk è l’amore e Campanellino la sua principessa
Capitan Uncino cerca invano il segreto della propria mano
e Campanellino piange ai piedi dell’Albero Perduto
dove alle sirene e ai nani
Peter Punk cerca invano di spiegare il suo amore,
Campanellino lo lasciò su una spiaggia deserta.
LO QUE STÉPHAN MALLARMÉ QUISO DECIR EN SUS POEMAS
Quiso el viejo decir cuando ya la última lámpara
en el cuarto estaba apagada
y el sol no nos veía, la sierpe lanzada
con las heces del día al pozo del recuerdo
al sueño que todo lo borra, al sueño,
quiso decir el viejo que las leyes
del amor no son las leyes de la nada
y que sólo abrazados a un esqueleto en el mundo vacío
sabremos como siempre que el amor es nada,
y que la nada
siendo así algo que con el amor y la vida
fatalmente rompe, quiere una ascesis
y es por ello que una cruz en los ojos, y un
escorpión en el falo rapresentan al poeta
en brazos de la nada, de la nada henchido
diciendo que ni siquiera Dios es superior al poema.
CIÒ CHE STÉPHANE MALLARMÉ VOLLE DIRE NELLE SUE POESIE
Volle dire il vecchio quando l’ultima lampada
era già spenta nella stanza
e il sole non vedeva, la serpe lanciata
con la feccia del giorno dentro il pozzo del ricordo
dentro il sogno che cancella tutto, dentro il sogno,
il vecchio volle dire che le leggi
dell’amore non sono le leggi del nulla
e che solo abbracciati a uno scheletro nel mondo vuoto
sapremo come sempre che l’amore è nulla,
e che il nulla
essendo qualcosa che con l’amore e la vita
rompe fatalmente, vuole un’ascesa
ed è per questo che una croce negli occhi, e uno
scorpione sul fallo rappresentano il poeta
tra le braccia del nulla, del nulla rigonfio
dicendo che nemmeno Dio è più del poema.
EL ENMASCARADO
Oh, dónde estás Hombre Enmascarado
en qué galaxia tu nombre ha encallado
lucha, lucha contra el mal
porque la felicidad del hombre es la guerra
Hombre Enmascarado qué amenaza
se cierne sobre tus espaldas
mientras los hombres ríen de ti
oh, pobre Enmascarado de ti se ríen los hombres
qué culpa tiene el pigmeo, el elefante y el tigre
de que Occidente sea cruel
y sobre la cruz disparen
en la selva.
IL MASCHERATO
Oh, dove sei Uomo Mascherato
in che galassia il tuo nome s’è arenato
lotta, lotta contro il male
perché la felicità dell’uomo è la guerra
Uomo Mascherato qual è la minaccia
che incombe sulla tua schiena
mentre gli uomini ridono di te
oh, povero Mascherato di te ridono gli uomini
che colpa ha il pigmeo, o l’elefante o la tigre
se l’Occidente è crudele
se sulla croce sparano
nella selva.
*
Mi gran amor se llamaba Maíz Blanco
fue torturada y violada en las colinas
cerca del lago en el que beben los elefantes.
De mí apenas quedarán los huesos
sobre mi cráneo un día pasará un pigmeo
silbando, cerca del lago,
cerca del lago en el que beben los elefantes.
Morí por una causa que el elefante no sabe
y que es misterio y olvido para el pájaro
ya que lo que la serpiente es para ti
no lo sabe la selva
y la materia del arroyo está muda
y no sabe ni olvidarme.
*
Il mio più grande amore si chiamava Maíz Blanco
fu torturata e violentata sulle colline
vicino al lago dove bevono gli elefanti.
Di me a stento resteranno le ossa
sopra il mio cranio un giorno passerà un pigmeo
fischiando, vicino al lago,
vicino al lago dove bevono gli elefanti.
Morii per una causa che l’elefante non sa
e che è mistero e oblio per l’uccello
così come non sa la selva
ciò che per te è il serpente
e la materia del ruscello è muta
e non sa nemmeno dimenticarmi.
SECRETOS DEL POEMA
Filis, al fin lo digo, la flor
que en el poema se buscaba
significaba la tumba
por su hijo ya adornada
monedas de suicidio dan
en la mano los caballeros.
SEGRETI DEL POEMA
Filide, lo dico infine, il fiore
che si cercava nel poema
voleva dire la tomba
già adornata dal proprio figlio
i cavalieri posano sulla mano
monete di suicidio.
NACIMIENTO DE JESÚS
Los caballos en viento se mudan
el desierto entre mis manos nace
el miedo es Jesucristo entre mis ojos
como una estrella que en la nada yace.
El miedo ante la nieve se arrodilla
el miedo ante lo oscuro es una nada
como una mujer que entre los hombres nace.
NASCITA DI GESÙ
I cavalli mutano in vento
il deserto nasce tra le mie mani
tra i miei occhi Gesù Cristo è la paura
come una stella che giace nel nulla.
La paura si inginocchia davanti alla neve
davanti all’oscurità la paura è il nulla
come una donna che nasce tra gli uomini.
*
Lector, ven y espíame
en el Taller del espectro
donde el fantasma a su imagen se esposa
que nunca existiera sino en esta
cerrada tumba
en este Jardín donde las flores
devoran impasibles a los hombres,
y una Voz, que no es lector ni hombre
ni mujer ni lluvia sobre el lecho
dice sin alma: he aquí los gusanos
que tejen sin armas el Cadáver.
*
Lettore, vieni e spiami
nell’officina dello spettro
dove il fantasma si sposa con la sua immagine
che non sarebbe mai esistita se non in questa
tomba chiusa
in questo Giardino dove i fiori
impassibili divorano gli uomini,
e una Voce, che non è lettore né uomo
né donna né pioggia sopra il letto
dice senz’anima: sono qui i vermi
che tessono senz’armi il Cadavere.
REGALO DE UN HOMBRE
Esta tarde, a las 7,
brillará mi cadáver
de una luz más pura: y una mano
lo tocará desde el poema.
Al rito de morir se le llama la vida
y Dios se esconde entre mis muslos
y mis padres piden perdón por haberme entregado
desnudo a los hombres en la oscura llanura.
REGALO DI UN UOMO
Questa sera, alle 7,
il mio cadavere splenderà
di una luce più pura: e dal poema
lo toccherà una mano.
Nel rito della morte la vita si richiama
e si nasconde Dio tra le mie cosce
e i miei genitori chiedono perdono per avermi consegnato
nudo agli uomini nella pianura buia.
ARS MAGNA
para Clemen, con un escalofrío
Qué es la magia, preguntas
en una habitación a oscuras.
Qué es la nada, preguntas,
saliendo de la habitación.
Y qué es un hombre saliendo de la nada
y volviendo solo a la habitación.
ARS MAGNA
Cos’è la magia, domandi
in una stanza buia.
Cos’è il nulla, domandi
uscendo dalla stanza.
E cos’è un uomo uscendo dal nulla
e tornando solo alla stanza.
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Traduzione dallo spagnolo di Antonio Bux
Leopoldo María Panero (Madrid, 1948 – Las Palmas di Gran Canaria, 2014) è stato autore dell’opera più radicale e originale della poesia spagnola contemporanea. In vita ha pubblicato più di quaranta libri tra poesia, narrativa, saggistica.
In Italia sono stati pubblicati i seguenti volumi: Narciso nell’accordo estremo dei flauti (a cura di Ianus Pravo; Azimut, Roma, 2005), Dal manicomio di Mondragón (a cura di Ianus Pravo; Azimut, Roma, 2007), Peter Pan non è che un nome (a cura di Ianus Pravo e Sebastiano Gatto; Il ponte del sale, Rovigo, 2011), Senz’arma che dia carne all’imperium (con Ianus Pravo; Sef Edizioni, Firenze, 2011), Il cervo applaudito (a cura di Ianus Pravo, Edb Edizioni, Milano, 2013).
Per la rivista Poesia di Nicola Crocetti, nel mese di Maggio del 2014 Antonio Bux ha curato un articolo sulla figura del poeta, più varie traduzioni delle sue poesie (Leopoldo María Panero: un folletto contro il potere).
redellemosche@gmail.com
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