FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 44
ottobre/dicembre 2016

Varchi & Barriere

 

LA NECESSITÀ E LA POESIA
La prima antologia poetica di Alessio Brandolini

di Marco Testi



Con gli occhi di bue ho imparato la necessità
del silenzio parlando ogni giorno al vuoto.


La necessità, che ha molto in comune con la anànke omerica, segna il territorio di Il futuro è un campo incolto (La Vita Felice, 2016), prima antologia poetica di Alessio Brandolini, scrittore tra i più apprezzati, anche all’estero, e davvero nuovi – nel senso che vedremo – delle nostre italiche terre.
Già dal titolo si intravedono gli elementi specifici attraverso i quali la necessità si lascia in parte svelare da chi ha sensibilità per farlo. La terra tra tutte, come si dirà più avanti. E poi la violenza. Non solo quella scatenata da cause, per quanto lontane e perverse, ravvisabili e storicamente rintracciabili, ma anche quella che sembra non averle proprio, delle motivazioni: e questo è un tema caro anche al Brandolini narratore che tre anni fa con la raccolta di racconti Un bosco nel muro ha affrontato, tra i pochi oggi a farlo, l’universo del male apparentemente gratuito, demonico, si potrebbe dire, rischiando di passare per obsoleti, il che potrebbe anche essere un complimento, tristemente di nuovo alla ribalta mediatica ai nostri giorni.

Un altro tema caro a Brandolini è quello della miseria di una vita improvvisamente affidata alle grandi – troppo per molti che non sono mai arrivati dall’altra parte – acque delle nuove migrazioni e quella di una stanca vacanza sulle sponde opposte del medesimo mare. Non per un attacco fuori tempo (il che non vuol dire privo di contenuti) ai riti stanchi di una borghesia sempre meno certa delle proprie garanzie economiche e sociali, ma proprio per il beffardo destino – e come tale necessario in senso greco – di una sorte che sfiora il nonsenso.
La poesia di Il futuro è un campo incolto è una sorta di sonda che attraversa i piccoli universi della nostra epoca costretti a incontrarsi e a convivere in modo più o meno pacifico.

      In croce i corpi a un metro dall’acqua
      braccia tagliate, impilate da una parte.
      Ammaccati, con incisi nomi cuori date
      frasi oscene, disumane. Le facce gonfie
      con bruciature sul collo gambe costato.
      Come se non fossero uomini
      Con le loro mogli e madri, i giovani figli,
      ma esche buone per la morte e il dolore.
Lo sguardo apparentemente impassibile, che è in realtà lo specchio tutto interno, e quindi non oggettivo, è per questo l’elemento fondante di un verso che abolisce molti degli elementi superstiti delle strutture poetiche novecentesche, alcuni dei quali erano sopravvissuti alle sperimentazioni delle avanguardie e non solo di quelle.

La soppressione della punteggiatura, per fare un esempio, non è certamente una novità, ma qui assume un senso preciso, non di manifesto estetico, semmai di realizzazione di un cursus in cui l’intrecciarsi degli eventi – e delle contraddizioni, almeno per lo sguardo contemporaneo – accade nel qui e nell’ora. Ma Brandolini non cerca il nuovo per il nuovo e non intende celebrare sperimentazioni: sa perfettamente che quando si tenta di ripetere un evento si cade nel ridicolo. Non è un caso che leggendo queste liriche si assista ad un ritorno alla stanza, seppure sovente non isometrica, al ricorrere dell’enjambement, che non ha la valenza di espediente metrico, ma di continuità di un discorso che talvolta si pone ai limiti della prosa.
La poetica complessiva di Il futuro è un campo incolto fa insomma conti inevitabili con il tempo, ma nel senso che la poesia non potrebbe farne a meno, perché ogni creatura si misura con la propria storia. Detto questo, tra storia e scrittura qui si crea un rapporto dialettico e vivo, perché oltre allo sguardo sul dolore del tempo, sulla eliotiana – e biblica – morte per acqua, sulla prigione mascherata da libertà delle case metropolitane, sul dolore della solitudine nel ghetto del benessere, ma anche della fame in quello della mancanza, la divinità greca penìa, vi è lo sguardo della condivisione e della speranza non banalizzata.

Il ritorno alla terra, letteralmente preso, fa parte di questo sguardo che va oltre la plastica della civiltà contemporanea. È un ritorno che indica un futuro. Il padre silente che cura la campagna è il detto-non detto fino in fondo, il modello iniziale, scatena l’invidia-ammirazione verso chi ha la capacità di non dipendere solo dalle parole per esprimersi. Perché fa. Perché opera nella realtà senza attendere l’eco delle proprie parole, fuori dalla fonte di Narciso, dritto alle cose che a loro volta parlano con un linguaggio talvolta diverso da quello della letteratura.
Uno dei punti di snodo della poetica di Il futuro è un campo incolto è la presenza di quel futuro selvatico e inconoscibile ma necessario. Non un ritorno politicamente corretto all’orticello ma ad una nuova visione del mondo che parte dalla conoscenza di quel mondo, ivi compresi i meccanismi economici, sociali, culturali, dominanti.


Alessio Brandolini, Il futuro è un campo incolto (Antologia poetica 1992-2014), La Vita Felice, 2016, 169 pagine, 16 euro.




SEI POESIE DI ALESSIO BRANDOLINI
da Il futuro è un campo incolto


UN ALTRO FUTURO

Se mi ritrovo da solo mi confondo
con un altro e il buio rallegra i petali
delle rose. Dormo per non vederti.
Il contesto non è mai quello giusto
troppe rivalse strisciano tra l’erba
voci in contrasto avvizziscono l’aria.
Ogni anno ha il suo lato farsesco
te ne accorgi quando già vivi
in un altro luogo, in un altro futuro
e subito l’immagine lievita dall’interno:

    il ghiaccio che si spezza
    le mani bucate dai chiodi
    il sibilo sfrontato della frusta.
Ti sto sopra e sanguino per conoscerti
eri così diversa fino all’altro giorno.
Ora siamo tra quelli che possono
solo ricordare i corpi fusi dall’energia
del piacere. Il sonno arriva non richiesto
e porta il sorriso, il suono rauco della voce
quel tuo modo stravagante di piegare il viso.


*

La terra ha uno spasmo violento e lascia illividiti
meglio un calcio al basso ventre
uno schiaffo esteso a tutto il corpo.
Con gli occhi di bue ho imparato la necessità
del silenzio parlando ogni giorno al vuoto.
Per questo a te, chiusa nel gorgo del lavoro, chiedo:
avremo un residuo di vita (d’amore) dopo la morte?

I disastri sono stelle ignote che svestite
diluviano dal cielo. Metti un tappo
l’indice nel foro ma la crepa si allarga
velocemente si estende, accartoccia il mondo,
il fiume, le sue barche: la materia circostante.

Non mi lamento, in fondo questa mia pazzia
ha il senso del sano e non è falsa, né inquinata.


*

La città ci rovina addosso, non bastano le palafitte
né il verde della savana. Ai tropici fa freddo
e a volte cade persino la neve.
Sotto i ponti ho visto le tenebre, le croci,
il fiume tagliato in due dall’oceano dei liquami
un tatuaggio di nubi sulla tenera pelle delle lucertole.
Crolla addosso la pioggia di settembre
i conflitti sul lavoro con le scimmie ammaestrate
i pugni allo stomaco dati e ricevuti
la manciata di chiodi che segnano il percorso
gli alberi strappati alla terra, le menti telecomandate.

    La ripresa del sogno
    perso al volo, in salita
    bagna il becco nel nero delle strade
    nella calma dei buoi che trascinano
    le foglie dei platani, degli ulivi
    persino dei banani dove sta scritta la vita.
Fulmini sul Tevere illuminano gli sfregi sul volto della Terra. Nel paesaggio saldo e assoluto delle rovine che ci rotolano addosso trovo un canto e ti vengo incontro (se me lo permetti, se posso). Nello sguardo la luce tagliente di Roma, sulle spalle il peso dei sassi delle case e questa voce che alla tua si affianca.

giugno 2008


TEMO PER L’ANIMA DELL’UOMO

per la nostra ombra invisibile
smarrita o prigioniera
di deboli raggi lunari:
faticano ad arrivare al suolo
scaldare corpi, svagati pensieri.

Difficile ravvisare il futuro
anche se passa a un metro di distanza
se sfilano i popoli divisi da un muro
o per via degli ordigni esplosivi
la polvere che si alza verso il cielo
i morti assassinati da chi si ammazza.

    Restano le pulsioni
    il sangue della foresta
    che ora scorre veloce
    qui, in Sudamerica
    e la voglia di conoscenza
    che da giorni ci spinge
    a seguire le tracce
    del sogno, e a fare festa.


*

Disteso bocconi il vecchio gallo non narra la sua storia
né sulla foglia canta la cicala che non ha più voce
e poi nel sonno ha smarrito un’ala, forse persino gli occhi.

Restano le formiche che all’acqua infetta regalano la resa.
Sfilano tutte uguali, con lo stesso sguardo, precise e svelte
sugli alti tacchi, ognuna con la propria bandierina bianca
e scoppi a ridere nel vederle con quel passo marziale
che fonde funeste dittature ed eleganti, sottili passi di danza.

    Le formiche non arretrano davanti al futuro
    alla cronaca dei giorni, al Tevere in fiamme.


INSETTI E VOCI

Mi odi perché ti somiglio o per quello che dico?
Le mani non afferrano le voci, già in altri luoghi:
cronometrare le forze, usarle contro il nemico.
L’odore della corteccia dei noci snida l’energia
dei bulbi. Le ossa tintinnano, strappano schegge
alla lingua. Inchiodato al palo un cane abbaia
lodi al carnefice. Hai fatto bene a farmi colare
a picco in storie che non avrei mai compreso.
Lumache seminano il traguardo che lievita sotto
i piedi, si alimenta a piume la cupola di Sant’Ivo.

Scoprire le cause di questa ronzante compagnia
si parla con mosche, api e zanzare, ci si spintona
dentro se stessi. Si progettano fughe, incursioni:
le cose da fare certo non mancano, già questo è
un effetto. Si lamenta l’erba recisa, reclama
una tomba tutta sua, il fuoco la converte in fungo
in fasi di vita. Non dirmi che lo avresti desiderato
c’è il futuro da ricomporre, una via da scortare
verso zone illese. Nuoto tra delfini e granchi
gli insetti hanno ali luminose dai riflessi cristallini.





Alessio Brandolini (1958)
vive a Roma dove si è laureato in Lettere moderne. Ha pubblicato i libri di poesia: L’alba a piazza Navona (1992, «Premio Montale - Inedito»), Divisori orientali (2002, «Premio Alfonso Gatto - Opera Prima»), Poesie della terra (2004; anche in spagnolo: Poemas de la tierra, 2004 e 2014), Il male inconsapevole (2005), Mappe colombiane (2007; anche in spagnolo: Mapas colombianos, Colombia, 2015), Tevere in fiamme (2008, «Premio Sandro Penna»), Il fiume nel mare (2010, Finalista «Premio Camaiore») e Nello sguardo del lupo (2014). Nel 2016 è uscita l’antologia poetica: Il futuro è un campo incolto (1992-2014).
Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e pubblicati su riviste italiane e straniere. In Costa Rica sono uscite le antologie En el ojo del lobo (2009), Desde otro planeta (2014) e in Colombia Llamo desde otro planeta (2016), tutte con la traduzione di Martha Canfield. Dal 2003 al 2013 ha fatto parte del gruppo letterario “I Libri In Testa”. Nel 2013 ha pubblicato il libro di racconti brevi Un bosco nel muro (Empirìa). Traduce dallo spagnolo e dal 2006 coordina «Fili d’aquilone», rivista web di «immagini, idee e Poesia». Nel 2011 ha fondato la casa editrice Edizioni Fili d’Aquilone.


testi.marco@alice.it