FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 44
ottobre/dicembre 2016

Varchi & Barriere

 

APPESA AL CIELO

di Lucia Cupertino



“Le congiunzioni di Venere e Giove sono relativamente frequenti, ma questo sabato assisteremo ad una davvero imperdibile, poco dopo il tramonto i due pianeti si allineeranno tanto da sembrare fusi in un unico corpo luminoso. Per contemplare la congiunzione astrale non ci sarà bisogno di telescopi né di…”. Marcia spegne la sua radiolina tascabile, ne spinge contro il fianco l’antenna, dalla mattina è già la terza volta che mandano in onda lo stesso messaggio. Ma non può fare a meno di tenerla stretta a lei, la radiolina le fa pensare alla nonna Daniela che, come gli aveva raccontato la madre, ogni sera attendeva trepidante il radionotiziario delle 20:30 per sapere ciò che stesse accadendo nel Mondo. Usava rivolgersi alla radio, stizzita, ridanciana, scossa o sorpresa. Adesso quel dispositivo ne catturava l’assenza.

Si dirige alla cassa e, dopo qualche battibecco, monta sulla funivia di Caracas. Per questioni di sicurezza… - bofonchia Marcia, imitando il cassiere – Per questioni di sicurezza… - intanto un tecnico la aiuta a sistemarsi nella cabina - Perché vorreste dirmi che, a 1500 metri d’altezza chiusi in una lattina sospesa nell’aria, in caso di incidente fa qualche differenza stare o no nella mia condizione?! No, non saranno questioni di sicurezza a fermare la sua ultima prodezza, prima del rientro a Santiago del Cile. Ha ancora del segnale al suo smartphone quando la cabina prende ad elevarsi. Marcia si scatta un selfie. #AbbattoFrontiere Oggi porto a spasso la mia carrozzina in fibra di carbonio sui cieli di Caracas. Monte Ávila raggiungerò presto la tua cima, sarai il mio osservatorio astronomico oggi! Allega la foto, mentre si carica rilegge il messaggio, non ci sono refusi. Publish, clicca. Spegne lo smartphone, vuole godersi il momento.

Esiste una linea sottile che divide i cieli di Caracas. Sotto il frastuono delle vie e l’argenteo profilo degli edifici, sopra il cinguettio degli uccelli e il verde dell’Ávila che reclama io qui c’ero da prima. Forse è la prima linea di un pentagramma immaginario, si deposita questo pensiero nel cuore di Marcia. Ha un pifilca di creta appeso al collo con un cordoncino di lana arancione. Improvvisa una melodia, pare che un uccellino sia entrato nella cabina e si apre così un insperato concerto che mescola voci del Caribe con altre andine. Marcia ha ripreso a far suonare quel pifilca dopo una quarantina d’anni. Quel piccolo flauto era rimasto nella sua stanza ad accumulare polvere assieme ai peluches, ritratti e giochi dell’infanzia. Un giorno, poco prima di partire da Santiago, sua madre gli soffiò sopra e glielo depositò tra le mani. Portalo con te in viaggio, sarà tuo custode lungo il cammino. Squillò il telefono e la madre scappò nel salone. Marcia se lo portò alla bocca ed emise un suono di passero sofferente, le mancava la pratica. Mamma, ma qui ci sono le iniziali tue e di papà o mi sbaglio? Quel pifilca l’abbiamo fatto con le nostre mani in una comunità non lontano dal fiume Biobío, nei pressi della Laguna Galletué. Ricordo ancora la data, era l’11 dicembre 1972. Avevamo da poco saputo che ero incinta di te e avevamo deciso di lasciare Santiago per un paio di mesi e avventurarci in territorio mapuche. Alla fine partorì lì, come sai. Álvaro aveva lasciato il lavoro e voleva proiettarsi in qualcosa di diverso. Fummo ben accolti, anche perché lui aveva una bisnonna mapuche che viveva in una frazione vicina e si arrangiava con qualche parola della loro lingua.



Sono le cinque e mezza, manca poco al tramonto e all’arrivo al punto panoramico. Marcia sorvola una vallata mozzafiato, da lassù un fiumiciattolo sembra una serpe nel seno della natura. Sfiora la seconda linea di quel pentagramma celeste, una sensazione di sospensione s’insinua in lei. Negli orecchi il ronzio tipico di quando il silenzio regna attorno. Qualcosa però non tiene e d’improvviso un boato, si direbbe uno sparo. Stia ferma, mia cara nonna, o le faccio saltare le budella. Ma nonna Daniela stringe tra le braccia, come può, la nipotina, una bebè scossa, che non smette di piangere. La faccia star zitta e ci dica quel che sa sulla relazione tra Carlos e Álvaro. Ma io non so niente, vi dico! Loro sono stati colleghi anni fa, a parte questo, davvero non so dirvi altro. Sono dei ragazzi che non hanno mai fatto nulla di male. Prende fiato. Ma quando rientra suo figlio? Solitamente attorno alle otto di sera. Ha male alle caviglie, al torace e al livello delle spalle. L’hanno attaccata alla sedia con del nastro e le rimane appena la mobilità delle braccia per tenere la nipotina. Dopo quattro ore di torture, si spalanca la porta. I due figuri con passamontagna si lanciano su Álvaro. Nonna Daniela lancia un urlo che fa tremare le pareti. Lasciate mio figlio, non lo toccate, vi prego prendete me e lasciate lui e la sua creatura! Uno dei due scagnozzi infastidito spara. La nonna ci rimane secca. Marcia viene colpita al midollo spinale e scivola dalle sue braccia al pavimento in un lago di sangue. Da quel momento mi è stata tolta la possibilità di camminare. La fronte di Marcia grondante di sudore, si direbbe che ha la febbre o è in trance. Ma quel boato sta trapassando per davvero i cieli di Caracas.

Annuncio importante: c’è stata un’avaria nel sistema centrale della funivia. Prestissimo ripristineremo il servizio. Vi preghiamo di mantenere la calma, non gridare né sbattere contro i vetri. Grazie.

La cabina è ferma, proprio nel bel mezzo della profonda vallata, adesso prende ad oscillare per il vento. Marcia suda, è nel deserto di Atacama. Cerca con sua madre il corpo di suo padre. Entrambe munite di paletta e rastrello, alla ricerca da anni nel mezzo dell’immensità. Quando sente qualcosa sotto le ruote della sedia a rotelle, a Marcia si riaccende il volto. Forse un frammento osseo, una scheggia di verità. Perché, dopo tanto tempo, si cerca la morte più che cercare la vita. Si cerca qualcosa che scriva il punto finale. Altrimenti non si può ricominciare. Invece si resta così, sospesi, come un sassolino scacciato dalla tempesta nel deserto che va solo un po’ più in là. A metà ottobre del 2003, proprio a trent’anni dai fatti, Marcia tronca le ricerche. La madre aveva scoperto d’avere un cancro. È tutto il dolore che hai accumulato in corpo, madre mia. Poteva per la prima volta scavare per cercare la vita e le stette accanto, negli ospedali, a casa, nelle notti insonni, nei pomeriggi a passeggio nel Barrio Italia. Finché dalla crepa nacque un’orchidea. La sua mamma era in salvo.



Marcia torna in sensi. L’oscurità del cielo le preme attorno, è immersa in un blu notte trapunto di stelle. Il Venezuela si trova nell’emisfero nord e il tempo per contemplare la congiunzione di Venere e Giove è minore. Se fossi stata in Cile, nel deserto di Atacama puoi toccare le stelle con le mani, sentirne il pulviscolo. Sembra quasi non essersi accorta che è rimasta lì, appesa al cielo, per dei buoni quindici minuti. Cazzo! Proprio a me doveva succedere! Il pensiero corre a Germán. Lui è a Santiago, lavora in una radio da cinque o sei anni, l’ha conosciuta proprio lì, quando Marcia fu ospite in un suo programma per parlare del perché sua madre e lei avevano smesso le ricerche nell’Atacama. Hai un sorriso magnetico! Entriamo in cabina di registrazione, cominciamo tra due minuti. Fu la prima cosa che le disse. Tutto d’un fiato e con la voce sincera. Germán rimase colpito da quella pazza scalmanata in carrozzina. Qualcosa dentro le diceva: Invitala a cena, esci con lei. Qualcos’altro: Ma no, non potrai costruire nulla di serio con una che è paraplegica. Poi fu Marcia a catturare quell’indecisione velata. Magari usciamo a prendere una birra una sera… Lui strabuzzò gli occhi. Ma certo! Sabato c’è un bel concerto all’Onaciu. Andiamoci! Fu la risposta di Marcia. Scriviti il mio cellulare. Venere e Giove a colpo d’occhio sembrano fondersi. Marcia è visibilmente preoccupata, ma anche in estasi. Questo di sicuro è uno degli spettacoli più belli della mia vita. Una pausa breve. Se mi tocca morire qui, almeno sarà una morte stellata, mio caro Germán. Da quella sera all’Onaciu sono passati tredici anni di relazione tra Germán e Marcia. Per Marcia era il primo ragazzo pur avendo trent’anni suonati. Lei era incantevole ma tutti avevano mille strambe idee. Sarà una gelatina, una cosa morta, le era capitato di sentire un suo compagno di classe tra i corridoi del liceo, una volta. E l’altro rispondere: Ma non esagerare! - lei origliava, coperta da un pilastro - Ha un bel viso, ma certo sono d’accordo con te che sarebbe un bel casino essere il suo ragazzo. E l’altro: Un po’ come essere il suo badante, alla fine, due palle. I due annuivano, Marcia non li vedeva ma lo percepiva. Andiamo a prendere un caffè, va. Germán non l’aveva trovata proprio una gelatina, anzi. C’erano comunque sempre in agguato ostacoli, ma poi fra sé e sé si era ripetuto più di una volta: Di sicuro una fidanzata spendacciona, amante dello shopping e frivola sarebbe stato un handicap di gran lunga peggiore! Poi un bel giorno Marcia gli disse: Sono stata sempre qui in Cile, ho voglia di conoscere un po’ l’America latina. Sapeva che Germán non poteva allontanarsi dalla radio. So che non puoi accompagnarmi adesso, il mio sogno è provare a farcela da sola, dimostrare prima di tutto a me stessa che posso. Germán rimase perplesso ma poi: Bisogna pianificare per bene il viaggio, ma sì, mi sembra una bella idea. Torna presto però eh!

Un altro boato, anche più forte del precedente. Di mezzo nessun altro comunicato. La cabina riceve uno scossone e la radiolina di Marcia cade sul sedile. Marcia getta un urlo, come un ululato. I pensieri le si congelano, la congiunzione astrale ben poco può fare per frenare il suo panico, adesso. Quei due scagnozzi legarono i polsi di Álvaro e gli misero una pezza in bocca. Vedi tua madre, farai la stessa fine se non parli, bastardo. Poi sbattettero la porta e fuggirono via. Marcia è lì, una bebè in una pozza di sangue. Marcia è lì sulla sua sedia a rotelle a sollevare il corpo insanguinato della nonna, prova a correre dietro ai sequestratori ma tutto vanamente, non può tenere il loro ritmo. Manda un messaggino a Germán. Hanno sequestrato mio padre, mia nonna è morta, io perdo molto sangue, chiama l’ambulanza, vieni qui! Ma quella porta resta chiusa fino alle otto e mezza, quando sua madre rientra e trova la sua famiglia dilaniata dalla furia della dittatura. Marcia suda ancora, le ferite del trauma sono aperte, come un vulcano apparentemente dormiente, pronto a riattivarsi alla minima sollecitazione. Poi da quel silenzio irreale emerge una voce metallica: Tutto risolto. La cabina riprende il suo cammino. Ci scusiamo per lo spavento e il forte disagio. Germán, torno presto. Si accende un sole a forma di sorriso sul suo volto. Proprio come quello disegnato sul suo pifilca di creta.


Foto di Yerko, serie Plegaria / Aliento de la Pacha / Tatio - Atacama.


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